Più centralismo statale, più sorveglianza di massa e #italexit. Il dopo COVID sarà un incubo.

Come sarà l’Italia dopo che sarà passata a’nuttata e l’emergenza COVID-19 sarà terminata?
Questa è una domanda che si sente e legge spesso, ultimamente, non solo qui su HR, ma anche e soprattutto nei media mainstream.

La risposta, per ora, sembra essere unanime, e – dal mio punto di vista – tutt’altro che rassicurante. Diciamo pure “un incubo”.
La sensazione che ho (seguendo le notizie in TV, leggendo i commenti sui social) è che la maggioranza dell’opinione pubblica italiana abbia già provveduto a trarre dall’esperienza del COVID ulteriori rafforzamenti alle proprie pregresse (e deleterie) convinzioni.

In un Paese da sempre incline al fascismo in senso lato, non c’è da stupirsi se l’italiano medio, dinanzi alla scena dell’ospedale cinese costruito in pochi giorni, abbia commentato che in fin dei conti nelle dittature esistano anche dei vantaggi.
Ma merita una menzione speciale anche quella (ormai abbastanza nutrita) schiera di commentatori un po’ più colti, “smart” e cosmopoliti che, pur condannando la dittatura cinese complessivamente, manifestano simpatie e apprezzamento per l’uso che il regime fa della tecnologia; sorveglianza di massa, riconoscimenti facciali e via dicendo si sarebbero rivelati una manna dal cielo, per contrastare il virus.
Dulcis in fundo, pare stiano riprendendo vigore anche i no-euro e i fan dell’Italexit, sdegnati dall’uscita (effettivamente infelice) di Christine Lagarde dello scorso 12 marzo (“Non siamo qui per chiudere gli spread“). La donna-madre-cristiana Giorgia Meloni non ha perso tempo e ha subito provveduto a illustrare ai suo i seguaci tutti i dettagli di questo ennesimo complotto franco-tedesco (qui un sunto delle sue pregevoli teorie, per chi ha lo stomaco forte).
C’è da scommettere che poco importerà, ai patrioti nostrani, ciò che era avvenuto prima di quella dichiarazione (la concessione di tutta la flessibilità di cui abbiamo bisogno da parte della Commissione Europea) e soprattutto di ciò che è avvenuto dopo, con la stessa Lagarde che ha rilanciato il QE da 750 miliardi di euro: la realtà e i fatti, come sappiamo, al giorno d’oggi contano ben poco rispetto alla propaganda infarcita di balle trasmesse via social.

A parte tutto ciò, c’è un ulteriore aspetto su cui vale la pena concentrarsi.
Paolo Pagliaro, nella sua rubrica “Il Punto” all’interno della trasmissione 8 & mezzo, nella puntata del 14 marzo ha citato un paper della Fb Associati secondo cui, dopo l’emergenza COVID-19, cambierà di molto il “senso comune” dei cittadini su alcune questioni fondamentali, tra cui “il rapporto pubblico-privato nei settori nevralgici della società” (con un netto rafforzamento del settore pubblico) e quello tra Stato centrale e Regioni (con massiccio ritorno a più centralismo).

Molto più esplicito il Mega-Direttore del Fatto Quotidiano, che il 15 marzo deliziava i lettori con un editoriale di cui riporto solo i passaggi più significativi.

Normalità vuol dire mettere in salvo la sanità pubblica, cioè la nostra salute, levandola alle Regioni, cioè sottraendola alle grinfie di satrapi e mitomani che si fan chiamare governatori (…) e riportandola sotto il ferreo controllo dello Stato. (…)

Normalità è stabilire che la sanità privata se la pagano i privati con i loro soldi: tutta. Ciascuno è liberissimo di costruirsi una clinica e di ospitarvi chi se la può permettere, ma deve sapere che non avrà un euro dallo Stato. Perché lo Stato deve curare tutti i malati, ricchi e poveri, bisognosi di terapie più o meno complesse e costose, e non indebolire le strutture pubbliche per spianare la strada ai privati “convenzionati ”, che poi privati non sono perché i soldi che intascano sono i nostri.

