In politica le parole sono importanti

Non solo in politica, ovviamente. Ma essendo entrati in campagna elettorale, e sentendo cumuli di sciocchezze, concentriamoci su due concetti politici e facciamo chiarezza. ‘Concetti’, ho scritto, perché le parole trasmettono concetti, e le parole diventano ambigue e poco chiare se i concetti sottesi sono equivoci e poco chiari. 

Chi vuole fare un excursus più o meno erudito sui problemi linguistici generali, può dare un’occhiata QUI, ma non è necessario per capire il discorso, piuttosto semplice, che vi sto per fare.

Prenderò in considerazione due concetti abbastanza popolari nel dibattito attuale: ‘fascismo’ e ‘populismo’.

Fascismo

Lo sciocchissimo dibattito di questi giorni si concentra sull’essere oppure no, Giorgia Meloni, “fascista”. Inizio da qui perché sarà piuttosto facile capire alcune regole generali di queste etichette, usate un po’ a vanvera, o secondo convenienza.

È piuttosto ovvio che se ‘fascismo’ è l’ideologia politica incarnata da Benito Mussolini, il suo partito e i governo da lui presieduto, nessuno oggi può essere definito ‘fascista’. Quel partito non c’è più, né quel governo, né i suoi esponenti. 

Se ‘fascismo’ è un concetto che prende spunto da quell’epoca storica, e intende indicare gli epigoni attuali, che intenderebbero instaurare un rinnovato regime fascista, si dovrebbe meglio parlare di neo fascisti; costoro sono banditi dalla legge italiana e sì, ne esistono esemplari ma davvero pochi, isolati e tristi. Certo, ampliando ancora un pochino il concetto e facendolo rientrare nell’ambito della legalità, esistono molte persone che si ispirano, per esempio, alla dottrina sociale fascista e a diversi tratti culturali e diversi modi di agire che furono tipici del fascismo: massimalismo, nazionalismo, culto del capo, disprezzo per le minoranze, sessismo, vitalismo etc.; in questo caso, generalmente, si preferisce usare il termine post fascisti. Però, attenzione che qui le cose si complicano. Neo fascisti e post fascisti sono ancora categorie novecentesche; nel secolo scorso il dramma fascista era recente e presente nelle memorie di molti viventi; i neo fascisti mettevano le bombe sul serio e i post fascisti provavano a darsi una lustratina all’immagine per essere più accettabili presso gli elettori moderati. Poi è successo di tutto, in particolare l’Europa, la globalizzazione, Internet e tutto il resto. L’estensione del concetto ‘fascista’ non può andare oltre certi confini semantici senza diventare qualcosa d’altro; Meloni, per età, lessico e comportamenti, difficilmente può essere definita post fascista, certamente non fascista, con o senza “neo”. È difficile immaginare Meloni in orbace, alla guida di un manipolo di camice nere, assaltare il Parlamento (qualcuno fra i suoi elettori forse sì…).

Però… I concetti mutano col mutare delle condizioni esterne, materiali, storiche (ha a che fare con l’indicalità del linguaggio, col trasformarsi degli schemi mentali e con la semantica) e quindi, non per niente, oggi si parla solitamente di sovranismo, di lepenismo, di euroscetticismo, individualismo, intolleranza etc., per indicare specifici concetti indipendenti l’uno dall’altro ma che, tutti assieme, confluiscono nella personalità autoritaria, massimalista e intollerante che una volta definivamo con semplicità “fascista”.

Oggi la complessità ci consegna un’articolazione di tratti di personalità, di valori, di comportamenti, che non sono più il fascismo del secolo scorso, ma che ne sono i discendenti contemporanei.

Quindi: se vogliamo essere rigorosi nel linguaggio, no, Meloni non può essere definita “fascista”. Ma poiché il linguaggio politico si nutre anche di semplificazioni, a volte sciocche e fuorvianti e a volte necessarie, tenendo bene in conto le epoche diverse e i diversi contesti, allora sì, il partito dei Fratelli d’Italia è un partito fascista. Preferite post fascista, fascistoide? Ok. Siete dei puristi rigorosi e queste semplificazioni non vi piacciono? Allora dobbiamo usare una serie di termini e rendere complicate le nostre frasi: Giorgia Meloni, col suo partito, è una politica di estrema desta sovranista, intollerante, massimalista, omofoba, sessista, sciovinista, illiberale, e potete tranquillamente aggiungere almeno un’altra mezza dozzina di aggettivi che tratteggiano una personalità portatrice di valori inaccettabili per democratici e liberali; una cultura politica tendenzialmente antidemocratica ed eversiva (in senso proprio; basti pensare – con timore – alle temute riforme costituzionali che questa destra potrebbe imporre se vincesse alla grande le elezioni); una prassi di governo assistenzialista, statalista, fondata sui divieti e il controllo. 

