Scandalo Campania, scandalo Italia

La Campania che permane in zona gialla perché – riafferma Boccia a Porta a porta – “i numeri dicono che è da area gialla” (fonte), a fronte di decine e decine di testimonianze del collasso degli ospedali e dell’incremento dei contagiati in quella Regione, dice assai di più dello specifico problema (il Covid) ed è indicatrice di molteplici questioni, tutte estremamente gravi:

  1. è naturalmente indicatrice del disastro della sanità campana, certo. Ma detto così resta vago e i responsabili sfuggono all’analisi: poiché la sanità è competenza regionale, bisogna allora dire chiaro e forte che il disastro della sanità campana è responsabilità di chi, quella Regione, ha governato almeno negli ultimi 20 anni. Non solo De Luca, quindi, ma certamente anche De Luca; alzando appena appena lo sguardo, e considerando i disastri in numerose altre Regioni, è questo il momento di dire basta a un regionalismo autarchico e pecoreccio, regno incontrastato di ras locali di regola di infima statura politica. Ne abbiamo parlato da poco, se vi interessa approfondire;
  2. è, specularmente, indicatrice di un governo debole; debole in parte perché il regionalismo becero è incline al contenzioso infinito, e in parte perché questo governo non ha un’identità, non ha una visione e, di conseguenza, non ha una politica. Il governo è nannimorettiano (fanno cose, vedono gente…) e fa quel che può (che è una ridicola parte di ciò che sarebbe necessario) a partire da quello che sa (cioè quasi nulla). A parte le necessarie dichiarazioni di Conte e i pochi bla bla di Di Maio, il silenzio di Zingaretti e dei dirigenti dem è diventato talmente usuale che ci siamo abituati; ci stupiremmo sentirli prendere una posizione, ci ricorderebbe all’improvviso che pure loro sono nel gabinetto Conte, il secondo peggiore di sempre!
  3. Il disastro della Campania (e di molte altre Regioni) rinvia all’incompetenza generalizzata dei dirigenti e funzionari chiamati a sostenere la politica con idee, proposte, dati. Gli aneddoti che ho accumulato in questi anni sull’insipienza di questa (generalmente) arrogante categoria di funzionari pubblici fanno accapponare la pelle, e finiranno nella tomba con me perché non potrei permettermi denunce e querele (che loro pagherebbero con soldi pubblici, io coi mei);
  4. questa paradossale situazione (“la Campania è gialla perché così dicono i dati”) rinvia al livello borbonico in cui naviga l’amministrazione pubblica in Italia: non ci sono sistemi informativi decenti; quando ci sono (decenti e indecenti) sono in mano a privati che tengono in ostaggio i dirigenti e funzionari preposti, quasi sempre incapaci di interagire con l’oggetto “dato” senza una balia al fianco; i dati che afferiscono alle Regioni, e da questi sono inviati al Ministero, sono tutto fuorché attendibili; sono fatti alla carlona, in ritardo, senza accuratezza, da operatori periferici che spesso non hanno il tempo materiale per curare questo aspetto “burocratico” (e poco compreso) del loro lavoro. E a volte sono, semplicemente, falsi. Ne ho parlato in una videoclip su YouTube, se vi interessa approfondire;
  5. l’andazzo complessivo nelle Regioni è l’esternalizzazione, la privatizzazione; si sono (quasi?) tutte private di un efficiente sistema informativo interno, come detto, ma stanno anche da anni provvedendo allo smantellamento di un sistema sanitario che ERA di eccellenza nel mondo, ma oggi non più. E vorrei dire che questo smantellamento, sempre a favore dei privati, non è una perfidia della destra liberista; io che vivo in Umbria ho visto qui come il processo sia stato da anni avviato, ben prima del recente arrivo della presidente Tesei (centrodestra), quando la burbanza della “sinistra” locale (virgolette d’obbligo) ha duramente colpito sanità, politiche sociali, territorio, periferie;
  6. lo scandalo, quindi, è dell’intero Paese; oggi che aspettiamo il Recovery fund, e che imploriamo il MES (se sua Grazia Di Maio si concedesse il lusso di un pensiero…) ci dobbiamo anche chiedere cosa ne faremmo; Ottonieri, su questo blog, ha già spiegato perché lo useremo male, come male usiamo (poco e sprecando) i Fondi strutturali europei. C’è, in conclusione, un drammatico loop nel quale ci siamo ficcati in questi decenni: governi sempre più deboli si confrontano con Regioni sempre più aggressive; regioni con eccessive competenze che non sanno soddisfare adeguatamente, e governo che non le può surrogare. 

Non se ne esce. Per uscirne dovremmo fare una rivoluzione istituzionale, ma per questa occorre una classe politica rigorosa e carismatica, competente e coraggiosa. Il contrario di quella che abbiamo, grazie al populismo dilagante che si prefigge, come compito principale, quello di demolire le Istituzioni al grido di “viva l’incompetenza, viva il qualunquismo, uno vale uno!”. Vengono a proposito le parole di Galli della Loggia che mette in relazione la crisi della politica italiana col suo disgregamento regionalistico:

Fino ad una certa data la spinta alla frantumazione regionalistica e alla volontà di potenza dei suoi rappresentanti si è scontrata contro due ostacoli. In primo luogo contro strutture di partito dotate di una più o meno effettiva capacità di direzione, la cui esistenza valeva ad assicurare non solo una certa omogeneità d’indirizzo del partito stesso nell’intero Paese ma anche un vaglio e una cernita da parte del centro dei gruppi dirigenti locali. In secondo luogo contro l’ostacolo rappresentato dalla presenza al centro, a Roma, di una compagine di governo dotata a vario titolo di una qualche autorevolezza, vuoi per la forza politica della sua maggioranza, vuoi per la personalità del presidente del Consiglio e di almeno una parte dei ministri.

Il precipizio è iniziato quando entrambi questi ostacoli sono venuti meno. Emblematica in questo senso è stata la parabola del Partito democratico, che in certo senso era l’erede dell’intera tradizione partitica nazionale. Il suo disfarsi in questi anni ha voluto dire che di fatto ormai in Italia veri partiti nazionali da tempo non esistono più. Non esiste più alcun partito, cioè, in grado di designare in periferia candidati di propria scelta. La conseguenza è stata la virtuale frantumazione del nostro sistema politico in una molteplicità di subsistemi politici regionali ognuno deciso a fare da sé, soprattutto ognuno diretta emanazione di un ras locale. In Liguria, in Veneto, in Campania, nelle Puglie, in Emilia, infatti, non esistono né la Lega, né Forza Italia né il Pd: esiste solo il partito di Toti, di Zaia, di De Luca, di Emiliano, di Bonaccini. E nei loro feudi vorrebbero comandare solo loro, solo loro contrattare con gli interessi locali di cui vogliono restare buoni amici, solo loro decidere l’apertura delle discoteche, decidere quando fare il lockdown e quando no, stabilire sempre chi e come assumere o a quale clientela dare i soldi che vorrebbero amministrare in quantità sempre maggiore. Naturalmente sempre in nome dell’autonomia dei «territori» e sempre evitando le decisioni impopolari. Quelle semmai le prenda il governo (così consentendogli di protestare…).