La spagnola fu una disgrazia apocalittica. Potete anche semplicemente leggere la Wiki se non ne avete un’idea precisa, ma si trattò di decine e decine di milioni di morti che decimarono una generazione giovane, appena uscita dalla prima guerra mondiale. Miseria, ignoranza (a lungo si equivocò come batterica la malattia), complicità dei governi nell’iniziale censura della notizia (causa guerra). Considerate che malgrado i numerosi studi successivi, anche recenti, non è ancora neppure chiaro quale sia stata l’origine della malattia (comunque non fu la Spagna). Se si prende per buona la stima “alta” dei morti da spagnola (100 milioni), su una popolazione all’epoca di circa due miliardi di persone la mortalità globale (diversa però da Paese a Paese) fu mediamente del 5% (mezzo milione in Italia).
Nessuna similitudine eziologica, epidemiologica o altre di stampo sanitario col coronavirus, naturalmente (QUI alcune spiegazioni in merito), ma i due casi (Covid 19 oggi e influenza spagnola nel 1918-20) si prestano a una comparazione sociologica relativa alla capacità di risposta sociale e alle conseguenze di tale risposta.
La differenza sociale più evidente fra quanto accade oggi con la pandemia Covid 19 e quanto accadde in passato con altre pandemie (la spagnola, ma anche precedenti) riguarda la straordinaria interconnessione sociale del giorno d’oggi. Con un virus meno letale, una scienza medica incomparabilmente più evoluta, risorse tecnologiche, economiche e sanitarie enormemente superiori, una popolazione meglio nutrita, non reduce (in Occidente) da alcuna guerra devastante, e con tutte le molteplici differenze storiche tutte a nostro favore, si può ipotizzare che se i morti sono stati tantissimi di più un secolo fa, il disastro strutturale è assai maggiore oggi. Nel 1918-20 in Europa (limitiamoci al nostro continente) la grande parte della popolazione era rurale e le famiglie erano numerose; la ruralità implica un alto tasso di autosostentamento, mentre il tasso di fertilità riconduce alla veloce sostituzione generazionale. Per quanto dolore possa avere provocato la morte di tante persone, evidentemente con affetti e storie e relazioni, le conseguenze di queste morti furono di breve periodo, forse non per le famiglie colpite e private di fonti di sostentamento quanto per la società in generale. Anche nelle città e nei Paesi industrializzati la momentanea carenza di manodopera non produsse effetti negativi se non a breve, temporanei.
Quello che sto dicendo – assumendo un punto di vista “alto”, relativo alla società umana nel suo insieme – è che un basso livello tecnologico, urbano, economico, relazionale, quest’ultimo per lo più circoscritto al borgo, hanno consentito di registrare un contraccolpo limitato, e facilmente riassorbito, al tessuto sociale nel suo complesso.
Anche se i conti col Covid 19 li faremo fra qualche mese, o anno, quello che al momento appare è assai diverso: oltre all’estrema rapidità della diffusione del contagio, le misure di contenimento incidono sensibilmente sul sistema economico e sociale altamente interdipendente della nostra società globalizzata. La stragrande parte della popolazione occidentale vive di servizi, poi di industria e solo marginalmente di agricoltura. E i “servizi” di cui parliamo non solo sono variegati e diffusi in maniera inimmaginabile all’inizio del secolo scorso, ma fanno anche parte di uno stile di vita totalmente alieno da quello: il bar e l’aperitivo, la corsa al parco e la palestra, il club e il pub e il kebab, per dirne solo alcuni, sono diventati snodi necessari alla nostra strabordante umanità (quattro volte la popolazione presente all’epoca della spagnola), così come i viaggi, le crociere, le scopamicizie, i circoli politici, il marketing multilivello e le comparsate ai talk show… Il mondo delle relazioni oggi è letteralmente esploso rispetto a quello assai più monotono e limitato – salvo che nelle élite intellettuali ed economiche – dei primi del ‘900.