Avviso ai naviganti: per farla breve, io personalmente la chiamo e la chiamerò “fascista”, con tutte le osservazioni che precedono. Ma, capitemi, non posso mica ogni volta che parlo di Giorgia Meloni, di Crosetto, di La Russa, fare una digressione di due pagine!

Populismo

Qui si gioca una cantonata concettuale fenomenale, che ci spiega in maniera lampante la potenza della comunicazione politica manovrata ad arte. Per alcuni (me compreso) ‘populismo’ è un insulto; per altri (nel PD, per esempio, e a sinistra del PD) ‘populismo’ è una bazzecola, mentre per molti esponenti populisti è addirittura un vanto.

Lasciando perdere l’origine storica del termine, che non ha più alcun riscontro nell’uso contemporaneo, potremmo dire, in breve, che il populismo è l’antitesi della democrazia. Come scrive Valentina Pazé in un saggio molto interessante,

Fra gli elementi che sono stati più frequentemente evidenziati dagli autori impegnati nella costruzione di un modello ideal-tipico di populismo —sia esso identificato con un’ideologia, una strategia, uno stile discorsivo, una mentalità— compaiono quasi immancabilmente: a) l’assolutizzazione del principio della sovranità popolare e l’insofferenza nei confronti di limiti e contropoteri; b) la concezione del popolo come un «tutto» indifferenziato, che va di pari passo con la costruzione di una linea di separazione tra il popolo, onesto e incontaminato, e il «non-popolo», disonesto e corrotto; c) la centralità della leadership, in cui il popolo è chiamato a riconoscersi e a identificarsi; d) l’instaurarsi di una relazione emotiva tra il leader e le masse, che riproduce la relazione diretta che legava l’oratore al suo uditorio nella piazza ateniese. Populismo, dunque, come una particolare concezione del governo del popolo che si caratterizza per l’insofferenza nei confronti dei limiti costituzionali; per una visione unanimistica del popolo, concepito come soggetto che si esprime «con una voce sola»; per il rapporto diretto tra il leader e il popolo.

Quali sono le conseguenze di questi tratti tipici del populismo? Qui su Hic Rhodus ne abbiamo scritto in abbondanza in epoche non sospette, quando il movimento di Grillo era agli albori e non aveva ancora conquistato il consenso di milioni di italiani. Potete trovare riepilogati QUI i nostri testi, dai quali stralciamo giusto pochi appunti. L’analisi delle caratteristiche peculiari del fascismo (ne ho scritto QUI) sono straordinariamente somiglianti a quelle visibili, eclatanti, del populismo: dall’inconsistenza ideologica all’eliminazione della dialettica interna, dai contrasti interni tenuti a bada solo dall’autorità del capo (Grillo, non certo Conte) all’uso di simboli riconoscibili, dall’intimidazione degli avversari al revisionismo storico, dal pensiero unico al culto del leader, eccetera. Al post linkato troverete i dettagli.

Resta il fatto che c’è un collegamento chiaro fra fascismo e populismo. Il fascismo (storico) è stato populista; il populismo (attuale) ha linguaggi, prassi e simbologie analoghi, anche se diluiti, fluttuanti, non consolidati. Il senso finale è il seguente: il populismo (che è concetto generico per indicare una quantità di movimenti, regimi, situazioni storiche) è generalmente prodromico del fascismo. I populisti sono pre-fascisti, anche se non lo sanno. Inclinano verso il pensiero semplificato, la contrapposizione istituzionale, la rigidità ideologica, il massimalismo, il giustizialismo, il linguaggio ruvido volto ad annullare gli avversari. Ecco perché attrae personalità di destra (perché sentono affinità ideologiche col massimalismo fascistoide) e di sinistra (perché sono attratte dal falso ugualitarismo, dal programma “sociale”, dall’opposizione alla casta…). 

Certo, essendo cresciuto in un’epoca dove essere “di sinistra” significava sfinirsi nell’analisi politica, macerarsi nella dialettica, agitarsi nella critica e nell’autocritica, la stratosferica pochezza politica della nostra sinistra moderata (PD) e radicale, che continua a sentire affinità coi 5 Stelle mi fa decisamente specie. Che non si vedano i tratti eversivi del populismo, che non se ne riconosca la matrice massimalista (se non in Salvini, ma non in Conte) è una questione di talmente straordinaria miopia che, onestamente, mi pare assomigliare più a un’involuzione darwiniana che a un reale progetto politico.

Ora il PD pare abbia finalmente voltato le spalle ai 5 Stelle, ma la sinistra di quel partito, e a sinistra di quel partito, restano ambiguità intollerabili, che poco mi sembrano compatibili con l’alleanza democratica che Letta sta cercando di proporre.