Il dilemma del prigioniero è un caso specifico di applicazione della teoria dei giochi, vale a dire di una teoria matematica che analizza i comportamenti umani in casi di conflitto decisionale. Delle sue varie vulgate vi segnaliamo QUESTA, più completa e ben descritta, ma in estrema sintesi si tratta di prendere una decisione, la migliore possibile, in un caso in cui l’asimmetria informativa può produrre vantaggi e svantaggi sostanziosi a seconda del comportamento assunto. Nella sua rappresentazione canonica il dilemma del prigioniero viene così descritto:
Due sospettati, A e B, sono arrestati dalla polizia. La polizia non ha prove sufficienti per trovare il colpevole e, dopo aver rinchiuso i due prigionieri in due celle diverse, interroga entrambi offrendo loro le seguenti prospettive: se uno confessa (C) e l’altro non confessa (NC) chi non ha confessato sconterà 10 anni di detenzione mentre l’altro sarà libero; se entrambi non confesseranno, allora la polizia li condannerà ad un solo anno di carcere; se, invece, confesseranno entrambi la pena da scontare sarà pari a 5 anni di carcere. Ogni prigioniero può riflettere sulla strategia da scegliere tra, appunto, confessare o non confessare. In ogni caso, nessuno dei due prigionieri potrà conoscere la scelta fatta dall’altro prigioniero.
Sorvoliamo tutti i ragionamenti possibili – che troverete nel testo citato – e arriviamo alla conclusione: poiché i prigionieri non possono comunicare fra loro, e temono di essere traditi dal compagno, probabilmente ognuno dei due confesserà, beccandosi 5 anni a testa, come scelta più logica anche se “Pareto-inefficiente” (si chiama “equilibrio di Nash”). Il dilemma del prigioniero diventa però interessante quando non si gioca una sola “partita”. Immaginiamo casi di interazione reiterata, di cui non si conosce la fine; in questo caso tradire l’altro giocatore non pagherebbe, perché nelle mani successive costui, avvertito di questo comportamento, sarebbe più cauto, oppure potrebbe volersi vendicare tradendo a sua volta. Una serie di studi e simulazioni hanno dimostrato che in questi casi i due giocatori tendono a cooperare, per massimizzare il guadagno (in termini di dilemma del prigioniero si tratterebbe, per entrambi, di non confessare); è indispensabile, in questo caso, che non ci sia un termine noto alla conclusione degli scambi. Se so in anticipo che faremo solo 10 partite, all’ultima potrei volerti fregare, non avendo più tempo, tu, di vendicarti successivamente; ma posso immaginare che questo sia anche il tuo ragionamento, allora potrei anticipare il mio tradimento alla partita 9, e così antecedendo e comunque scombinando il potenziale (e fragile) accordo implicito. Se invece – come detto – le partite si susseguono per un tempo non definito, la cooperazione è la strategia migliore e, come difesa da eventuali scelte scellerate (e illogiche) dell’avversario, ci sono alcune strategie delle quali la più nota è detta “colpo su colpo” (io coopero finché tu cooperi; se mi tradisci, il turno dopo sarò io a tradirti, ma se “torni in riga” anch’io tornerò a cooperare).
Adesso complichiamoci la vita e vediamo come applicare – per quanto possibile – queste idee alla crisi pandemica dove, è evidente, abbiamo almeno due macro questioni assai differenti:
- i giocatori non sono solo due ma milioni di italiani (o di abitanti del pianeta), e
- la scelta non è banalmente dicotomica (confesso/non confesso) ma estremamente variegata, come due enormi sottoinsiemi: uscire dal lockdown e aprire tutto quello che si può a scapito di conseguenze sanitarie vs. continuare il lockdown a scapito di gravi conseguenze economiche.
Le “partite” sono quindi differenti, e riguardano il governo contro molteplici componenti sociali che chiedono l’apertura. Anziché anni di prigione o di libertà, il payoff riguarderà i morti per virus da un lato e il danno economico (e sociale) dall’altro. Si tratta quindi di scegliere fra due mali, diversamente stimati dai vari giocatori (questa è una variante importantissima del dilemma, poiché nella versione classica entrambi i giocatori stimano la libertà “buona” e la galera “cattiva” allo stesso modo; quindi le loro scelte – se razionali – sono informate dagli stessi valori di scelta).
Se abitate – poniamo – in Umbria e siete un imprenditore, probabilmente per voi il valore della sicurezza sanitaria sarà di molto inferiore a quello del rischio economico, e chiederete di aprire, e subito, le attività; se siete invece un impiegato di Bergamo, il valore del lockdown (lavorando a distanza col computer) sarà decisamente alto rispetto a ogni considerazione di apertura (che vi esporrebbe maggiormente al virus già molto presente in zona).

