La libertà pretesa coi divieti

Parlo di divieti, non solo con riferimento al cosiddetto “catcalling” di cui si discute in questi giorni (certo che se uno non parla un buon inglese, fra un po’ manco la pizza potrà ordinare). Sul fatto specifico di quel tipo di molestia ha già scritto più che bene Viviana Viviani su questo blog, ma io torno sull’argomento per via di una serie di piccole storie di libertà pretese e negate, e di invocazioni di interventi legislativi repressivi. Ne ha parlato chiaramente anche Mattia Feltri, un paio di giorni fa, e scusate se torno sul tema buon ultimo.

Partiamo dal catcalling; nel suo post Feltri richiama l’intervento, sul giornale da lui diretto, di Marta De Vivo, 19enne veneziana che come CV ha “blogger” e “la passione per la scrittura”, che aveva scritto, fra l’altro:

l’Italia è uno dei pochi paesi civili a non avere una legge che tuteli le vittime di catcalling [non è vero, i Paesi con una legge specifica si contano sulle dita di una mano – NdA] non possiamo pensare di non tutelare queste sfere essenziali della vita. La politica si muova al passo con i tempi, le legislazioni cambino a seconda del periodo storico, nel 2021 abbiamo bisogno di leggi contro le molestie di strada.

La signorina Marta, insomma, vorrebbe una legge repressiva contro maschi allupati e fischiettanti, ma il direttore del giornale dove scrive è “sobbalzato” (testuale) nel leggere questa richiesta. Ho poi scoperto che altre ragazze offese hanno lanciato una petizione su change.org per rendere reato questa forma certamente importuna e spesso sgradita di approccio.

La destra intanto – a questo si riferiva Feltri – si scaglia contro Fabiana Dadone perché “in odore” di eccessiva permissività sulle droghe. E poi ancora – tutto affastellato in questi giorni – si è tornato a parlare della legge Zan contro l’omofobia, che la destra malvagia vuole osteggiare…

Per fare una sintesi estrema la questione è così rappresentabile: la gente fa delle cose; altra gente è disturbata da quelle cose e chiede e pretende, e a volte ottiene, una legge per impedire quelle cose. Il punto è che si fa una mostruosa commistione fra etica e morale, fra morale e legge, e questa commistione trova un punto di sintesi nella particolare cultura edonistica, narcisistica, egotica dei tempi correnti (dovrei spiegare perché questi tempi danno spazio a questa cultura; l’ho fatto già altre volte, vi risparmio qui). Se osservate le cronache di questi ultimi anni, con un filo di distacco, osserverete il contemporaneo esplodere di fenomeni con nomi differenti quali politically correctness (il dover parlare in modo “politicamente corretto”), la cancel culture (l’impegno politico a condannare eventi e personaggi del passato perché giudicati scorretti alla luce delle idee contemporanee), il MeToo (l’ondata femminista che è furiosamente insorta contro la maialaggine maschile) e ora il catcalling (gli apprezzamenti maschili all’avvenenza femminile con fischiettamenti e complimenti volgari). In tutti questi casi, nessuno escluso, le parti che si dichiarano offese invocano la scure di una giustizia basata sul divieto e possibilmente la galera.

Ora lo voglio dire chiaro e tondo, una volta ancora: non è su Hic Rhodus che troverete consenso a questa deriva culturale, sociale ed etica.

Come è abbastanza noto (ma forse mi sbaglio, non “abbastanza”) ci sono già leggi contro le molestie, le aggressioni, ovviamente gli stupri o peggio; ci sono già leggi che introducono aggravanti per reati commessi contro le donne in quanto tali, contro gli stranieri in quanto tali o contro gli omosessuali in quanto tali (ragione per cui noi ci siamo dichiarati contrari alla legge Zan contro l’omofobia e abbiamo spiegato i perché QUI). Queste leggi repressive non solo non limitano significativamente il numero dei reati, ma – come da noi argomentato – hanno l’effetto opposto di creare differenze, soglie, discrimini, infine ghetti e riserve, che sono il contrario di una società libera di individui. Individui: uomini e donne, etero ed omosessuali, bianchi e neri, tutti, indistintamente, con gli stessi diritti già ampiamente tutelati dalla legge e con tutte le necessarie aggravanti nei casi dei reati odiosi, abbietti, vili. Il dire “tutelati dalla legge” non implica che siano scomparse le molestie sulle donne o le intolleranze verso neri e omosessuali, ovviamente, e adesso spiego il perché, abbiate pazienza ancora un po’; ma prima devo intrattenermi su questo bisogno di galera.

Perché questo bisogno di pene specifiche? La risposta è sociologica, e non giuridica: da un lato è l’ovvia conseguenza dell’egocentrica fissazione sul Sè; io sono io, sono l’essere più importante, non accetto limitazioni, non accetto critiche, men che meno offese, voi maledetti dovete pagarla! L’egocentrismo contemporaneo si sposa adeguatamente con l’infantilismo e il suo senso di onnipotenza; con la necessità della soddisfazione narcisistica immediata (qui, veramente, sto sconfinando nella psicologia…). L’altro lato è quello culturale, educativo, scarsamente solido in chi invoca pene maggiori; ignoranza sulle leggi esistenti, illusione sulla possibilità “magica” di applicare queste leggi, ignoranza sulla loro efficacia come deterrente e così via. Oggi lo sdegno (il sentimento più squallido elevato a etica dai social media) corre di tweet in tweet, da profilo Facebook a profilo Facebook, e dilata come un laminatoio i piccoli sentimenti immediati che in altra epoca sarebbero caduti, sterili, un secondo dopo. 

