Oh mio Dio, voi mi terrorizzate con la vostra incomprensione! (Fëdor Michajlovič Dostoevskij, I fratelli Karamazov)
Arriva il coronavirus cinese. Panico. Non si parla d’altro. Amic* intelligenti scrivono su Facebook, su Twitter, boiate tremende, senza accorgersi che ciò che scrivono, in realtà, mostra loro stereotipi culturali, paure inespresse, ansie immotivate, in una miscela che, ve lo dico, mi procura qualche prurito. E questi sono gli/le amic* intelligenti. Ma, si sa, l’intelligenza è un concetto vago e ambiguo, e una discreta parte dei miei amici intelligenti è disinformata, male informata. Persa in un labirinto di pre-saperi, conoscenze tacite, stereotipi, arroganze, luoghi comuni, aggiustamenti per quieto vivere, senso di appartenenza a sottoculture e via narrando, tale da percepire un certo mondo, e comportarsi entro e verso esso in maniera consona a tale percezione, ma disfunzionale rispetto alla realtà (qualunque cosa intendiate con ‘realtà’).
I problemi di fondo che mi pare di cogliere sono due:
- il virus, questo bastardo! Non si vede, è subdolo, infido! Mi priva della morte gloriosa dell’asteroide, prima ancora di privarmi della mia sacra vita, proprio la mia, così importante, fondamentale, perché io non voglio morire!
- Cinese: diciamolo chiaro, se questo coronavirus fosse scoppiato inizialmente a Reggio Emilia saremmo più sereni; ma dall’Oriente, dalla Cina! (o, all’epoca dell’Ebola: dall’Africa nera!).
D’accordo, nessuno vuole morire. Colpa di Cartesio, del cattolicesimo e della medicina occidentale meccanicista. Ma è così: sempre più viviamo nel particolarismo narcisistico, nella dilatazione edonistica del sé: io, io, io e poi i prossimi immediati (coniuge e figli, forse i genitori) e sostanzialmente basta. I sociologi li chiamano “legami deboli”. I selfie sono la celebrazione eucaristica di questa nostra religione dell’essere immediato, dell’eterna giovinezza, del fitness, dell’apericena. E del Papeete, per capirsi. Pochissimi comprendono la differenza fra vivere e campare; pochissimi comprendono (non solo e tanto con la mente razionale) la contiguità del vivere col morire e la necessità di quest’ultimo. E che all’Universo importi un fico secco della nostra morte non sembra portare conforto a noi mortali, e non capisco il perché.
Ma il virus, diomio, quel bastardo! Dov’è? Com’è? Chi infetta? Dagli all’untore! La cinematografia di questi decenni (grande specchio sociale) ha ormai una produzione sterminata di film catastrofistici imperniati sui virus (e sugli spin off di vampiri e di apocalissi Zombie), assai più paurosi di quelli con alieni cattivi, con catastrofi naturali e altre amenità. Il virus può già avere infettato il tuo vicino, tuo figlio, tua moglie… Ecco, sta mutando proprio ora! Come dividersi fra paura e affetto? Come sopprimere il caro diventato alieno, ormai trasmutato dal virus (“Sparale. Non è più tua moglie, lei non esiste più. È solo uno zombie”)?
BTW: ogni anno muore al mondo mezzo milione di persone per l’influenza: 7.000 solo in Italia. Di influenza. Ma non c’è panico; anzi, ci sono i simpatici no vax.
La Cina è lo spettacolare laboratorio contemporaneo della nostra possibile sopravvivenza. Ve lo dico: sono strafelice che questo ennesimo virus sia originario di quel Paese: se seguite senza pregiudizi quello che sta succedendo, e ovviamente con un po’ di informazione seria, capirete che se c’è una possibilità di sconfiggere il virus i) presto; ii) con efficienza; iii) col minimo di vittime possibili, beh, questo posto è la Cina (Repubblica Popolare, per capirsi). Le ragioni sono facili da comprendere: solo un’oligarchia come questa (unica al mondo) può mettere in quarantena un’intera città come Wuhan (12 milioni di abitanti), chiudere tutto, costruire un ospedale in sei giorni, inviare medici e truppe e, allo stesso tempo, garantire la vivibilità dei cittadini (leggete sul Corriere di oggi le testimonianze degli italiani in quella metropoli) con, badate bene, il consenso della popolazione, la sua capacità di sacrificio, il suo fortissimo senso identitario e patriottico. Ti figuri se l’epidemia scoppiava a Roma, o a Catania o a Lodi?
Eppure la diffidenza verso i cinesi, carica di incredibili luoghi comuni, continua tranquillamente a imperversare, di bocca in bocca, di penna in penna, di stato condiviso su Facebook a ritweet su Twitter.
Ora, vi prego di sedervi, calmarvi (se ce n’è bisogno) e ragionare su questa breve conclusione: o questa volta, per una somma di questioni incomprensibili a noi umani, proprio questo virus è quello che ci ucciderà tutti, e allora questo sarà uno degli ultimi nostri articoli, OPPURE a breve si troverà il vaccino, o si conterrà l’infezione, i morti saranno pianti e i vivi continueranno a fare la vita di sempre, come di fatto è successo dopo ogni potenziale pandemia che ha avuto i titoli sui giornali in questo decennio (Ebola, Sars, aviaria…), titoli che hanno avuto, sempre, regolarmente, la capacità di creare allarmi e rinforzare stereotipi; farci paura e quindi farci straparlare.
Calmatevi, vi prego. Godetevi il festival di Sanremo, la vittoria di Bonaccini, quel che vi pare ma, soprattutto, vi prego, vi prego, vi supplico: quando fate un pensiero e lo volete condividere su Facebook fate un veloce esame di realtà: conosco l’argomento sul quale sto per esprimere un giudizio? Lo conosco come? Quanto sono influenzat* dalle mie paure, dalla mia ignoranza, dagli amici di Facebook, dal mio gruppo di pari (colleghi d’ufficio, amici della bocciofila…).
Insomma; anche in questo caso, come sempre, un grande obiettivo, una grande sfida, ci attende: non omologarsi!
