Cani di Yulin. Evidentemente non mi sono spiegato

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Un anno fa scrissi un post intitolato Il massacro dei cani di Yulin. Perché non firmerò nessuna petizione. L’antefatto riguardava una protesta contro un festival annuale, in Cina, dove migliaia di cani vengono macellati in quanto piatto principale della manifestazione. L’indignazione globale sollevò – e solleva tuttora – ondate di proteste e petizioni alle quali io mi sottraevo dichiarandone le ragioni, che riprenderò poco oltre. Quell’articolo sarebbe rimasto per me sullo sfondo dei tanti scritti su questo blog se non fosse per l’esplosione di visitatori ricevuta l’anno scorso a causa di quel testo (33.000 i lettori solo di questo specifico post), ondata che si sta rinnovando attualmente (circa altri 3.500 in questi giorni) in occasione della manifestazione 2016. Una facile ricerca su Google vi rivelerà servizi giornalistici, petizioni e ogni altra notizia al riguardo se ne volete sapere di più. Per un blogger introspettivo e autoriflessivo il successo del post su Yulin è una specie di incidente di percorso; io ambisco a scrivere di democrazia, complessità sociale, equilibri mondiali e stratosferiche architetture cultural-socio-politiche galattiche; i cani di Yulin erano per me un pretesto per trattare di stereotipi culturali e vedo che non sono stato capito per nulla; già cercai di spiegarmi in seguito a quel post (sconcertato dal successo) con un articoletto ironico di qualche settimana dopo, ma la comparsa anche in questi giorni di commenti completamente fuori centro mi inducono a riproporre, a questa autorevole corte di lettori, alcune dichiarazioni a mia difesa.

Cosa dicevo in quel vecchio post: premettendo di essere vegetariano, antispecista e canaro (quindi, per favore, collocatemi in un empireo cielo dove non ho culturalmente e moralmente nulla a che fare con l’uccisione di animali) segnalavo semplicemente la fortissima componente stereotipata della facile e massiccia adesione a petizioni (così facili oggi, basta un click!) che oltre che essere sostanzialmente inutili (ma non è questo il problema) rivelano a volte una certa superficialità. In quell’articolo descrivevo le molteplici modalità di maltrattamento di animali nel nostro acculturato Occidente (dai circhi alla caccia) e ricordavo come in tutto l’Occidente (Italia compresa) si mangia sostanzialmente qualunque animale (gatti inclusi, il commentatore Ernesto si dichiara poi esplicitamente degustatore di cani) spessissimo dopo trattamenti di allevamento, trasporto e macellazione assolutamente barbari (almeno secondo gli standard di un animalista) e se non ricordate le recentissime denuncie anche sulla nostra stampa potete rinfrescarvi la memoria con una seconda facile ricerca su Google. Attenzione: il fatto che si maltrattino con crudeltà agnelli e maiali da noi non significa che sia lecito maltrattare i cani in Cina. Dal mio punto di vista tutti gli animali dovrebbero essere lasciati in pace ma sono un vegetariano tollerante, non sono un talebano antispecista e mi accontenterei che la macellazione delle carni avvenisse in maniera tollerabile, in Cina e in Italia. Il fatto è – come scrivevo allora – che mangiare la fettina di maiale non sconvolge nessuno (tranne i vegani antispecisti) ma il cagnolino no, Fuffy fa troppa tenerezza e merita un trattamento speciale. Ma, soprattutto, questo festival è cinese, accade in quel popolo misterioso e lontano sul quale si continuano a raccontare leggende sostanzialmente disinformate e xenofobe (ignorando, fra le altre cose, che in Cina il cane è mangiato in pochissime zone, non è affatto un tipico cibo cinese). Comunque mi sono spiegato meglio nell’articolo originale, se vi va andatelo a leggere.