La conclusione è che vogliamo pene esemplari per tutti: ti droghi? In galera! Hai abortito? All’inferno! Hai toccato il culo a una signora in ascensore? Castrazione!

Quando l’etica diventa morale, questa moralismo, e quest’ultimo richiesta di leggi, è per noi chiarissimo che il mondo sta diventando un luogo più ristretto in cui vivere, non certo un mondo più libero, o felice, o semplicemente vivibile.

Poiché sono andato con colpi d’accetta pochissimo delicati, voglio comunque dare un’ultima spiegazione concentrandomi solo sulle molestie sessuali, dal catcalling al palpeggiamento evocato poche righe sopra.

Credo inutile precisare – ma pensando a taluni commenti non ne sono del tutto sicuro – che non ho mai fischiato a una donna né, men che meno, ho toccato il sedere o peggio. Ribadisco anche che trovo questi comportamenti estremamente volgari e riprovevoli, certamente sono molestie, capisco che una donna che ne è oggetto possa provare un profondo disturbo.

Ritengo comunque che questo comportamento riprovevole – che già Viviana Viviani ha indicato come residuale e in via di scomparsa – sia da inquadrare nel suo flusso storico (alé, adesso faccio il sociologo sul serio) se no perdiamo il senso della nostra socialità e del suo evolversi. I rapporti fra maschi e femmine si sono costituiti in epoche primordiali nel modo determinato che vedete: le donne fanno figli, e non c’è nulla da fare, li fanno loro; il dimorfismo sessuale nella specie umana “premia” generalmente il maschio di maggiore forza fisica ma, specialmente, i meccanismi biologici della riproduzione hanno per decine di migliaia di anni reso i maschi perlopiù fissati con la ricerca delle femmine e queste, generalmente, desiderose di essere cercate; facilissimi riscontri etologici possono spiegare anche alla più accanita femminista la realtà di questi retaggi che hanno anche plasmato in un determinato modo i corpi femminili e maschili.

La straordinaria novità della contemporaneità è la possibilità di un rapidissimo affrancamento da talune schiavitù biologiche.

Mentre per migliaia di anni, e fino ai nostri nonni o bisnonni, i rapporti fra maschi e femmine sono rimasti – fatemi dire così – “primitivi”, negli ultimi 60 anni, e ancor più negli ultimi 20, le tecnologie, la scienza in generale, le rivoluzioni sociali, geopolitiche eccetera, hanno dato la possibilità di una nuova era nelle relazioni di genere; oggi, sempre di più, la tolleranza verso gli omosessuali è manifesta, e le violenze (abbastanza sporadiche) sono immediatamente sanzionate e condannate; chi ha la mia età ricorderà l’inferno della condizione omosessuale, quando era manifesta, qualche decennio fa. Parliamo di donne: quando ero giovane i negozi che vendevano accessori per auto fornivano etichette autoadesive, da collocare sulla macchina, con scritto “Me la dai o scendi”, e ricordo che tantissime auto ne ero provviste; pensavano facesse ridere; comunque che non ci fosse nulla di male. Ora solo il peggior coatto di borgata potrebbe mettere quella scritta idiota in vista.

Sto dicendo che le cose stanno cambiando rapidamente, proprio ora, e che nuovi modelli culturali si vanno affermando. Ma non si può pretendere che cambino dall’oggi al domani per ragioni inerenti i meccanismi sociali e culturali stessi, e la latenza e la forza che implicano. Sono d’accordo che il cambiamento sia dovuto anche (“anche”, non soprattutto) a molteplici fenomeni che hanno attraversato il secolo passato e il primo ventennio di questo e, per farla breve, l’impegno femminista è una delle componenti che hanno contribuito a questa nuova presa di coscienza; ma il contributo vale più come testimonianza che come causa principale, un po’ come la Resistenza al nazi-fascismo, importante per il suo significato etico e politico, non certo strategico-miliare.

C’è ancora tantissimo da fare, e non saranno le generazioni viventi a vedere la fine di questo processo emancipativo, ma solo chi è cieco e sordo non vede i cambiamenti in atto, il che ci riporta al lato educativo e culturale descritto sopra: mentre la comprensione del momento storico è cultura, è consapevolezza, e fornisce adeguati strumenti per interpretare il momento il cui ci è dato vivere, e accompagnarne l’evoluzione, sono l’incultura e il facile sdegno, la scomparsa della Storia e l’egocentrismo infantile che fanno blaterare di leggi, di repressioni, di censure, di divieti.

Per questo Hic Rhodus si batte contro il moralismo pericolosissimo della correttezza politica e della cancel culture; per questo non siamo entusiasti delle quote rose e delle leggi a (ipotetica) protezione degli omosessuali; per questo – dati alla mano – abbiamo più volte sconfessato gli eccessi isterici e strumentali sui femminicidi; e sempre per questo ci sentiamo di fare un grande pernacchio – che ci pare pertinente – sia a chi si rende “reo” di catcalling, sia a chi ne invoca la galera.