Votare sì o no alla nuova Costituzione infischiandosene di Renzi

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Che la colpa originaria sia di Renzi che ha trasformato il prossimo quesito referendario in un plebiscito pro o contro di lui, o che sia dei suoi avversari che hanno condotto le cose in modo da finire necessariamente in tale plebiscito, qualunque sia la verità (probabilmente un mix delle due cose) un fatto è per me certo: o riusciamo a votare al referendum di Ottobre a prescindere da Renzi o avremo perso un’occasione storica. L’occasione di discutere nel merito quali regole generali siano più adeguate per le nuove sfide di cui quotidianamente discutiamo: competitività internazionale, diritti dei cittadini, sviluppo in un mercato globale, efficienza dell’amministrazione pubblica e via discorrendo. È solo nel merito che troveremo delle risposte; se avere abolita la concorrenza legislativa fra Stato e Regioni (il famoso Titolo V) sia un bene o un male; se le Province fossero zavorra ormai insostenibile o no; se il bicameralismo perfetto fosse un anacronismo deleterio oppure no. È di questo che si deve discutere, e non se Renzi sia simpatico o antipatico. Renzi passerà, ma la Costituzione no, continuerà ad essere la grande cornice delle regole generali del nostro Paese. Ci sono poi questioni trasversali: se il complesso della riforma conduca a uno Stato più autoritario; se il combinato disposto delle varie modifiche costituzionali produca pasticci di qualche natura, disfunzionalità, errori (questo secondo insieme di problemi sono definibili, più propriamente, di metodo).

Il realtà c’è una terza fonte di dubbio: se questa modifica costituzionale, al di là degli elementi precedenti, non produca elementi deleteri sotto il profilo democratico a causa della legge elettorale (Italicum). Naturalmente l’aggancio con la legge elettorale riguarda sostanzialmente la semi-abolizione del Senato (che nella riformulazione approvata non vota la fiducia). Uno degli esponenti più influenti di questo terzo ambito critico è Eugenio Scalfari che domenica 22 Maggio scrive:

E poi c’è il referendum. L’appuntamento è decisivo. Se Renzi vince sarà padrone, se perde si apre uno scenario nuovo sul quale è molto difficile fare previsioni. Personalmente — l’ho già detto e scritto — voterò no, ma non tanto per le domande del referendum quanto per la legge elettorale che gli è strettissimamente connessa. Se Renzi cambia quella legge (personalmente ho suggerito quella di De Gasperi del 1953) voterò sì, altrimenti no. E immagino che siano molti a votare in questo stesso modo.

Personalmente non ho mai amato molto Scalfari, specie nel suo ruolo di vecchio saggio, ma non gli si può non riconoscere intelligenza e competenza e il suo pronunciamento deve essere considerato, anche perché anima – in forme più o meno analoghe – diverse voci del fronte del “No”.

Trovo bizzarro votare “No” a una riforma costituzionale che si reputa apprezzabile (così, in sostanza, sostiene Scalfari) perché si teme che la legge ordinaria elettorale (“ordinaria”, quindi modificabile e ri-modificabile da qualunque maggioranza parlamentare, come s’è fatto molte volte), grazie al depauperamento politico del Senato, dia troppo potere a Renzi. Questo è esattamente ciò che dice Scalfari che, dopo il brano precedente, aggiunge e conclude:

Pensaci bene, caro Matteo; se anche vincessi per il rotto della cuffia sarai, come ho già detto, un padrone. Ma i padroni corrono rischi politici tremendi e farai una vita d’inferno, tu e il nostro Paese.