Normalità, se proprio non vogliamo abolire le Regioni, è dare almeno al governo più poteri ordinari per commissariarle appena è necessario. Ora i presidenti di quelle meridionali confessano serafici, praticamente a una sola voce, di non essere in grado di affrontare l’emergenza coronavirus perché i loro ospedali hanno pochissimi posti di terapia intensiva. E a chi lo dicono, a noi? Siccome non sono piovuti dalla luna, ma rappresentano partiti che governano quelle regioni ininterrottamente o con qualche intervallo da decenni, dovrebbero spiegare dove sono finiti i soldi (anche se lo sappiamo bene) che ogni anno ricevono dallo Stato (115 miliardi a botta). E poi passare le consegne al governo centrale per manifesto fallimento. A partire dalla Calabria, dove il centrodestra che ha vinto le elezioni 50 giorni fa non riesce nemmeno a formare una giunta, figurarsi a gestire pandemie.

Normalità è non ripetere mai più (né accettare che si ripeta) la frottola della “sanità lombarda migliore del mondo”. Certo, ha medici, infermieri e strutture di eccellenza, ma anche una distribuzione delle risorse a dir poco criminale. Chi non l’avesse ancora capito dovrebbe essere obbligato per decreto a leggersi la sentenza Formigoni, il sedicente “governatore ” condannato a 5 anni e 10 mesi (di cui appena 5 mesi scontati in carcere) per associazione a delinquere e corruzione per avere incassato almeno 6,6 milioni di tangenti in cambio di almeno 200 milioni di euro prelevati dalle casse della sanità regionale e dirottati alle cliniche e agli istituti privati, tipo il San Raffaele e la Maugeri.
Quanti posti di rianimazione si creano con 200 milioni?
Quanti respiratori, quanti tamponi, quante mascherine si comprano?

Normalità è pagare le tasse e stangare senza pietà chi non le paga. Non ora che vanno sospese e rinviate per chi non può pagarle. Ma dopo sì, cazzo. Se la Germania ha 28mila posti di terapia intensiva e noi 5mila, se ci mancano medici, infermieri e macchinari, non è solo per gli sprechi e le tangenti, ma soprattutto per lo spread dell’evasione impunita”.

Ecco, poiché mi rendo conto che queste parole sono condivise (se non altro nella sostanza) da moltissima gente (compresi probabilmente molti lettori e financo alcuni autori di HR), vorrei provare a mettere in fila qualche fatto e considerazione.

1. Il centralismo c’è da 150 anni. Esattamente come la questione meridionale.

Travaglio sembra rimpiangere dei mai esistiti “bei tempi andati” in cui la sanità era “sotto il ferreo controllo” dello Stato centrale. Come funzionasse questo “ferreo controllo” lo ha egregiamente spiegato Vittorio Mapelli su LaVoce.info:

“Fin dalle sue origini e in quasi tutte le regioni il Sistema sanitario nazionale ha sempre accusato forti deficit. Solo nel 2001 fu affermato il principio della responsabilità regionale nella copertura del disavanzo creato e, tra il 2007 e il 2010, dieci di loro dovettero assoggettarsi alle drastiche misure dei “piani di rientro”. Prima di allora, il deficit di tutte le regioni gravava sullo Stato ed era coperto con mutui bancari, Btp o Cct. Tra la prima del 1985 e l’ultima del 2007 furono attuate non meno di 24 operazioni di ripiano, ogni volta per “girare pagina”.

Naturalmente, quando si legge “gravava sullo Stato”, bisognerebbe sempre ricordarsi che non tutte le Regioni contribuiscono allo stesso modo al PIL del Paese. Come ha spiegato Boldrin in una mirabile sintesi della questione, sono di fatto gli abitanti di una manciata di Regioni a finanziare la spesa pubblica di tutte le altre. Ed è questo stato di cose che portò alla nascita della prima Lega, quella che si rifaceva alle idee di Gianfranco Miglio (che oggi probabilmente si rivolta nella tomba ogni volta che Salvini apre bocca).

Con la riforma del 2001, dunque, alle Regioni furono sì assegnati più poteri su molte materie tra cui la sanità, ma contestualmente anche -in teoria – più responsabilità. Dico in teoria perché, come spiega l’Osservatorio dei Conti Pubblici, la responsabilizzazione non è mai arrivata davvero: ” il governo continua a ripianare i disavanzi sanitari regionali, così incentivando i comportamenti irresponsabili di alcune regioni” (da cui, poi, l’esigenza di ricorrere ai piani di rientro di cui parla dettagliatamente l’articolo). Quali siano queste regioni potete immaginarlo, ma se siete carenti di fantasia potete guardare la Fig. 3.