Qui vorrei fare una piccola esegesi di alcuni commenti, invece, perché centrano perfettamente, per antitesi, lo scopo del mio articolo. Io non intendevo parlare del festival di Yulin ma della facile indignazione stereotipata, veicolata da notizie frettolose poco riflettute, amplificata dalla Rete… e molti hanno risposto e commentato, appunto, in maniera stereotipata e rituale, aumentando indignazione a indignazione. Alcuni nostri lettori mi hanno definito “poco intelligente”, “arrogante”, “arido come il Sahara”, “intellettuale inutilmente contro corrente”, “qualunquista”, “con un’etica raccapricciante”, poi c’è chi irride al relativismo culturale (che è uno dei miei argomenti) citando l’infibulazione (sic). Insomma sono un mostro (naturalmente ci sono anche commenti favorevoli, ne ringrazio gli autori). La linea principale dei critici non eccessivamente esaltati è comunque: firmiamo contro Yulin e poi, certamente, anche per non ammazzare il maiale da noi. Continuo a dire di NO. Vivendo in una famiglia onnivora conosco il valore di una nutrizione che includa anche carne, per chi ritiene che sia giusto mangiare anche carne; a Pasqua non ammorbo i miei famigliari mostrando loro in quale orrendo modo si macellano gli agnelli, loro mangiano l’agnello allo scottadito e io mi condisco la mia insalatina. Io rispetto loro e loro rispettano me. E quando il mio nipotino quattrenne mi chiede perché mai io non mangi quella delizia non gli dico “Io non ammazzo gli agnellini” ma, semplicemente, “Non mi piace, preferisco le verdure”. La scelta antispecista e vegetariana riguarda una presa di coscienza mia personale. C’è stato un mio percorso interiore poi sfociato in questa scelta. Ma in quanto scelta, in quanto percorso, in quanto dichiarazione etica è solo mia. L’accusa del commentatore (o commentatrice) Lont87, che dichiara “La tua non etica è raccapricciante (chiamarla etica è impossibile)” misura la distanza abissale fra una scelta (la mia) che non pretende di essere assoluta e invasiva, che cerca di porsi con tolleranza, che nasce dai dubbi e si nutre di ipotesi, e una visione del mondo (quella di Lont87) fatta di certezze che – temo – sarebbe disponibile a imporre al mondo intero una sua distinta e specifica etica, senza riguardo alle ragioni e ai valori altrui, per quanto distanti e diversi.

00025792.jpgOvvio che il mio “non firmare” la petizione fosse provocatorio. Ho firmate tante petizioni più o meno giuste su Change.org che se volete vado a firmare anche questa. Ma ciò che volevo indicare, e che ancora con forza ribadisco qui, è che la strada dei valori, delle culture, delle prospettive, delle credenze, degli ideali, può probabilmente essere aiutata anche dalle petizioni, dalle denunce (sempre sensazionalistiche) della stampa, ma deve inevitabilmente passare per le forche caudine della reale condivisione. Se tu credi che gli animali siano stati donati all’uomo da dio per nutrirsene, non vedo perché dovresti indignarti se devono essere macellati, e non può esserci una qualsiasi razionale differenza fra maiali, cavalli, cani, lepri o gatti. Se credi che gli animali, di cui ritieni lecito nutrirti, non abbiano anima, né sentimenti, e siano più o meno alla stregua di cose alla mercé umana, non sarà l’ennesimo ridicolo vegano a farti cambiare idea. Ciò che noi consideriamo del mondo, come lo consideriamo, è il frutto di molteplici fattori, uno solo dei quali è la testimonianza degli altri. Io testimonio il mio vegetarianismo e antispecismo: non mangio carne, non approvo la caccia e altre cose del genere. Ma questa è la mia scelta.

Concludo per ribadire che comunque quel post non era specista o antispecista ma semplicemente uno (di una lunga serie, qui su HR) contro le scorciatoie mentali, contro il qualunquismo demagogico ed omologato (firmiamo, firmiamo, costruiamo catene di Sant’Antonio di indignati firmatori), contro le contraddizioni (in numerosi commentatori) fra il mangiare normalmente carne ma ritenere disgustoso il mangiar cane, le facili stereotipie che in questo modo passano (quella di Carlo per esempio, altro commentatore che dai cani è passato anche al presunto e assurdo nutrimento di feti da parte dei cinesi, è l’unico al quale ho dovuto rispondere, perché da stereotipie ad adesioni a bufale xenofobe il passo è breve). Insomma: benissimo firmare, fate quello che volete, se vi scalda i cuori per dieci minuti e vi fa sentire partecipi di un mondo giusto firmate pure… ma ciò che vi potrà rendere differenti non è quella pseudo-firma (un click, in realtà, senza spostarsi dal soggiorno) ma un continuo comportamento coerente con la visione di mondo che quella firma dovrebbe testimoniare; un vostro comportamento, che non necessariamente può essere considerato giusto, nobile, assoluto contro le differenti convinzioni dei vostri simili.

E insomma, se ce la facciamo, non omologhiamoci, #nonomologatevi!