Il Grande Buco Nero (GraBuN) del Medio Oriente è davanti ai nostri occhi da anni, in un delirio di speranze deluse, minacce diffuse, colpi di scena prevedibili, voltafaccia plateali e milioni di disgraziati che muoiono e fuggono. Semmai per venire in Europa (quelli che ce la fanno) per essere acclamati nei giorni pari e rifiutati in quelli dispari. Se ripercorrete, davanti ai vostri occhi, la recente storia del GraBuN, constaterete – oltre alla complicata follia dello sceneggiatore della trama – un continuo balletto di ruoli, dove i cattivi designati combattono contro altri cattivi, quelli che immaginavamo buoni sono dei gran figli di buona donna e, onestamente, non si capisce più nulla salvo una sola, molto chiara, verità: pagano i poveracci sotto le bombe, quelli asfissiati dai gas, quelli che devono fuggire abbandonando tutto e senza sapere chi mai li accoglierà (noi, noi, noi no di sicuro, vero cara vecchia Europa?). E così, coll’umorale faciloneria che i social perdonano sempre, il lunedì protestiamo contro Assad, il martedì contro Putin, il mercoledì contro Trump e via di seguito, che è pure divertente e ci fa sentire partecipi.
1. Le Primavere Arabe e l’acclamata caduta delle canaglie al potere
Bisogna partire da qui. La cosiddetta Primavera Araba è una serie di proteste, in parte sfociate in rivoluzioni e guerre civili, che hanno condotto al GraBuN fra la fine del 2010 e il 2012, trascinando molte situazioni di instabilità fino ai giorni d’oggi (specialmente in Libia e Siria).
Ricordo benissimo quanto l’Occidente acclamò quella stagione: via via che le proteste dilagavano nell’area, si godeva per la caduta del pessimo Gheddafi (linciato in maniera bestiale il 20 ottobre 2011, appena 18 mesi dopo il famoso baciamano di Berlusconi); il terribile Mubarak (coi quali italiani ed occidentali in genere facevano ottimi affari commerciali), sostituito da Morsi (splendido esempio di democrazia “vera”, con elezioni “vere”) fortunatamente deposto prestissimo da Al Sisi, coi quali faremmo nuovamente splendidi affari se non fosse per il povero Regeni che ci ha messi in un imbarazzante stallo diplomatico (che lascia ampi spazi a francesi e altri competitori internazionali per prendere il posto da noi messo in pausa); Ben Ali, il dittatore tunisino (che aveva fra le altre divertenti cose anche ricevuto premi e onorificenze italiane piuttosto imbarazzanti – fonte); e via discorrendo.
Con meno parole: stati arabi del Nord Africa e paesi del Medio Oriente erano piuttosto affollati di dittatori che avevano due splendidi ruoli: fare affari con l’Occidente (con reciproci interessi) e tenere a bada l’islamismo politico radicale. Applaudire alla loro caduta è stato un esempio chiarissimo della doppia morale occidentale: a parole democratica, liberale, egualitaria, ma nei fatti pragmatica e opportunista. I giornalisti democratici applaudivano alla fuga di Ben Ali e alla cacciata di Gheddafi, e nei social si faceva il tifo per i giovani arabi coraggiosi, poi appena ci siamo ritrovati Morsi in Egitto qualcuno ha mormorato un timido “Oh-o…” e ha tirato un sospiro di sollievo quando Morsi è stato cacciato a furor di popolo e sulla punta delle baionette di Al Sisi che, ripeto, non fosse per il caso Regeni sarebbe oggi un grande amico e partner dell’Italia. Più o meno, per guardare altrove, quello che successe in Turchia il luglio scorso quando parve che Erdogan fosse stato sopraffatto da un golpe, probabilmente fasullo e tutto l’Occidente sperò, veramente, di essersi tolto dai piedi quel pericoloso mitomane. Insomma, una concisa conclusione è la seguente: in tutta l’area i dittatori sono stati un ostacolo serio per l’avvento islamista, semmai mascherato da “fratelli musulmani” che nella loro ambiguità riescono a ingannare gli occidentali ingenui; molte manifestazioni di piazza e rivolte iniziali sono state genuinamente organizzate da un popolo esasperato, ma sempre c’è stato inquinamento islamista, seguita spesso da conduzione egemonica delle proteste da parte dell’islam politico che, nei casi più disastrosi, ha condotto alla loro temporanea presa di potere (Egitto) o alla guerra civile (Siria, Libia, Yemen).