Perché Renzi sarebbe un padrone? Perché – come chiunque altro, visto che la legge sarebbe la medesima – con l’Italicum potrebbe ricattare minoranze interne e partitini opportunisti e con non molti voti assoluti conquistare, comunque, una solida maggioranza alla Camera, governando così incontrastato per una intera legislatura o più. Se vincerà. Perché Renzi – come Grillo, come Meloni, come Salvini, come qualunque leader – deve arrivare almeno al ballottaggio e vincerlo, per poi governare incontrastato. C’è qualcosa che non torna. Il popolo elettore, con le tradizionali e confuse aree ideologiche e razionali, malpanciste e riformiste, ignoranti e informate, insomma il complesso del magmatico corpo elettorale farà i conti con Renzi e con chiunque altro in occasione della competizione elettorale, sapendo che chi decreterà vincitore, con l’attuale legge, governerà senza l’infinita goccia cinese delle contestazioni interne, senza il continuo ricatto di piccolo cabotaggio dei micro-alleati. Tutto questo ci fa paura? Quelli che ho chiamati gocce cinesi e continui ricatti sono invece il sale della democrazia? Io non lo credo, ma se lo credono gli Scalfari, i Zagrebelsky e tutte le destre e le sinistre unite in un perverso abbraccio, ok, si lotti per cambiare la legge. Il tempo c’è. Sulla carta le forze oppositrici non sono in numero indifferente. Cambiate la legge elettorale ma togliete questo tema dalla discussione costituzionale.

Riassumendo, la riforma costituzionale deve essere discussa:

  • nel merito: se le diverse modifiche siano, ciascuna, buona in sé (aumentano efficacia ed efficienza dell’apparato pubblico);
  • nel metodo: se ci siano pasticci giuridici che rischiano di inceppare il disegno generale; se le modifiche siano espedienti autoritari;
  • politicamente: se, in combinazione con la riforma elettorale (giudicata immodificabile per qualche ragione), dia troppo potere a qualunque esecutivo vincitore (non quindi a Renzi; a chiunque).

Non ha il minimo senso discuterne:

  • in quanto sgambetto da fare all’odiato Renzi. Gli sgambetti all’odiato Renzi si devono fare alle elezioni da parte del popolo e in Parlamento da parte delle forze politiche elette. Punto.

Per separare le due questioni occorre una discreta razionalità. Occorre fermezza di giudizio e capacità di separare ciò che va separato come ha già perorato il Signor Spok su questo blog. Trovo che l’idea di Scalfari (“voterei la riforma – evidentemente giudicandola buona – ma non con questa legge elettorale”) sia inutilmente autolesionista. Ma trovo poco comprensibili una discreta parte dei commenti che possiamo leggere in questo periodo; quello dei “costituzionalisti” (una parte, ovviamente) l’abbiamo già criticato come vuoto di contenuti nel merito ma, con rarissime eccezioni, carenze nel merito e nel metodo sono rinvenibili nella grande maggioranza dei commentatori. Hic Rhodus (che nel merito interverrà con una serie di articoli) documenterà man mano quelle dichiarazioni che attirano i titoli giornalistici orientando, poco o molto, l’opinione pubblica. Ecco una prima carrellata fino al mese di Maggio 2016, che non include ovviamente le prese di posizione dei politici (salvo in caso di politici “specialisti”, se così possiamo definirli).

