La falsa inclusione è un boomerang (Gli omosessuali nelle serie TV mi hanno stufato)

Fra amici e conoscenti (conoscenti non alla lontanissima) stimo di poter contare circa 200 persone. Esclusi i vecchissimi amici di scuola sepolti nel profondo della memoria; escluse le migliaia di persone incontrate casualmente nella mia vita, e con le quali ho semmai anche scambiato una frettolosa presentazione (piacere Bezzi…) subito dimenticata; esclusi ovviamente gli “amici” di Facebook mai visti nella vita vera (che ho ampiamente bonificato recentemente). Inclusi amici reali, che saprei nominare, vicini, professionisti coi quali ho intrattenuto rapporti, per quanto fugaci, minimamente significativi. Tutte persone delle quali ho un telefono, una email, o alle quali comunque – se mi telefonassero – risponderei con un gioviale “Ehi, quanto tempo, ma come stai?”. 

Naturalmente non le ho contate, e il numero “200” l’ho messo giù un po’ a istinto; mentre scrivo penso che potrebbero in realtà essere assai di più, se non altro perché ho avuto una vita professionale intensa lungo tutta Italia; certamente moltissime persone mi conoscono, assai di più di quante io possa rammentare ma, ai fini di questa riflessione, diciamo “200” e la chiudiamo lì.

Di questi 200, so per certo che due sono omosessuali, espliciti e dichiarati. Di un terzo ho più di un sospetto, ma lui non si è mai sbilanciato in proposito, e lo conto lo stesso al fine di stimare quanti omosessuali abbia incontrato, in maniera significativa, nella mia vita. 3 su 200. Immaginiamo che ce ne siano il doppio (perché io sono troppo sciocco o ingenuo per accorgermene, loro sono restii a farlo sapere…) arrivando così a 6. Ma non mi basta; poiché generalmente guardo altre cose nelle persone (la loro intelligenza soprattutto), e non sono bravo nel gossip, raddoppio un’altra volta e arrivo a 12. Fra i miei 200 contatti significativi, ci sono certamente 3, e potenzialmente fino a 12, omosessuali. Costoro non frequentano casa mia; non il mio ambiente di lavoro (salvo omosessuali “coperti”, quelli che pur di negare la loro omosessualità si sposano, fanno figli e non lasciano trapelare il benché minimo segnale); non le associazioni che frequento, per come mi è possibile capire. Dei 3 citati come certamente omosessuali (ma uno – se avete notato – l’ho aggiunto per mera supposizione) una era un’amica d’infanzia ritrovata fugacemente (una cena) sessant’anni dopo e poi mai più rivista; un secondo l’ho frequentato più a lungo, in un ambiente lavorativo di parecchi anni fa, e siamo ancora in contatto su Facebook (ma non lo vedo da almeno 10 anni) e il terzo (quello “presunto”) è un’amico di un’amica che ritrovo, più o meno una volta ogni paio d’anni, a cena da lei.

Vi invito a fare una riflessione analoga; forse voi ne conoscerete qualcuno di più, o qualcuno d meno, ma non penso molti di più, a meno che – ovviamente – non siate voi stessi omosessuali (fra i nostri lettori ce ne saranno certamente diversi) e frequentiate comprensibilmente persone con lo stesso vostro orientamento sessuale.

Forzando moltissimo le cifre, io sono arrivato a un ipotetico valore massimo del 6% di omosessuali fra le mie conoscenze, quasi tutti invisibili e coperti, e nessuno palesemente tale fra le persone che frequento abitualmente, qui nel vicinato, nel lavoro, negli ambienti sociali e culturali che pratico. 

Naturalmente nessuna statistica è credibile riguardo un argomento così sensibile e potenzialmente discriminante; salvo sporadici episodi di omosessualità, si dichiarano esplicitamente omosessuali fra l’1 e il 5% degli intervistati di varie indagini in giro per il mondo (traggo dalla Wikipedia per pura pigrizia, scusatemi); secondo un’indagine Istat del 2012 un milione di italiani sarebbe dichiaratamente omo- o bisessuale (1,7%); secondo un’indagine OCSE del 2019 (Society at a Glance 2019) sarebbe omo- o bisessuale il 2,7% della popolazione dei paesi oggetti dell’indagine (sostanzialmente europei e nord americani); il paese col tasso più alto è gli Stati Uniti (mi serve per ragionamenti che farò a breve) con qualche decimale meno del 4% (QUI una sintesi in italiano). Mi fermo coi numeri, tutti molto aleatori, strettamente dipendenti dalle modalità di indagine e dal contesto sociale di provenienza degli intervistati. Potete benissimo ritenere molto sottodimensionati alcuni di questi numeri ma, anche gonfiandoli (con quale criterio?) credo che se ci attestiamo all’incirca sul 5%, 6 al massimo, dovremmo essere vicini alla realtà. Quindi, vedete, anche la stima dei miei amici omosessuali era abbastanza azzeccata.

Salto a pie’ pari tutta la tiritera sulla discriminazione subita da questa minoranza; non perché poco rilevante ma perché Hic Rhodus ha scritto numerosi post a loro difesa, scagliandosi anche con una certa veemenza contro il pensiero bigotto, l’omofobia cattolica, il bullismo omofobo nelle scuole e via discorrendo; con la tag #omosessuali troverete questi articoli e potrete facilmente capire come – da libertari quali riteniamo di essere – ci siamo più volte spesi.