2. Assad fra amici, quasi amici, nemici, ex nemici
La Siria ha vissuto l’analoga esperienza nelle conseguenze più tragiche: moti di piazza contro Assad, quindi repressione, poi guerra civile. Non perderò tempo con la storia delle cause originarie della rivolta, più o meno simili a quelle di altri paesi salvo per il fatto che Assad non viene rovesciato perché ha alleati interni ed esterni. Assai più interessante è quello che fa il resto del mondo sullo scacchiere siriano: perché se tutto il mondo biasima gli interventi brutali del regime, nei fatti lo schierarsi pro o contro, e a volte un po’ contro e un po’ pro, nasconde una fitta ragnatela di interessi mutevoli. Esempio: contro Assad combattono molteplici gruppi di “ribelli”: ma una parte di ribelli sono islamisti sostenuti da Isis (Daesh); quindi in teoria gli occidentali dovrebbero appoggiare i ribelli “democratici” (?) e combattere quelli islamisti, se non che nel secondo caso aiuterebbe Assad. La Turchia si vorrebbe mangiare un pezzettino di Siria, mentre vorrebbe suonare botte da orbi ai curdi, che in quel quadrante combattono contro Assad per ottenere un proprio territorio. Quindi inizialmente la Turchia era contro Assad, anche per una questione di rivalità fra sunniti (turchi e maggioranza siriana) e sciiti (élite al potere in Siria) di cui abbiamo più volte trattato qui su HR ed è stata a lungo a guardare e di fatto a mantenere nel suo territorio gruppi di ribelli, oltre naturalmente a sovvenzionarli. Inoltre la Turchia, assieme all’Arabia Saudita e altri, ha anche finanziato, armato e facilitato in vari modi il Daesh, consentendo transiti dai territori del Califfato all’Europa e viceversa in una logica ben nota per cui i nemici dei miei nemici sono miei amici. E gli amici, fra le altre cose, sono gli Stati Uniti, che nel perverso rapporto che giocano da decenni in M.O. continuano a sfidare la Russia sul terreno del petrolio (saudita contro iraniano) e dell’accesso al Mediterraneo. Tirate pure momentaneamente in fiato perché non abbiamo finito. La Turchia è una storica nemica della Russia e fino a pochissimo tempo fa era ai ferri corti con lei anche, ma non solo, per la questione siriana, che vedeva Erdogan nella Nato contro Putin e Assad; vi ricordate del Mig russo abbattuto, no? E dell’ambasciatore russo ucciso ad Ankara? Eppure, pochissimi mesi dopo, e forse anche “grazie” a questi eventi e al fallito colpo di stato (QUI ampie precisazioni) Erdogan e Putin si sono repentinamente avvicinati (assieme al siriano Rouhani) per una nuova alleanza in chiave antiamericana e pro-Assad. Assad è fondamentale per Putin: non solo è l’unico alleato di un’area pesantemente ingerita da Washington ma concede ai russi l’unica base navale affacciata sul Mediterraneo, a Tartus (oltre alla base aerea a Latakia). Questa svolta turca rende praticamente fallimentare ogni progetto militare contro Assad; tale progetto si poteva – forse – sostenere a patto di avere la Turchia a fianco degli Stati Uniti e una Russia quanto meno tollerante; ma ormai il nuovo schieramento rende praticabili solo soluzioni diplomatiche, esperibili, peraltro, quando i contendenti principali avranno consolidato posizioni e obiettivi.
3. L’atout di Trump
E arriviamo a Trump che, con un colpo solo (il bombardamento alla base dove si presume sia partito l’attacco chimico) ha raggiunto molteplici risultati: 1) “ammonire” Assad dal continuare con l’uso di agenti chimici, riprendendo quel ruolo internazionale tipico degli USA (e che Trump aveva giurato di non ripercorrere); 2) recuperare consensi interni alzando la bandiera interventista in un momento di continue sconfitte politiche (non gli va bene coi respingimenti dei migranti, né col muro col Messico, né contro la riforma sanitaria); 3) mostrare che lui non è affatto filo-russo, o in qualche modo sponsorizzato da Putin, come insistentemente si dice da tempo; 4) dare un messaggio, forse, anche a Xi Jinping – ospite di Trump proprio all’epoca dei bombardamenti. E qui occorrerebbe aprire una grande parentesi: perché la Cina tace sulla questione mediorientale? Cosa teme e cosa chiede a Trump (e viceversa)? Come interviene, in questo intreccio, la questione della Corea del Nord? Sarebbe una parentesi troppo ingombrante e ci limitiamo a ricordare le pretese imperialiste cinesi nel Mar della Cina (ne abbiamo parlato dettagliatamente QUI) e le manovre navali congiunte fatte, in zona, proprio coi russi… È fuori di dubbio che questa visione cinese preoccupi l’America, che durante le ultime amministrazioni ha semplicemente lasciato che Pechino si occupasse del suo cortile senza particolari interferenze. Com’è fuori di dubbio che l’azione aerea americana non prelude a nessun diverso impegno USA nell’area, né – non prendiamoci in giro da soli – che a causare il bombardamento siano state le vittime del gas, anche perché non è la prima volta che Assad li usa.
