Perché è fondamentale parlare ancora dell’Afghanistan

Chi comanda in Afghanistan? Il drammatico attentato di giovedì sera mostra con estrema chiarezza ciò che già si sapeva, ma che la semplificazione giornalistica non sempre riesce a mettere in evidenza. Dopo avere, i talebani, detto ripetutamente – a beneficio delle diplomazie non solo occidentali –  che l’Afghanistan non sarebbe diventato il paradiso dei terroristi islamisti, l’ISIS ha pensato bene di farsi sentire per smentire nettamente questa favola. L’attentato, fra i diversi scopi comunicativi che aveva, è stato un modo molto chiaro e veloce per far sapere ai talebani che non comandano loro, o quanto meno: comandano, sì, ma altre voci ci sono che pretendono di essere ascoltate. L’attentato all’aeroporto è il modo in cui ISIS-K (Isis del sedicente stato islamico del Khorasan) si è imbucata alla festa, fa capire di poter condizionare le future scelte talebane, pretende una fetta della torta. E dichiara che l’Afghanistam, come base operativa della sua rinascita, le va benissimo. ISIS-K e talebani sono da tempo impegnati in sanguinose battaglie tra loro. Prima delle esplosioni di giovedì, le agenzie di stampa hanno citato fonti militari secondo cui i talebani avevano intercettato e ucciso diversi militanti dell’ISIS ai posti di blocco intorno all’aeroporto. Inoltre, è stato riferito che diverse guardie talebane sono state uccise negli attentati. Un abisso ideologico separa i due gruppi secondo divisioni teologiche in seno alla famiglia sunnita che noi occidentali facciamo davvero fatica a capire, e che sostanzialmente fanno a gara nel pretendere una più autentica purezza islamista (conseguentemente considerando gli avversari come eretici da disprezzare). Dal punto di vista politico, mentre i talebani sembrano contenti, almeno per ora, di un emirato per se stessi all’interno dell’Afghanistan, il gruppo dello Stato islamico in Afghanistan e Pakistan si sforza di stabilire un califfato in tutta l’Asia meridionale e centrale e ha anche abbracciato l’appello dello Stato islamico per una jihad mondiale contro non musulmani (fonte). L’attentato di giovedì apre clamorosamente i giochi in modo non certo gradito ai talebani, che dovranno vedersela anche con la resistenza anti-talebana proclamata da Ahmad Massoud, che si è rifugiato nel Nord del Paese.

Oltre all’ISIS, in Afghanistan è ben presente anche quell’Al Quaeda che fu il pretesto per l’intervento americano. Secondo il Council of Foreign Relations, che richiama una recente relazione delle Nazioni Unite, sono presenti in Afghanistan fra 200 e 500 combattenti di Al Quaeda, probabilmente col loro capo Ayman al-Zawahiri, protetti dai talebani per le loro funzioni di addestratori. Per gli occidentali è difficile capire questa frammentazione della galassia islamista: ci sono ragioni religiose, come già scritto, ma anche “politiche”, di controllo del territorio e dei traffici, per esempio di droga (vedremo più avanti) con relativi proventi. Da un lato ciò rende la futura azione di governo talebana problematica (anche perché tradizionalmente mancano di strutture centralizzate in stile occidentale, tutto viene deciso in ristretti comitati di potere) e, dall’altro, estremamente pericolosa per l’Occidente. Senza un governo forte, capace di controllare il territorio, i fanatici di mezzo mondo avranno facile gioco a convenire qui, allestire campi paramilitari, attrarre seguaci e colpire dove vogliono. Ah, sì, abbiamo fatto davvero un grande affare!

La spietata legge coranica che i talebani impongono alla popolazione è un misto di codice tribale preislamico dei pashtun e di dottrina wahhabita (la più rigida nel panorama islamico) di origina saudita: sauditi, pakistani ed Emirati arabi sono forti ispiratori e finanziatori dei talebani; una cosa arcinota che non impedisce all’Occidente di fingersi “amico” dei sauditi e ai cinesi dei pakistani; quando impareremo a non accettare certe amicizie per ragioni economiche, per fare dispetto a terzi (per esempio alla Russia) o per interessi di corto respiro, alimentando nei fatto devastanti reazioni a catena che non si è in grado di controllare? Ma c’è un’altra conseguenza: Cina e Pakistan da una parte, e sauditi dall’altra parte, non hanno sempre e necessariamente la medesima convergenza di interessi, e sarà inevitabile che l’incerto futuro governo talebano subisca pressioni divergenti difficili da gestire. Altra fonte di tensioni e di instabilità.