Oggi consumiamo più relazioni (non necessariamente migliori o più appaganti) sociali, ma – questo punto è più rilevante – siamo necessitati da relazioni economiche ramificate e complesse in maniera poco considerata dal cittadino medio. La maggior parte dei prodotti del vostro supermercato viene da differenti e distanti Paesi del mondo; la logistica legata al loro precoce imballaggio, spedizione e arrivo sugli scaffali deve avere precisioni temporali millimetriche. I prodotti vegetali e animali sono raccolti in un dato modo e tempo, confezionati in una data maniera, spediti con determinati vettori, per garantire al consumatore una qualità media standardizzata. Noi passiamo distratti, prendiamo una busta di banane e le mettiamo nel carrello, ma dietro quella confezione non ci sono solo molte decine di persone che quelle banane hanno materialmente raccolto e trasportato, ma altrettante che hanno studiato sistemi, percorsi, stoccaggi, refrigerazioni, manipolazioni… e tutti costoro non stanno al piano di sopra del vostro supermercato, ma sparsi in giro per il mondo.
Le aziende manifatturiere che non producono prodotti a bassissimo valore aggiunto (mattoni, per esempio, o tavole di legno, o grondaie di alluminio…) ricevono componenti da tutto il mondo e, a loro volta, ne esportano altrove, in un ciclo produttivo complicato da manomettere e interrompere; la successione dei contagi ha prima paralizzato una fetta importante di industrie occidentali che compravano o vendevano componenti o pezzi finiti in o dalla Cina, per poi vedere inceppare i successivi meccanismi con gli altri produttori/compratori europei e americani.
Oggi la maggior parte della popolazione occidentale non sa fare un accidente di niente. La parcellizzazione delle attività produttive umane è una delle evidenti ragioni della nostra aumentata fragilità. La nostra produzione di rifiuti è vergognosamente colossale, ma solo pochissimi si rendono conto di quanto lavoro – se le cose funzionano – ci sia dietro il loro smaltimento, per impedire di soffocare nel pattume nel giro di un mese. Molte persone, con tecnologie dotate di brevetti internazionali, e non di rado con lo spostamento materiale dei rifiuti a migliaia di chilometri di distanza. Senza queste tecnologie, logistiche e addetti saremmo disperati… Ora replicate questa disperazione anche per l’approvvigionamento dell’acqua, della luce, del gas per consentirci, ogni sacrosanta mattina, di farci un caffettino, aprire il computer e leggere Hic Rhodus, per esempio. Per telelavorare, se avete la fortuna di telelavorare; per far funzionare la metro, se andate al lavoro con la metro (o, se siete milanesi, con il metrò). Se vi si ottura il bagno, che avete in casa con acqua corrente, chiamate un tecnico; se volete mangiare vietnamita prenotate il ristorante o, in epoca di coronavirus, contattate un sistema di delivery. Pagate con PayPal, con la carta di credito o il bancomat, sistemi complessissimi che coinvolgono oscuri sistemi finanziari, di sicurezza, di codifica e crittografia…
Ecco: la crisi attuale – al di là degli elementi “contabili” tutti seri e drammatici (i morti, i malati, i posti di lavoro persi, i soldi finiti…) mostra con grande evidenza questa piccola verità:
la specie umana si è rapidamente evoluta da aggregato di individui separati che interagivano, a melassa collettiva di elementi interconnessi ma ignoti.
Il mio trisavolo molto probabilmente poteva procacciarsi cibo e riparo da sé; conosceva il suo ambiente, aveva una varietà di bisogni elementari piuttosto ridotta, e sapeva competere nell’ambiente che era casa sua, un ambiente formato da poche strade, da poche case, e da poche persone tutte ben conosciute. Già mio padre – ragazzino all’epoca della spagnola – avrebbe fatto assai più fatica ma, in qualche modo, se la sarebbe cavata. Io, semplicemente, morirei nel giro di 48 ore se fossi abbandonato a me stesso. Dove trovare da mangiare se il supermercato non funzionasse più? Dove procurarmi da bere? Come scaldare il cibo, non avendo più stufe a legna? Come illuminare casa, non avendo più candele? Come fare qualunque cosa, non sapendo fare nulla?