Sta però succedendo una cosa che trovo stancante, stupida e profondamente sbagliata. All’insegna del perbenismo, del linguaggio politicamente corretto, di una equivocata “inclusione”,  l’orientamento sessuale (minoritario) omosessuale, è presente ormai in una percentuale altissima di narrazioni cinematografiche principalmente (ma non solo) americane. Non ho voglia di fare una minuziosa indagine che mi porterebbe via tempo e fatica, ma stimo che fra il 50 e l’70% della produzione Netflix riserbi ruoli di primo piano a protagonisti o co-protagonisti omosessuali (nel ruolo di omosessuali). Non c’è teen movie senza l’amica lesbica o il compagno di banco gay; non c’è blockbuster senza almeno una fugace strizzatina d’occhio alla relazione omosessuale.  Ho scoperto ieri sera che la mitica Della Street, segretaria tuttofare di Perry Mason (l’investigatore creato da Erle Stanley Gardner negli anni ’40 e ’50), è lesbica nella nuovissima serie HBO in onda in queste settimane su Sky; anche se la rivelazione si presenta come veloci abbracci e baci saffici, questa decisione degli sceneggiatori non dà spessore al personaggio, non serve, è gratuita e quindi fastidiosa e sciocca.

Devo fare alcune digressioni, brevi brevi:

  • ha molto senso, sociologicamente, utilizzare come indicatore la produzione cinematografica di massa (includo in questa le serie), essendo noto e documentato come questa influenzi potentemente e direttamente l’immaginario collettivo e i susseguenti modelli di comportamento;
  • ho citato Netflix come contenitore piuttosto diffuso, potevo indicare qualunque altro o, in generale, l’industria del cinema e delle serie TV;
  • la mia percentuale (50-70%) vale come quella a inizio articolo. È “nasometrica” e apprezzerò ogni serio sforzo per misurare – con adeguati indicatori – una cifra più corretta che, scommetto il mio ultimo Euro, sarà nel range da me suggerito.

Perché, dopo tanti articoli a favore dell’inclusione e della tolleranza, scrivo che questa sovrarappresentazione mi sta molto infastidendo? Le ragioni sono articolate e si intrecciano ma, per farla breve, dirò così: la distorsione (sia pure fantasiosa, artistica) della realtà a favore di un gruppo sociale, è una forma di manipolazione che crea dispercezione della realtà. Se il mondo LGBT può essere lieto di questa dispercezione (positiva per loro), come cittadini dobbiamo porci due problemi seri:

  • questa falsificazione della realtà – assai frequente e comune, e coscientemente utilizzata negli anni da molto cinema americano – può essere utilizzata rispetto a qualunque tema, argomento controverso, per finalità meno inclusive di quelle verso la comunità gay; ma questo è l’elemento secondario;
  • l’argomento principale – che contesto – è l’idea dell’inclusione acritica, che è una componente pseudo-sociologica della bituminosa ondata del “politicamente corretto” che ci sta sommergendo. Inclusione – approfondisco nel prossimo paragrafo – non è l’accettazione di qualunque cosa in nome di una morale esterna che si vuole imporre. Come ha recentemente scritto Ottonieri, su un argomento affine, questo è totalitarismo, che è un’altra cosa.

Allora, in conclusione, preciso: “inclusione [sociale]”, da un punto di vista sociologico, significa

appartenere a qualcosa, sia esso un gruppo di persone o un’istituzione, e sentirsi accolti. È quindi facile capire da cosa derivi la necessità dell’inclusione sociale: tra gli individui possono esserci delle differenze a causa delle quali una persona o un gruppo sono “esclusi” dalla società (definizione di ActionAid).

È così banale! Se tu, per qualunque condizione personale (sesso, età, religione, orientamento sessuale) sei discriminato, cioè escluso, non incluso nei normali diritti delle persone, dei cittadini, si compie un’ingiustizia grave; includerti significa riconoscerti i medesimi diritti di qualunque altro cittadino, identico a te tranne per quella condizione. Quindi gli omosessuali devono avere gli stessi diritti degli eterosessuali, i musulmani dei cristiani, i vecchi dei giovani, i poveri dei ricchi. Non succede così, non succede a sufficienza, non succede prontamente, e la società occidentale, democratica, liberale, si adopera per superare ogni barriera, come può, quando può, con passi avanti e passi indietro, ma ormai la cultura diffusa è diventata enormemente più tollerante, incomparabilmente più inclusiva, di quando chi vi scrive era bambino e sentiva correntemente i padri dire, dei loro figli, mej ledar che busô. L’inclusione riguarda le persone in quanto tali, e i loro diritti in quanto persone. Per questo abbiamo scritto che non ci piacciono i diritti extra, specifici, per gli omosessuali (o per i cristiani, o per i pensionati, o per i geometri); si risponde, semmai, a bisogni specifici, ma non ci sono “diritti specifici” per qualunque minoranza, se non sono, semplicemente, diritti in quanto persone, come previsti dalla carta costituzionale.

Il melting pot che si sta facendo digerire, invece, a generazioni di fruitori di fiction televisiva, è che qualcuno ha più diritti: più diritti alla visibilità, più diritti alla partecipazione, più diritti all’ascolto. 

È sbagliato, e per la prima volta lo devo dire chiaramente: gli omosessuali nelle serie TV mi hanno stufato alla grandissima, e ormai cambio canale al loro primo apparire.