  • Cominciamo da Scalfari; anche se l’abbiamo già menzionato una sua critica più sistematica è contenuta in un lungo editoriale dove ribadisce che la riforma non gli spiacerebbe se non fosse per la pessima (sue parole) legge elettorale e per il fatto che Renzi non si avvale di una classe dirigente di alto livello; questo testo ha fatto un certo scalpore perché è stato interpretato, da diversi commentatori, come una sostanziale apertura di credito verso Renzi, diversamente da posizioni precedenti più ostili;
  • a Scalfari ha risposto, fra gli altri, Giuseppe Turani che mantiene il dibattito a livello politico sostenendo che anche il fondatore di Repubblica deve essersi accorto che non ci sono alternative a Renzi. Questo genere di dibattito (relativo al terzo punto precedente, quello della critica politica) è decisamente poco interessante perché ha molto a che fare con credenze personali, valori politici astratti, aderenze a determinate tradizioni, o ideologie, e qui su HR cercheremo di indulgervi poco.
  • Sabino Cassese, favorevole alla riforma, spiega in maniera molto sintetica perché sia buona nel merito e nel metodo;
  • a Cassese ha risposto Valerio Onida concentrandosi di fatto solo su un punto: il ridimensionamento dei poteri alle Regioni, che a Onida non piace. Indipendentemente da ciò che pensiamo, ciascuno di noi, e della qualità delle due argomentazioni, lo scambio Cassese-Onida rappresenta uno dei pochi pertinenti apparsi sulla stampa in questo periodo.
  • Sul sito web di Pietro Ichino (favorevole alla riforma) appare un suo dialogo con Ferruccio De Bortoli (contrario); pregherei i lettori più pazienti di leggere con attenzione lo scambio fra i due: si capiscono benissimo le motivazioni favorevoli di Ichino ma non si riesce ad afferrare completamente la ragione contraria di De Bortoli che su più questioni dà ragione a Ichino salvo aggiungere dei ma e dei però di scarso fondamento, relativi a questioni terze o a mere opinioni.
  • Raniero La Valle produce invece, in modo plastico, l’avversione ideologica alla riforma a nome dei Comitati Dossetti per la Costituzione. La Valle disegna un quadro apocalittico di presa del potere degli ultimi residui della vecchia classe politica, di Resistenza, di sviluppo economico tumultuoso e società mondiale dell’esclusione, barbarie e disuguaglianze per concludere, con un nesso logico che si può trovare solo in un contesto cospiratorio neppure tanto sottaciuto, che “la battaglia referendaria dovrà prendere in carico e approfondire l’analisi di questo scarto che si è venuto a creare tra la Costituzione italiana e la natura barbara di questa fase della storia d’Italia, d’Europa e del mondo, scarto che politici zelanti vorrebbero cancellare abbassando la Costituzione a specchio dell’esistente e addirittura a regressione al passato pre-costituzionale”. Riassunto: Dio è morto, Marx è morto e anch’io non mi sento tanto bene.
  • Angelo Panebianco, spiega quali diversi poteri osteggino una riforma verso cui lui è favorevole (con indirette risposte anche a Scalfari);
  • Massimo Cacciari rilascia un’interessante intervista in cui spiega perché, sebbene critico, voterà “Sì”; col suo stile arguto e malinconico Michele Serra gli ha dedicato un’amaca molto pertinente;
  • a Cacciari risponde con veemenza Gianfranco Pasquino sul Fatto Quotidiano; il linguaggio di Pasquino è quello in voga in quest’area culturale: Cacciari “inventa”, è “sottomesso”, dice cose false e parla a vanvera di “responsabilità repubblicana”. È esattamente da un politologo acuto come Pasquino che, onestamente, ci aspetterebbe un contributo nel merito, anziché alimentare polemichette personali;
  • Gustavo Zagrebelsky, attivissimo nella sua battaglia per il “No”, rilascia una lunga intervista a Ezio Mauro; i toni sono quelli consueti, molto ideologici e poco di merito come già segnalammo nel precedente post sui “costituzionalisti” (parte dei costituzionalisti, ovvio);
  • a Zagrebelsky risponde Guido Melis che denuncia, appunto, questo evitare la critica nel merito per perdersi nell’apologia moralista;
  • Michele Salvati scrive un articolo molto bello in cui non entra nel merito ma nel metodo, ricordando le ragioni di certe scelte all’origine della Costituzione (i blocchi, la paura del comunismo…) e del suo essere volutamente farraginosa e “lenta”; anche senza schierarsi in maniera aperta Salvati fa capire che cambiare e rendere più moderna ed efficiente l’apparato costituzionale (sull’efficacia esprime solo speranze) è comunque assolutamente necessario;
  • Tommaso Ederoclite scrive un post in cui tratta la comunicazione – a suo avviso errata – dei sostenitori del “No” sostenendo che non siano in sintonia con gli umori del Paese;
  • infine non può mancare l’appellone degli intellettuali per il “Sì” che dovrebbe rispondere, coi suoi oltre 200 firmatari, all’appello dei 50 costituzionalisti per il “No” già ricordato sopra.

Come annunciato torneremo sul tema con prossimi articoli nel merito, e documenteremo anche le principali prese di posizione pubbliche.