Lessico della Tetra Repubblica: Bulli

e a radio

Inizio con un aneddoto personale, che sarà chiaro più avanti. Quando ero molto piccolo (6 anni? 8 anni? Non certo di più), mentre passeggiavo con mio padre lui incontra un amico, si ferma e scambia un paio di frasi e poi saluta. Io – bambino bene educato – dico “ciao” a quel signore e mi avvio con mio padre che, immediatamente, guardandomi con volto severo mi rimprovera: “Devi dire ‘buon giorno signore’, non certo ‘ciao’!”. Ora che ho una decina di volte quell’età dico sempre – a persone non in particolare confidenza – “Buon giorno signore, grazie signora…” e – lo trovo divertentissimo – se sono anziani come me non si stupiscono, ma se sono persone giovani mi guardano strano.

In quegli anni e successivi, non tanto alle elementari quanto alle scuole medie inferiori e superiori, incontrai parecchi bulli. I bulli c’erano allora come ci sono oggi e non ho statistiche per dire se fossero di più o di meno. Ma il ragazzone alto, grosso e ottuso, mediocre a scuola che aspettava l’intervallo per buttarti a terra, sbatterti da qualche parte, rubarti un oggetto e farlo saltare sulla tua testa assieme ai suoi sodali, rovinarti i libri con disegni osceni e via enumerando c’erano eccome. Tenete presente che non c’erano i social ed era loro negato il piacere dello stalking in rete, della ripresa al cellulare delle loro bravate e delle delizie che rendono il fenomeno del bullismo enormemente dilagante anche se identico. Voglio dire: c’è sempre un imbecille che tratta male e umilia un* indifes*; più o meno è quella roba lì; quando io andavo a scuola finiva col gesto, oggi il gesto è rimbalzato come una pallina da ping pong su cellulari, tablet, computer e in poche ore può coinvolgere centinaia e perfino migliaia di persone. L’atto, che inizialmente è quasi privato – per modo di dire – diventa fatto sociale; il reato (spesso di questo si tratta) trascina altri reati; le persone coinvolte – anche nolenti – trascinano le famiglie, gli amici, gli insegnanti, la comunità, il paese fino alla galassia o fino a intervento delle autorità.

Non saprei dire se i bulli sono di più, ma certo oggi un bullo fa più “rumore” di trenta o cinquant’anni fa. Occorre dire che la scuola è molto più esposta e indifesa. Occorre dire che la possibilità dell’ostentazione dell’atto malvagio diventa un incentivo a compiere l’atto (vuoi mettere, avere un filmino hot da condividere, avere la possibilità di un pubblico quando si umilia un compagno?). Occorre dire che ci sono modelli sociali ed educativi e comunicativi molto differenti oggi rispetto all’epoca precolombiana quando io ero ragazzino. Quando io ero ragazzino – da quel che ricordo – c’erano anche insegnanti bulli. Ci sono ancora? Io li ricordo gli insegnanti sadici, che godevano nell’umiliare gli allievi; ne ricordo perfino nome e aspetto e modi di dire. Ebbene, se qualcuno di noi provava a protestare (non dico a picchiare o a insultare l’insegnante, sto parlando di civile protesta), beccavamo una nota dall’insegnante e quattro schiaffi a casa. Perché alla fin fine il ragazzino bulletto (se devo essere sincero, nulla di che) o l’insegnante nevrotico, erano eccezioni in un mondo dove le persone si rispettavano. E’ qui che trovate il senso dell’aneddoto iniziale. Sarà che sono nato in un paesotto, ma l’educazione era educazione al civismo, preparazione a un’età adulta di integrazione sociale.

Michele Serra ha fatto scalpore poco tempo fa con un’Amaca in cui attribuiva in sostanza il bullismo a una logica di classe. Apriti cielo! Tanto sono state le accuse che il povero è dovuto intervenire nuovamente spiegandosi. La necessità di “spiegarsi”, per uno dalla prosa limpida come Serra, significa caterve di letture superficiali, cliché, incapacità argomentativa di almeno una buona parte dei suoi lettori-detrattori (cosa che dice benissimo anche Serra nella prima parte della sua replica); non ricordo altre volte che a Serra sia capitato un episodio di questo genere, forse sì, ma questo ha esattamente a che fare col bullismo 2.0 di cui parliamo. 