Questo ci porta a una prima conclusione: non c’è una soluzione globale che possa accontentare tutte le esigenze e, in un certo senso, qualunque cosa decida il governo sarà sbagliata. Come scrive lucidamente Mattia Feltri in un fondo dal titolo Non andrà tutto bene,
la posizione di Conte è lose-lose: o perde o perde. Se tiene chiuso si addosseranno a lui le colpe dell’impoverimento, se riapre gli si addosseranno quelle dell’ecatombe.
Una delle ragioni dell’inevitabilità del disastro è la carenza informativa nella quale si maturano le opinioni dei cittadini e le decisioni del governo: l’imprenditore umbro immaginato sopra vede una discreta tranquillità attorno a lui, in una regione pochissimo colpita dal virus, e si preoccupa dei propri affari; l’impiegato di Bergamo, peraltro, ha consapevolezza dei rischi sanitari, ma non considera con sufficiente attenzione che riesce a sopravvivere perché qualcuno produce e trasporta fino al suo supermercato i suoi generi alimentari, mantiene efficiente la linea elettrica e Internet, e così via; ma che prolungandosi la chiusura questa possibilità che lui in particolare ha, non potrebbe forse essere garantita a lungo.
Col che arriviamo a una seconda, più incisiva, conclusione: in questa asimmetria informativa, differenziata per area geografica, ceto sociale, tipologia professionale eccetera, occorre una regia super partes in grado di fare una valutazione globale, di sintesi, che sappia imporre le decisioni non tanto migliori ma “meno peggiori”, e neppure per tutti ma “per i più”; scelte, quindi, sempre criticabili, sempre con difetti. Occorre una tempra morale, una forza politica, una lucidità mentale, che si può legittimamente supporre esistere solo in parte nell’attuale governo. Ma poiché è questo il governo che abbiamo, ecco un’altra differenza col classico dilemma del prigioniero, ovvero l’introduzione di un avvocato d’ufficio (mai analogia fu più azzeccata) che potrebbe consigliare meglio o peggio il proprio cliente. Mi permetto ancora di segnalare che le decisioni possibili del governo non sono disperse in un ventaglio frastagliato di opzioni ma, semplificando, sono solo due:
- mantenere il più possibile il lockdown, salvo in settori essenziali (continuamente monitorati) e salvo piccole aperture simboliche per non esasperare l’opinione pubblica e quindi accettare tutti i soldi possibili a partire dal MES, senza tante manipolazioni ideologiche, per limitare il più possibile il disastro economico, oppure
- adottare una soluzione “svedese”, fidare sulla disciplina dei cittadini (alla cui stupidità eventualmente addebitare il rinnovato vigore del virus) e confidare che il sistema sanitario regga. Nota bene: il documento recentemente stilato dal Comitato tecnico-scientifico che affianca Conte, sostiene che senza il lockdown il sistema sanitario non reggerebbe.
La prima di queste due soluzioni assomiglia abbastanza all’equilibrio di Nash sopra menzionato: non si tratta della soluzione migliore (i due prigionieri si beccano comunque 5 anni per uno) ma è certamente accettabile rispetto alla peggiore (farsi 10 anni di galera); la seconda soluzione, a mio modesto parere, assomiglia invece al caso in cui uno dei due prigionieri accusa il compare, si salva e manda solo l’altro a farsi i 10 anni; fuori di metafora: chi non si ammalerà godrà, per gli altri (e per il sistema sanitario tutto) saran dolori.
Si può “giocare” al dilemma del prigioniero anche col virus: le timide aperture della prima soluzione fanno intravedere picchi di virus? Richiudiamo quel settore, quell’attività. Le cose vanno bene? Ne apriamo di nuove… (è la strategia “colpo su colpo”). È un procedere necessario per tentativi ed errori, in cui gli errori si pagheranno immediatamente in vite umane , mentre i successi saranno vagamente pagati, in forma incerta e tutta da vedere, in minore miseria domani. Comprensibile che un politico preferisca non dovere dar conto dei morti subito, a fronte di una poco misurabile e poco visibile minore miseria domani.
Abbiamo trattato il dilemma del prigioniero in post precedenti:
- La politica come gioco di ruolo, 2 luglio 2014;
- La spirale, 9 dicembre 2015 (sui conflitti mediorientali);
- Uscire dall’Euro è facile se sai come farlo, 29 maggio 2018.