4. Conclusioni: cosa, dopo queste bombe?
Nulla. Non succederà nulla di nuovo, almeno nel breve periodo. Trump si è giocato il suo atout per risalire momentaneamente nella popolarità; la Russia (preinformata e coi sistemi antimissile dell’area disattivati per consentire il passaggio dei tomahawk americani) ha protestato, ovviamente, con conseguenze abbastanza moderate (non saranno né Putin né Trump a innescare una drammatica guerra fra loro) e continuerà tutto come prima, ovvero in un vero e proprio stallo in cui Assad risulta sempre più inamovibile ampliando il GraBuN in una spirale di battaglie, assalti, vittorie limitate, sconfitte tattiche e civili morti ammazzati.
Quello che cambia leggermente, proseguendo uno “scivolamento” drammatico senza che venga realmente colto, è l’arbitrarietà di ciò che accade: ammesso che i gas non siano un casus belli costruito ad hoc (si veda il terzo consiglio di letture nelle Risorse finali), Trump ha ignorato completamente l’ONU, limitandosi a una rituale consultazione di alleati (Italia esclusa), sfidando e violando leggi internazionali, per una “colpa” di Assad (se è veramente colpa di Assad) indubbiamente meno grave di tante commesse, di recente, dagli stessi americani e suoi alleati:
However only the most naïve among us could believe that this US airstrike against Syria was unleashed with justice in mind. How could it be when US bombs have been killing civilians, including children, in Mosul recently? And how could it be given the ineffable suffering of Yemeni children as a result of Saudi Arabia’s brutal military campaign there? (John Wight, What’s really behind America’s rush to war in Syria?).
Trump si è precostituito, nell’assenso (o nel silenzio) internazionale, un precedente che potrà spendere aggravando il coinvolgimento americano in Siria (come pensa, con preoccupazione, John Wight nell’articolo appena citato), o fronteggiando la Cina nel Pacifico o altro. Il fatto che questa politica aggressiva sia totalmente contraria a quanto promesso in campagna elettorale non ha la minima importanza, visto che parliamo di Trump. E l’Europa tace.
La conclusione riguarda la logica fuzzy che permea l’epoca attuale; o se preferite la liquidità di Bauman, la scomparsa dei legami forti e la debole visione di futuro di cui abbiamo già parlato QUI. Il mondo è sempre meno comprensibile e prevedibile, il caos scompagina valori, alleanze, geografie. Ma di tutti i punti caldi del pianeta il GraBuN pare essere quello potenzialmente più devastante e, al limite dell’orizzonte degli eventi, siamo proprio noi europei.
Risorse:
- What’s happening in Syria?, “BBC – Newsround”, 7 aprile 2017; molto chiaro, quasi didascalico, dalle rivolte del 2011 ad oggi;
- Derek Chollet, What ‘Something’ Should Trump Make ‘Happen’ in Syria?, “Foreign Policy”, 6 aprile 2017; perché Obama non attaccò nel settembre 2013, quando i gas mortali di Assad causarono 1.500 morti, cos’è cambiato oggi con Trump e che pericoli ci sono;
- Kitty Testa, My Tin Foil Hat: Attempting to Understand What Happened in Syria, “The Libertarian Republic”; un interessante articolo cospirazionista che pone comunque domande serie (trovare anche qua e là nella Rete in altri siti): perché mai Assad avrebbe dovuto fare la stupidaggine di usare i gas per uccidere qualche decina di civili e attirarsi addosso le ire americane, così prontamente arrivate?
- Eugenio Scalfari, La Casa Bianca e il coltello di Mackie Messer, “la Repubblica”, 9 Aprile 2017; fresco fresco il testo domenicale di Scalfari si adatta benissimo alle ultime righe del nostro post.