Il redde rationem della Chiesa tradizionale

Se tanti piccoli (e crescenti) indizi cominciano ad essere una prova, allora stiamo assistendo a un giro di boa epocale nella Chiesa cattolica. Un giro di boa che impiegherà tempo per essere ultimato, che non sarà privo di contraddizioni e colpi di coda, che probabilmente vedrà il permanere di residui del vecchio assieme a forme – che si intravvedono – del nuovo. Stiamo parlando ovviamente della dottrina sociale della Chiesa, in particolare le parti che riguardano la famiglia e la morale sessuale (capitolo quinto). Su Hic Rhodus ne abbiamo parlato denunciando svariati episodi relativi in particolare all’omofobia cattolica (per esempio contro la supposta teoria del gender nelle scuole) o alla posizione contro la legge sul cosiddetto “divorzio breve” e sottolineando come l’attuale pontificato appaia aperto e innovativo mentre, nei principi fondamentali, resta solidamente ancorato alla morale tradizionale, chiusa e bigotta (ne abbiamo parlato in generale QUI e recentemente in occasione dell’incontro fra Papa Francesco e la cristiana omofoba Kim Davis). Ora è scoppiato lo scandalo Charamsa, il teologo polacco che ha dichiarato la propria omosessualità suscitando immediate e feroci reazioni dal Vaticano e da importanti esponenti della Chiesa.

Queste forze centrifughe, rappresentate da movimenti molto diversi (da ultraconservatori a liberali), che producono – casualmente o artatamente – eventi così densi di “comunicabilità”, sono un oggettivo vulnus per la Chiesa, e poco importa se c’è una regia per mettere in difficoltà Bergoglio, come alcuni sostengono, oppure no. Anzi: l’eventuale presenza di regie per lotte di potere, per l’affermazione di taluni principi su altri, non sarebbe che la conferma dell’allargarsi di una faglia che diverrà presto incontenibile e dividerà preti e credenti.

Se permettete un’analisi che vorrei definire “storicista, in almeno alcuni dei suoi significati, appare chiaro come la Chiesa – indipendentemente dal fatto se essa sia o no una manifestazione del Divino – sia regolata dalle leggi umane. Certo,

Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia chiesa e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa (Mt 16, 18)

ma la volontà del Figlio di Dio ha avuto poi a che fare con la capacità umana, coi suoi limiti ed errori, come lui stesso ben sapeva, e lo Spirito Santo aleggerà pure sopra i Buoni e i Giusti ma riesce nei suoi intenti a fasi alterne e con contraddizioni gravi che – per carità! – non imputeremo a lui ma, ancora, alla debolezza umana. E umani sono i preti che governano la Chiesa che hanno sempre prese decisioni storicamente legate al periodo vissuto, alle politiche dell’epoca, alle sue convenienze o semplicemente ai suoi vincoli, e non c’è bisogno di portare esempi (che riempirebbero facilmente molte pagine) di tale contingenza. Tornando al nostro tema, quindi, quel che accade è semplicemente che la Storia sta avanzando più rapidamente di quanto la Chiesa sia in grado di adattarsi: cambia la società, cambiano i modelli culturali non più durante cicli di molteplici generazioni ma con un’accelerazione che può essere facilmente visibile nello spazio di una singola vita, se solo lo si vuole vedere e riconoscere. Ciò che viene chiamata “secolarizzazione” assume un rilievo sempre più esteso e importante senza che necessariamente ciò significhi perdita di spiritualità o di fede (in parte anche questo, certo) ma più esattamente separazione della sfera spirituale e religiosa da quella pubblica.

Una Chiesa solidamente legata al celibato dei suoi preti, alla condanna della sessualità e all’omofobia, alla mancanza di una visione prospettica e tutto quel che non devo rammentare qui, non può che apparire sempre più come separata dalla società che pretende di educare e indirizzare. Il problema non è però di semplice soluzione: se la Chiesa – poniamo per assurdo – decidesse di cambiare nel suo orizzonte etico e si rendesse disponibile, per esempio, a una sessualità più libera, all’uso del profilattico, all’eutanasia e via discorrendo, dichiarerebbe implicitamente la sua natura storica e quindi immanente, recidendo la sua pretesa di trascendenza quanto meno nell’ispirazione del suo magistero. I cambiamenti (anche rilevanti) nella dottrina della Chiesa hanno impiegato secoli per maturare e affermarsi apparendo così impercettibili alla grande massa di fedeli, che hanno continuato a vederla come granitica, fonte (divina) di certezza. Un cambiamento operato repentinamente e sulla spinta dell’evolvere sociale decreterebbe l’esistenza di una grande finzione e la Chiesa, ridotta a elemento storico fra gli altri, sarebbe qualcosa di più di un partito, di una ONG, di una fondazione filantropica, ma infinitamente meno di una fonte di santità e certezza. La Chiesa, salvo riconoscimenti minimi (gli omosessuali eventualmente perdonati; i divorziati eventualmente ammessi ai sacramenti) poco può concedere e non può cambiare.

È questo che provocherà lo strappo: fra una Chiesa che non può mutare senza tradirsi e una società che corre avanti e le sfugge. Il legame si indebolisce sempre più, i precetti vengono sempre più disattesi e non considerati vincolanti anche da cattolici dalla mente aperta che, senza rinunciare alla loro fede, sono anche critici verso un apparato sclerotico e incapace ormai di leggere il mondo. E ogni evento, ogni scandalo, ogni coming out come quello di Charamsa, così amplificati sui media e sui social (anche questo un potente mezzo di cambiamento che la Chiesa non sa e non può padroneggiare), contribuiscono ad ampliare la faglia allontanando la Chiesa dei nostri nonni dalla società dei nostri nipoti.

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