Immagino che Travaglio si riferisca a questo quando si lamenta per i “115 miliardi a botta” che le regioni del Sud ricevono dallo Stato. Nel qual caso, qualcuno dovrebbe spiegargli che tutto ciò non dipende dall’eccesso di federalismo, ma dal fatto che non c’è alcun federalismo. Se ci fosse, le Regioni sarebbero interamente responsabili del finanziamento della sanità e riceverebbero 0€ dallo Stato centrale. E, in caso di dissesto, sarebbero costrette ad aumentare le tasse o a tagliare altrove, o a inventarsi qualcosa. I più “cinici” sostengono che solo così gli amministratori locali potrebbero finalmente responsabilizzarsi, e, in un effetto domino positivo, i cittadini iniziare a eleggere amministratori locali con criteri diversi dal solo clientelismo.

2. E se i satrapi fossero anche a Roma, oltre che nelle Regioni?

Altrettanto curiosa mi sembra, nella visione di Travaglio, l’idea che la malapolitica si annidi sempre e solo a livello locale, mentre a livello centrale esiste un ideale “Stato” retto da individui probi e d’ogni virtù ripieni. Eppure spesso il Governo centrale è sostenuto dagli stessi partiti che poi vincono anche a livello regionale; e in certe regioni del Sud si può notare anche una certa “regolarità” nel saltare sul carro giusto al momento giusto. A voler pensar male si potrebbe ipotizzare che in quelle regioni molti si rechino alle urne convinti che la propria zona verrà “trattata meglio”, se il governatore è un compagno di partito di chi governa a Roma in quel momento.

3. orrore: i privati convenzionati

C’è un’idea che a Travaglio sembra fare particolarmente orrore: che un lo Stato possa rimborsare un cittadino che usufruisce di un servizio erogato da un privato convenzionato. Ora, in linea teorica il discorso può anche tornare: una Regione potrebbe decidere di azzerare i rimborsi di quel tipo e usare i soldi risparmiati per potenziare le strutture pubbliche. Tuttavia esiste anche il problema del “qui e ora”, e di fatto il sistema dei rimborsi presso strutture private convenzionate permette a molti pazienti di evitare (e al tempo stesso snellire) liste d’attesa chilometriche nelle strutture pubbliche. Pagando lo stesso ticket che pagherebbero presso gli ospedali pubblici.
Cosa più importante, bisognerebbe prendere atto del fatto che in diversi Paesi al mondo (tra cui quella Germania citata dall’autore) esistono sistemi sanitari all’avanguardia che si basano su un principio diametralmente opposto a quello italiano: lo Stato fa in modo che tutti abbiano un’assicurazione sanitaria (pubblica per i redditi più bassi o privata per quelli più alti), dopodiché si lascia che sia il cittadino a scegliere in quale ospedale farsi curare.

Questa dinamica rappresenta, secondo me, la miglior prevenzione a quei fenomeni corruttivi “à la Formigoni” citati da Travaglio (tentai di spiegarlo qui): finché un qualche amministratore statale avrà la facoltà di indirizzare milioni di euro a soggetti privati, è fisiologico che qualcuno si adopererà per corromperlo. Diverso è se i privati, anziché ricevere soldi “dall’alto” (cioè dall’amministrazione, sia essa centrale o periferica), devono prenderli “dal basso”, cioè dai clienti.
In Italia, tuttavia, esiste una vasta corrente di pensiero (di cui Travaglio è massimo Opinion Leader) secondo cui per risolvere il problema della corruzione, oltre all’immancabile triade “più Stato – più leggi – pene più severe“, basti sostituire i politici disonesti con gli onesti. Questi ultimi da individuare semplicemente esaminando la fedina penale e l’eventuale presenza di conflitti di interessi.
A cosa abbia condotto questa mentalità è sotto gli occhi di tutti. Di Maio al Ministero del Lavoro prima e degli Esteri poi, Toninelli al Ministero dei Trasporti.