L’oro di Internet siamo noi

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Qualche giorno fa, un articolo di Wired era intitolato I contenuti prodotti dagli utenti valgono più dei media tradizionali. Pur (a mio avviso) con qualche imprecisione, l’articolo aveva il pregio di affrontare un argomento che è al cuore della rilevanza che Internet ha assunto in questi ultimi anni, da quando cioè si parla di Web 2.o: i contenuti prodotti dagli utenti, lo User-Generated Content, o UGC.

Innanzitutto, per chiarezza, conviene partire da una definizione dell’UGC, e trovo che una delle più utili sia quella che si trova in un ormai vecchiotto documento dell’OCSE, secondo cui l’UGC è definito da tre caratteristiche principali:

  1. è un contenuto pubblicato su Internet;
  2. la sua produzione richiede una certa quantità di sforzo creativo;
  3. viene prodotto al di fuori dei normali ambiti professionali.

Quest’ultima caratteristica da un lato è forse quella che meglio definisce l’UGC, dall’altro è un’ipersemplificazione di una realtà molto variegata. In effetti, chi produce UGC tipicamente non è un professionista, neanche quando il contenuto ha la forma di un prodotto professionale o semiprofessionale; tuttavia, anche un “dilettante” ha bisogno di una motivazione per compiere “una certa quantità di sforzo creativo”, e in effetti esistono forme non direttamente economiche di ricompensa per l’UGC. Un’ottima pubblicazione che tra l’altro mette in luce l’ampiezza dello spettro di casistiche che ricadono sotto l’etichetta di UGC si trova sul sito dell’OFCOM, l’equivalente britannico della nostra Agcom.

Tuttavia, se è vero che l’autore non riceve un compenso diretto per l’UGC, quest’ultimo ha comunque un valore economico importante, come dicevamo all’inizio, e questo valore è legato al fatto che noi utenti di Internet siamo avidi consumatori di UGC. Tornando all’articolo di Wired, esso fa riferimento a una recente ricerca di Ipsos di cui citiamo solo un dato: per la generazione dei Millennials (altrimenti detta Generazione Y, ne abbiamo già parlato qui) l’UGC è la forma di contenuto su Internet che ha maggiore influenza sugli acquisti:

Come i diversi media influenzano gli acquisti dei
Come i diversi media influenzano gli acquisti dei “Millennials” – Fonte: Ipsos

Questa è infatti una delle principali forme di “monetizzazione” dell’UGC, e si applica a tutti quei contenuti che costituiscono direttamente o indirettamente un “consiglio per gli acquisti”: valutazione di un prodotto o di un film, recensione, condivisione di un acquisto effettuato, ecc. Ci sono alcuni importanti siti, cito ad esempio Tripadvisor, il cui unico valore consiste nell’essere contenitori di UGC. Ebbene, il valore di Borsa di Tripadvisor (quotato al NASDAQ) oggi supera i dieci miliardi di dollari! E Tripadvisor è solo una delle migliaia di digital properties che sono costituite pressoché integralmente da UGC, come appunto recensioni e consigli di viaggio, ma anche fotografie, video, ricette di cucina, software, wiki. Un esempio ben noto di UGC di particolare qualità e ampiezza è Wikipedia, il cui valore è stato stimato in diverse decine di miliardi di dollari. Anche nel campo dell’editoria, il sito di recensioni librarie Goodreads è stato acquisito nel 2013 nientemeno che da Amazon, per una cifra che si vocifera essere intorno ai 200 milioni di dollari, e persino nel modesto panorama editoriale italiano la Mondadori ha recentemente comprato Anobii, un analogo di Goodreads che conta circa trecentomila utenti italiani.

Parlando invece di contenuti multimediali, inutile dire che la parte del leone la fa YouTube, che nel lontano 2006 fu acquisito da Google per 1,6 miliardi di dollari, ma anche Instagram, acquisita da Facebook per circa un miliardo di dollari, non scherza. Insomma, è facile constatare che il vero valore dei giganti di Internet sta nell’UGC.

Infine, per quanto riguarda Facebook, vi propongo un grafico prelevato da un documento OCSE del 2013 intitolato Exploring the Economics of Personal Data, nel quale le barre rosse indicano il valore medio di un utente per Facebook (ottenuto dividendo il valore di Borsa di Facebook per il numero dei suoi utenti). Come si vede, nel tempo questo valore tende a crescere e nel 2012 si collocava intorno ai 110 dollari per utente. Si tratta ovviamente di un valore da prendere con le molle per molte ragioni che il documento stesso elenca, ma può costituire un’indicazione.