Il bullismo è Ego che vuole sopraffare Alter; ti torco il braccio così devi inginocchiarti; ti rubo il cappellino e l’uso per pulirmi le scarpe… Oggi Ego ha una dimensione esponenziale proprio grazie alla sua comunicazione; se l’umiliazione è fatta davanti ai dieci, dodici compagni di classe, è un’umiliazione circoscritta e la vittima, con un po’ di fortuna, si sente diminuito in quell’istante e di fronte a quel gruppo, ma non in altri contesti, momenti e gruppi sociali che frequenta. Se quella medesima umiliazione diventa “virale” (una parola immonda, parte integrante del nostro lessico della Tetra Repubblica) non hai più luogo dove nasconderti e la vergogna diventa annichilazione.

Non ricordo nessun ragazzo suicidatosi per bullismo fino all’avvento dei social (posso sbagliare anche qui, dove potrei mai trovare dei dati?) perché prima c’era una vergogna limitata, dopo è arrivato l’annullamento della persona.

L’annullamento di Alter da parte di Ego è diventato un meraviglioso gioco contemporaneo. Il Call of Duty miscelato da Isola dei famosi, con colonna sonora di Fedez e regia De Filippi. Mi chiedo e vi chiedo: sono i ragazzi a essere artefici e vittime del bullismo o sta diventando un fenomeno di massa? Quando – in epoca pre-colombiana – vedevo le Tribune politiche, da Togliatti ad Almirante si trattavano tutti con rispetto; oggi se non perculi in continuazione il tuo avversario, al talk show neppure ti invitano. La comunicazione politica, oltre che mero slogan, è diventata un distillato di invettive dove lo scopo è guadagnare punti in questo gioco che ha avuto la sua svolta spettacolare con Beppe Grillo. Chiamare Berlusconi ‘psiconano’, Napolitano ‘salma’, Veronesi ‘cancronesi’ e via discorrendo (QUI un bel repertorio) non significa affatto fare satira, né fare politica, né fare critica. Significa fare i bulli, perché se tu sei l’ebetino (Renzi) ho tagliato i ponti con la possibilità di dialogare con te; se tu sei Gargamella (Bersani) ti annullo come persona nell’immaginario collettivo. Annullare l’avversario col nomignolo che strappa la risata ridanciana a chi poco riflette è il primo passo per il dispotismo della parola che passa anche per le fake news e le piazze chiamate al grido di “Vaffanculo!”, tutte cose di cui abbiamo a lungo parlato qui su HR. E si parcheggia negli stalli dei disabili, e vaffanculo a loro. E si buttano le briciole della cena nel terrazzo di quelli sotto, e vaffanculo anche a loro. E ognuno vivaddio vuol fare quello che gli pare e vaffanculo a tutti.

Serra, infine, ha semplicemente ragione. C’è un’ovvia relazione – da decenni nota e studiata – fra livello di istruzione, classe sociale, cultura famigliare e conseguente destino sociale dei figli. E ha ragione Serra a stupirsi, seccato, della non accettazione di questa banale verità sociologica che non ha che fare col singolo figlio di operai educato e intelligente né col figlio del dottore villano e tossico; ha a che fare con dati aggregati, sociali appunto. Allora, per concludere: la società dei bulli (questo ci ha regalato il nuovo millennio) produce bulli, cosa vi aspettavate? La società degli analfabeti funzionali ha prodotto ragazzi bulletti e genitori che vanno a picchiare i professori. Come la società dell’impolitica (perché la politica è dialogo, è argomentazione, e serve cultura per farla) ha prodotto i leghisti e i grillini.

Ma perché parliamo dei bulli quindi?