Promesse elettorali, fact-checking e depressione

Noi di Hic Rhodus, stavolta, arriviamo buoni ultimi. Già, perché l’argomento delle promesse elettorali dei nostri politici è stato abbondantemente trattato dai media, e anche qui su HR abbiamo toccato sia l’argomento delle pensioni d’oro by Luigi Di Maio, che, più in generale, come tentano di collocarsi varie “nuove” formazioni politiche (v. diversi post nel nostro dossier “in progress” sulle prossime elezioni politiche). Vale quindi davvero la pena di dedicare attenzione alle promesse elettorali?

Forse sì, per diverse ragioni. La prima di tutte, forse, è che pensiamo che l’assuefazione a essere presi per i fondelli dai nostri politici vada combattuta: dare per scontato che i candidati a guidare un paese possano e debbano fare a gara a chi le spara più grosse, alterando la realtà dei fatti, ignorando le più elementari regole dell’economia e (come abbiamo visto) spesso anche dell’aritmetica equivale a dire che l’elettorato italiano è costituito di bambini e incapaci. Proviamo, quindi, a prendere in esame alcune delle “promesse” elettorali dei nostri politici e vediamo di che pasta son fatte.

Cominciamo, per “cortesia istituzionale”, dall’ex Presidente del Consiglio e attuale leader PD Matteo Renzi. Nella sostanza, penso sia chiaro che Renzi si sta dibattendo nella rete di un’impopolarità e di una visibilità negativa che stanno provocando una progressiva perdita di consensi per il PD. Le proposte che Renzi avanza in questo periodo risentono certamente di questa situazione; in questo periodo pre-elettorale abbiamo visto in particolare la proposta (variamente definita) di abolire il canone RAI e quella di introdurre un salario orario minimo per tutti i lavoratori non coperti da un contratto nazionale.
Come giudicare queste due proposte? La prima, teoricamente, non comporta di per sé maggiori uscite, semplicemente renderebbe il finanziamento della RAI a carico della fiscalità generale. Una buona idea? Secondo me no: il fatto che esista una tassa ad hoc crea una pressione sulla RAI per il contenimento dei suoi costi (e infatti nel 2017 il canone era stato abbassato) e incentiva la trasparenza su come la RAI usa quei soldi. Inoltre, sempre secondo me, l’abolizione del canone renderebbe la RAI ancora più dipendente dalla politica, e quindi con tutta probabilità ancora più ad essa asservita.
La questione del salario minimo, invece, è molto più complessa, e ha implicazioni potenzialmente molto più importanti, che non riuscirei a discutere qui ma che riguardano le probabili ricadute sul mercato del lavoro, anche in dipendenza dal livello del salario in questione, che Renzi ha indicato con nonchalance “tra i 9 e i 10 Euro”. Per capire il significato di questo punto, invito a riflettere sul grafico qui sotto, e a leggere un altro bell’articolo di qualche anno fa su lavoce.info.

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Fonte: elaborazione lavoce.info su dati OCSE

Le “trovate” di Renzi impallidiscono, però, se confrontate con quelle del sempreverde Silvio Berlusconi, che produce idee “vulcaniche” più in fretta di quanto un povero redattore di Hic Rhodus possa commentarle. La prima è forse la flat tax, che è un “cavallo di ritorno”, visto che rientrava nell’originale agenda berlusconiana del XX secolo. I motivi per cui non se ne fece nulla a suo tempo sono probabilmente gli stessi per cui è tuttora una proposta a mio avviso assurda: introdurre una flat tax, come auspica Forza Italia, al 20%, comporterebbe sia la violazione del principio costituzionale che impone la progressività della tassazione, sia minori entrate per l’erario pari (secondo il Sole 24 Ore) a 63 miliardi di Euro l’anno. A questo si aggiungerebbe una no-tax area pari a 13.000 Euro annui (rispetto agli attuali 8.174), equivalenti (toh!) all’assai pubblicizzato “nuovo” valore delle pensioni minime, che naturalmente graverebbero a loro volta sull’Erario. Né vorremo dimenticare il reddito di dignità che Forza Italia include nel suo “pacchetto” di batoste al bilancio dello Stato, per un ammontare pari, secondo i calcoli di lavoce.info, a 29 miliardi di Euro l’anno. Il tutto somiglia, ma come una brutta caricatura, a una proposta decisamente più seria dell’Istituto Bruno Leoni, che, da bravo think tank ultraliberista, propugna una flat tax sì, ma al 25%, con contestuale aumento dell’IVA, e una serie di altri interventi sulla spesa e sul welfare tali da rispettare “il vincolo (imprescindibile) di effetti nulli sul bilancio dello Stato”. Altro che nulli, se dovessimo dar retta a Berlusconi.

Ma se Berlusconi titaneggia nel promettere la devastazione dell’Erario, il M5S col suo capofila Di Maio non resta certo indietro. Abbiamo già parlato del loro progetto di abolire la Legge Fornero, che da solo compirebbe buona parte dell’impresa di affossare il Paese, ma non possiamo certo dimenticare il principale cavallo di battaglia pentastellato, il reddito minimo (che non chiamo “di cittadinanza” per ragioni che ho spiegato a suo tempo), che sempre secondo i pedanti amici di lavoce.info costerebbe 29 miliardi di Euro l’anno, esattamente quanto il “reddito di dignità” berlusconiano. Che saranno mai? Se doveste temere che nelle casse pubbliche possa per caso restare qualche spicciolo, niente paura: anche il M5S vuole alzare le pensioni minime a 780 Euro al mese, in coerenza con il valore del reddito minimo.

Credo che possiamo quindi essere giustificati se nel titolo parliamo di depressione di fronte a tanto dilettantismo, tanta arroganza e tanto disprezzo della capacità di giudizio dell’elettorato (quanto giustificato, questo disprezzo, lo vedremo alle elezioni). Ogni argomento sollevato dai nostri politici costituisce un tema complesso, che richiederebbe un’analisi approfondita, seria e obiettiva; invece, su argomenti cruciali come le pensioni, il sostegno al reddito, il sistema fiscale, i nostri partiti gettano sul tavolo slogan e idee superficiali quando va bene e disastrose quando va male, tacendo e ignorando la realtà (ad esempio il fatto che nel 2019, 2020 e 2021 sono previsti dalle cosiddette “clausole di salvaguardia” aumenti dell’IVA di cui tutti fingono di dimenticarsi quando promettono di abbassare le tasse). Il tutto finisce in un miscuglio caotico e contraddittorio, buono per essere propinato a intervistatori compiacenti (quando non direttamente dipendenti), lontanissimi dall’idea di alzare il dito e contestare ai nostri politici le menzogne che spargono a piene mani. E, intendiamoci, non voglio sostenere che tutti gli slogan che ascoltiamo siano ugualmente menzogneri e pericolosi: a ciascuno di noi soppesarli, sulla base di un fact checking che certo non saranno le TV a fare per nostro conto.

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