Mi sono divertito un sacco a leggere Gaetano Quagliariello sull’HuffPost additare un paradosso di cui voglio parlarvi. Vi prego di non storcere subito il naso di fronte all’uomo e alle sue appartenenze; ultimamente mi trovo a condividere posizioni intelligenti di politici che hanno molto da farsi perdonare del loro trascorso berlusconiano, mentre mi cadono i gomiti sempre di più quando leggo le dichiarazioni di gente che un tempo, semmai, mi scappava di votare.
Cosa scrive Quagliariello? Che c’è una contraddizione in chi – come Letta e il PD – sostengono sia le quote rosa sia la legge Zan contro l’omofobia:
Al mio amico Enrico Letta, grande sostenitore tanto della “parità” quanto dell’”identità”, vorrei dire che le due cose insieme non possono stare se, come avviene nel testo di legge Zan, per identità si intende la “identificazione percepita e manifestata di sé in relazione al genere, anche se non corrispondente al sesso, indipendentemente dall’aver concluso un percorso di transizione”. Vale a dire, il diritto a identificarsi con l’appartenenza al sesso maschile o al sesso femminile a prescindere da qualsiasi dato biologico, in nome di una mera – e potenzialmente mutevole – autopercezione.
Ebbene – scrive Quagliariello dopo alcune osservazioni abbastanza gustose –
La divisione, al fondo, è tra chi ritiene che la libera scelta della persona muova da un dato di realtà che si è appunto liberi di contraddire con i propri comportamenti ma non di negare nella sua esistenza (vale a dire che sono libero di sentirmi donna ma ciò non significa poter negare che biologicamente sia nato uomo), e chi invece considera il dato biologico qualcosa di totalmente relativo e l’identità sessuale (cosa ben diversa dai gusti sessuali) una scelta culturale.
E conclude:
difficile è sostenere una legge che considera l’identità null’altro che il frutto di una “autopercezione”, e al tempo stesso intraprendere una crociata per la parità di genere e la promozione del ruolo delle donne. E non c’è bisogno di essere femministi della prima ora per riconoscere oggi nella parità di genere il più potente argine alla nuova moda della sessualità fluida, dell’identità come costrutto socio-culturale sganciato dalla biologia, dell’autopercezione come parametro sufficiente a definire non solo se stessi ma anche se stessi in relazione agli altri.
Per fare una sintesi estrema: le quote rosa si basano (fatemi semplificare) sulla certezza di genere (e la conseguente difesa del genere “debole”), mentre la legge Zan si fonda sull’autopercezione soggettiva del genere.
Insomma, secondo Quagliariello in questi due “diritti” manca un fundamentum divisionis; per un diritto ci si appella all’oggettività del genere e per l’altro alla sua soggettività. Ciò crea divertenti paradossi che Quagliariello esemplifica così:
Basterebbe, cioè, immaginare cosa accadrebbe se dopo un’aspra battaglia per strappare una posizione di influenza al maschilismo imperante, una donna assurta a un determinato ruolo in virtù del proprio essere donna si svegliasse una mattina percependosi uomo. Come se ne uscirebbe? Azzerando e ricominciando daccapo la conta sul pallottoliere rosa e azzurro degli incarichi apicali, fino al prossimo cambio di percezione?
Come mi è capitato di scrivere qui proprio ieri, noi di Hic Rhodus non siamo entusiasti né delle quote rosa né della legge contro l’omofobia, anche se per ragioni diversissime da quelle becere della destra post-fascista e dei finti liberali transgenici di Berlusconi ma, come spesso ci accade, questa storia e la sottolineatura di Quagliariello mi permettono una piccola riflessione di carattere generale.
È tutto un reclamare diritti, che tali non sono, da parte di molteplici minoranze e parti sociali variamente offese. Che non si tratti di diritti in senso compiuto l’abbiamo cercato di spiegare in alcuni articoli della serie intitolata #dossier-democrazia, in particolare nei primi che trattano diritti, bisogni e doveri. Inoltre – come nel post di ieri ho sostenuto più che abbondantemente – si ignora che le leggi già esistono a tutela delle minoranze e che esistono già le aggravanti per i reati compiuti in odio a ciò che una persona rappresenta (reati contro le donne in quanto donne, contro i neri in quanto neri, contro gli omosessuali in quanto tali). Esistono già. Se la crescente complessità sociale rende manifesti nuovi disagi, rivela nuove forme di discriminazione su minoranze culturali, religiose, politiche etc., si possono adeguare i Codici in generale, mentre a nostro parere è sempre sbagliato correre a varare leggi ad hoc per ciascuna minoranza che ciancia di una specifica, precisa, solo per loro, tutela e garanzia. Questo lo si fa allo zoo, dove si tengono i leoni da una parte, le iene dall’altra e le scimmie da altra parte ancora.
Libertà non è, non può essere, una somma di tante libertà particolari, una per ciascuno di noi; deve invece essere una comune libertà di tutti e per tutti, dove ogni individuo può esprimersi come crede, che sia donna o uomo, bianco o nero, ateo o religioso.
Contro questa che a noi pare un’ovvietà si frappongono due questioni rilevanti, ciascuna di bassa politica. La prima è che ogni legge particolare suscita consenso specifico da una fetta di pubblico elettorale; una carezza alle donne, un sorriso agli omosessuali, una strizzata d’occhio ai cattolici, poi una regalìa a un ceto professionale, e avanti così, accumulando leggi inutili, difficilmente applicabili (legge contro l’omofobia) o, quando applicabili, discutibili negli effetti e illiberali nella sostanza (questo, a mio avviso, per le quote rosa). La seconda questione è il tasso medio di neuroni presenti nella classe politica attuale: che non vedono le contraddizioni, che si sentono ideologicamente dalla parte giusta, che non riflettono e non valutano. E che possono essere sbertucciati da un Quagliariello troppo arguto per i loro palati.