Andamento del valore di Facebook in rapporto agli utenti - Fonte: OCSE
Andamento del valore di Facebook in rapporto agli utenti – Fonte: OCSE, doc. citato

Naturalmente, una parte di questo valore sta nei nostri dati personali e nel nostro valore come “bersagli” di pubblicità sempre più mirata. Facebook, Google, Amazon sanno molte cose su di noi e sui nostri gusti, e usano in molti modi queste informazioni; ma tutto ciò sarebbe inutile se noi non trascorressimo tanto tempo su Internet e in particolare nei Social Network. E il tempo che sempre più passiamo su Internet non è speso sui siti delle aziende o dei grandi organi di informazione, ma sui blog, sui siti di UGC come YouTube, sui Social Network leggendo quello che scrivono i nostri amici.

Un altro modo per mostrare che il valore che abbiamo su Internet non è dato solo, o prevalentemente, dai nostri dati personali ma anche dai contenuti che produciamo è vedere qual è il valore di mercato dei dati personali. Nel grafico qui sotto sono riportati i valori di mercato di alcune tipologie di dati personali in USA. Come si può vedere, i dati più pregiati sono quelli relativi alla storia giudiziaria e finanziaria, mentre i “semplici” dati personali hanno un valore relativamente modesto, se confrontato con i 110 dollari stimati per ciascun account Facebook (e va considerato che i 110 dollari sono un dato medio, ma un account in USA vale molto più, ovviamente, di uno in Sudamerica e anche in Europa).

Valore di mercato di alcuni dati personali (USA, in $) - Fonte: OECD
Valore di mercato di alcuni dati personali (USA, in $) – Fonte: OCSE, doc. citato

Pur nella grossolanità del raffronto è chiaro che un account Facebook vale molto di più del suo contenuto di dati personali. La differenza, mi sentirei di dire, sta nel valore delle nostre relazioni e dei contenuti che generiamo, e le due cose sono ovviamente collegate: i contenuti che pubblichiamo attirano gli altri utenti e li invogliano a produrre a loro volta contenuti di valore, interessanti e coinvolgenti.

E non si tratta solo di fotografie di teneri gattini. In mezzo a molta robaccia, su Internet si trovano, in forma gratuita e più o meno amatoriale, informazioni preziose su quasi qualsiasi cosa, tutorial, approfondimenti su temi specialistici, notizie, narrativa, brevi film, opere di creatività grafica, giochi; e tutto questo è spesso di buona qualità, gli autori sono più “accessibili” di quelli professionali, e la scelta è amplissima. Un enorme patrimonio che potremmo classificare come UGC è il software open source, e in un certo senso possiamo anzi dire che l’open source (che non vuol dire solo gratuità) è stato un modello di “proprietà intellettuale” che ha contribuito a far sì che tanta parte dei contenuti su Internet siano liberamente disponibili.  Anch’io non nascondo di informarmi su blog tanto quanto su siti informativi “istituzionali” come quelli dei giornali e delle tv, di guardare video e ascoltare musica su YouTube, eccetera. Tutto questo ha un enorme, incalcolabile valore economico, eppure è sostanzialmente gratis. Persino Hic Rhodus è gratis! Come è possibile?

È possibile perché la filosofia di Internet è ancora in larga misura quella di una comunità basata sulla condivisione. Le motivazioni che spingono gli utenti (o i Netizen, i cittadini di Internet come abbiamo discusso in altre occasioni) a “donare” contenuti sono diverse, e vanno dalla semplice soddisfazione di aver impiegato una propria capacità o espresso una propria opinione fino al desiderio di qualificarsi come esperto o “semiprofessionista” in un determinato campo, o al piacere ludico cui abbiamo fatto cenno parlando di Gamification. Quel che è certo è che le aziende fanno di tutto per trasformare l’UGC in una fonte di profitto, fino al punto di imporre “condizioni d’uso” che assegnano loro diritti sulla produzione creativa degli utenti di Internet: un esempio ben noto è Facebook, che ci informa che usando la sua piattaforma “l’utente concede a Facebook una licenza non esclusiva, trasferibile, che può essere concessa come sottolicenza, libera da royalty e valida in tutto il mondo, per l’utilizzo di qualsiasi Contenuto IP pubblicato su Facebook o in connessione con Facebook”. Niente male, no?

Insomma ritroviamo su questo tema l’apparente contraddizione che abbiamo incontrato altre volte tra una concezione di Internet come un enorme contenitore di attività commerciali (e in fondo perché mai un’azienda dovrebbe essere presente su Internet se non per ragioni di profitto?) e una che considera Internet quasi come una “nazione virtuale”, con proprie regole, diritti di cittadinanza, modelli economici e meccanismi di “società civile”. Se è vero che l’accesso a Internet è ormai diffusamente considerato un diritto, sarebbe ingenuo dimenticare che Internet è anche la principale fonte di profitti per le più grandi corporation del mondo, e in questo senso è utile sottolineare che questa enorme ricchezza viene creata ogni giorno da noi, senza alcuna remunerazione, come semplice sottoprodotto dell’User-Generated Content, l’oro di Internet.