I talebani hanno diverse fonti di reddito, sostanzialmente tutte criminali: secondo le Nazioni Unite solo nel 2020 potrebbero avere guadagnato 460 milioni di dollari dalla coltivazione del papavero (con gli americani occupanti, figuratevi ora che gli americani fuggono!); con la conquista dei valichi di confine impongono dazi doganali per migliaia di dollari al giorno, e si dedicano anche all’estorsione e al rapimento. Praticamente l’Afghanistan talebano sarà un enorme hub criminale, col controllo del 90% della produzione mondiale di oppio (fonte) alla quale aggiungere l’efedrina (un tipo di metanfetamina) estratta da un arbusto locale, l’efedra sinica, arrivata anche in Italia (fonte). In linea di principio i talebani si dicono contrari al commercio delle droghe, ma il loro spietato realismo li ha condotti prima a tassare i produttori, quindi a prendere in mano la redditizia filiera che gli ha permesso di comperare armi e attrarre seguaci. Alla faccia delle leggi islamiche e del Corano. Considerando il raddoppio dei consumatori mondiali di oppiacei nello scorso decennio, e la necessità di questi prodotti anche per l’industria farmaceutica, è evidente che i talebani si ergono da monopolisti in un mercato al quale partecipiamo anche noi occidentali, e l’ironia di questa contraddizione balza agli occhi. La soluzione sarebbe di comperare legalmente l’oppio dai produttori, sottraendolo alla trasformazione di eroina e rifornendone le aziende farmaceutiche: una soluzione prospettata dall’allora Commissaria europea Emma Bonino e rilanciata dal ministro italiano Amato al G8 di Mosca nel 2006; sapete rifiutata da chi? USA e Gran Bretagna! L’amministrazione americana ha speso 8,6 miliardi di dollari, fra il 2002 e il 2017, per sradicare il traffico di droga afghano (non perché sono buoni, ma per tagliare una cospicua fonte di finanziamento ai talebani), con un risultato che è sotto gli occhi di tutti (stessa fonte già citata).

Gli occidentali hanno sbagliato tutto, assolutamente tutto. Errore sciagurato è stata l’invasione, giustificata al mondo sulla base di menzogne evidenti; errori sistematici nell’occupazione, visto che i talebani sono riusciti a sopravvivere benissimo, organizzarsi e armarsi pur in presenza di forti contingenti occidentali. Errori nella exit strategy americana, a partire dai penosi accordi che Trump sottoscrisse a Doha coi talebani: tanta fretta di andarsene, concessioni ai telebani e poche garanzie. Una intelligence che non ne ha azzeccata una, dei consiglieri militari poco sagaci, uniti alla pressione dell’opinione pubblica interna, hanno malissimo consigliato il Presidente Biden che, naturalmente, ha messo dell’intelligenza sua nel ficcarsi in un pantano che ha evidenziato agli occhi del mondo la mancanza di leadership degli Stati Uniti e la continua, ripetuta inclinazione a scappare a gambe levate lasciando gli ex alleati nei pasticci (ne ho parlato QUI).

Terrorismo, droga, relazioni coi peggiori nemici dell’Occidente; questo è l’Afghanistan talebano dopo 20 anni di occupazione occidentale. Si può dire quello che si vuole: abbiamo anche costruito scuole, sì; abbiamo consentito alle ragazze di studiare e lavorare, sì; abbiamo permesso loro di ascoltare musica, proibita dai repressi talebani, è vero. Ma la somma si fa alla fine, una volta elencati tutti gli addendi, e alla fine l’Afghanistan che lasciamo è cento volte peggio di come l’avevamo trovato e in una situazione internazionale più complicata (si pensi solo al nuovo ruolo della Cina). È stato un affare? No. Abbiamo almeno imparato qualcosa? Vedremo.

L’unica cosa che darei per certa è l’oscura presenza del buco nero afghano nel panorama dei prossimi anni. Non solo droga, ma possibili attentati islamisti. Non solo oscuri villaggi pashtun, ma un’altra pedina cinese nello scacchiere internazionale (l’Afghanistan offre risorse importanti che alla Cina – ma non solo a lei – fanno gola). Perfino Putin ci guadagna da questa ignominiosa sconfitta americana. 

Questo è il momento per l’Europa di alzare la testa e affrancarsi dalla sudditanza della NATO (ne ho scritto QUI); questo è il momento di pensare a una strategia di esportazione della democrazia, necessaria, indispensabile alla nostra stessa sopravvivenza, non basata sull’arrogante esibizione dei muscoli ma sull’intelligenza delle relazioni diplomatiche, economiche e culturali, per le quali occorrono tempi lunghi e continue capacità.

Una cosa è fondamentale, basilare, ineludibile per la nostra sopravvivenza: imparare da questa sconfitta. Imparare. Cosa sono veramente gli americani. Quali sono realmente le convenienze europee. Come ci si relaziona con Stati terroristici. Come ci si relazione con Stati canaglia che ci vendono il petrolio, e coi soldi finanziano l’ISIS. Come ci si comporta con la Russia, ormai attratta dall’orbita cinese anti-europea. Eccetera. Impariamo qualcosa? Qualcosa di nuovo? Avremo un incerto e sanguinoso futuro per dedicarci a questa riflessione; approfittiamone.