Il Covid 19 è la simulazione di una prossima tempesta perfetta dove i morti saranno ancora meno di quelli attuali (perché probabilmente sapremo individuare presto la cura grazie alle tecnologie biologiche e farmaceutiche) ma dove le interdipendenze saranno ancora maggiori, e più vincolanti, più estese, più globalizzate. Il mondo dove già siamo entrati è quello dove milioni di persone dipendono da sistemi intelligenti, macchine, software di cui non sanno assolutamente nulla, e che sono però diventate protesi indispensabili alla nostra sopravvivenza. E la stragrande maggioranza di queste persone sanno scrivere un codice informatico, sanno fare la critica alle opere di Shakespeare, sanno tradurre un testo tecnico dal coreano e sanno costruire indicatori di performance, ma non sanno procacciarsi di che vivere fuori da questo sistema, interdipendente, globalizzato, dal quale siamo esclusi. Vale a dire: se si inceppa qualcosa, siamo fottuti.
Se c’è quindi una cosa che questa crisi ci insegna, sotto il profilo sociologico, è che siamo enormemente più vulnerabili dei nostri nonni, non già come singoli individui ma come specie.
Risorse
Sulla influenza spagnola:
- Toby Saul, La Spagnola: la grande pandemia del 1918, “Storica National Geographic”, 7 apr 2020;
- C. Patriarca e C.A. Clerici, Pathologica ai tempi della Spagnola, “Pathologica”, 4 dic 2018 (ricostruzione del dibattito medico dell’epoca);
- Francesca Venturi, Perché quella del Covid-19 non è fra le peggiori pandemie della Storia, “AGI”, 26 apr 2020 (una comparazione fra le 27 peggiori pandemie della storia);
- Romaric Godin, Le conseguenze economiche della spagnola, “Il Fatto Quotidiano”, 9 mar 2020.
Approfondimenti sugli esempi presentati nell’articolo:
- Emilia Romagna, ecco come funziona un efficiente ciclo integrato dei rifiuti, “Ricicla.tv”, 21 feb 2018;
- Dove vanno i rifiuti, “Il Post”, 16 set 2018;
- Claudio Bezzi, La civiltà dei rifiuti, “Hic Rhodus”, 21 gen 2015;
- La via del pescato: come il “pesce più fresco d’Italia” arriva a Milano ogni giorno, “Wired”, 9 ott 2019;
- Coronavirus. Confagricoltura: “Scambi commerciali a picco, salviamo agricoltura italiana”, “Agricoltura.it”, 21 apr 2020;
- Secondo il WTO l’epidemia di COVID-19 causerà probabilmente una contrazione degli scambi commerciali peggiore di quella della crisi del 2008, “il Post”, 8 apr 2020;
- Teresa Scarale, Covid, Wto: commercio mondiale giù di un terzo nel 2020, “We-Wealth”, 8 apr 2020;
- Filippo Ottonieri, Noi robot domineremo la Terra, “Hic Rhodus”, 17 ott 2014.
Globalizzazione, interdipendenza:
- Andrea Fracasso, Globalizzazione: integrazione, sovranità, conflitti, “EconoMia”, 15 dic 2018;
- Marco Magnani, Globalizzazione: i rischi della rivoluzione tecnologica, “Affari Internazionali”, 14 ago 2017;
- Pantaleo Monterisi, Processi di categorizzazione sociale e d’interdipendenza nelle organizzazioni, “State of Mind”, 13 otto 2014;
Prepararsi al peggio:
- Claudio Bezzi, Arriva l’apocalisse. Siete preparati per sopravvivere?, “Hic Rhodus”, 9 set 2015;
- Silvia D’Amico, In attesa della prossima pandemia, “Hic Rhodus, 24 feb 2016.