Forse è vero, che si stava meglio quando si stava peggio

Piccola polemichetta che mi era completamente sfuggita, proprio a me, che amo tanto queste cose così rivelatrici del mondo, di tutti noi…

Allora: il 1° maggio Roberto Saviano se ne esce con questo tweet: 

Naturalmente i giornalacci di destra ci si sono buttati a corpo morto: “L’orrore della fatica. Ora Saviano elogia il fancazzismo”, titola Il giornale (3 maggio); “Saviano paladino dei fannulloni”, rilancia Libero (3 maggio). E va bene. Mi secca un po’ di più che nel trappolone della polemichina ci si sia infilato Pierluigi Battista sull’HuffPost del 5 maggio, perché mi dispiace sempre quando una persona che stimo per certi versi, inciampa su un verso differente. Battista – va chiarito – riprende ampiamente da una critica di Carlo Stagnaro sul Foglio del 3 maggio.

Cosa dice, in pratica, Stagnaro, rilanciato pari pari da Battista? Che – dati alla mano – la vita media degli italiani, ma anche delle nazioni più povere e disgraziate (viene citato il Ciad) è aumentata notevolmente nei decenni; la mortalità infantile è enormemente inferiore; ci potrebbe essere un’obiezione, diciamo così, “qualitativa”:

Saviano potrebbe obiettare: sì, viviamo più a lungo, ma è una vita più povera perché abbiamo meno risorse e meno tempo. Al contrario, il valore dei beni e servizi consumati ogni giorno dall’essere umano medio è cresciuto da 11,7 dollari nel 1990 a 18,2 nel 2019 (al netto dell’inflazione e a parità di potere d’acquisto). L’apporto calorico quotidiano è balzato da 2.181 chilocalorie nel 1961 a 2.947 oggi. Le persone denutrite sono scese dal 13,2 all’8,9 per cento del totale negli ultimi vent’anni (una tendenza che sembra essersi invertita nel periodo più recente, cosa che dovrebbe preoccupare molto). (Stagnaro, sostanzialmente identico in Battista)

Infine il lavoro, che sarebbe poi stato il tema di Saviano: rispetto a un secolo fa si lavora enormemente di meno, non c’è analfabetismo, si gode di tempo libero (sport, letture…).

Conclusione:

Insomma solo pregiudizi, cecità ideologica, odio per il progresso. Basterebbe informarsi un po’, vero Roberto Saviano? Ma informarsi è anche un po’ un orrore. (Battista)

Ecco, c’è del marcio in Danimarca. E mi dispiace davvero. Se di Carlo Stagnaro non mi importa un fico secco, perché non mi pare qualificato per assurgere a maître à penser (è un ingegnere esperto di economia energetica, area dem – QUI la bio), tant’è vero che scrive delle sciocchezze, come sto per argomentare, mi dispiace che Battista, che porta avanti tante giuste battaglie liberali con una sensibilità che appartiene anche a me, abbia scopiazzato l’altro per mettere subito l’etichetta di pregiudizialità e ideologicità a Saviano, un intellettuale che – ho scritto più volte qui su HR – non mi piace particolarmente, spesso non mi rappresenta, ma sì, è uno dei pochi in circolazione.

Il marcio danese riguarda l’uso mistificatorio dei dati; non a caso Stagnaro è un ingegnere, la forma mentis è quella: i dati, le cose, i fatti. E prendere l’età media della vita e la mortalità infantile viene facile, ma così facile! Peccato che non sia stato un argomento toccato da Saviano. Saviano, sia chiaro, si sbaglia di grosso quando dice “più lavoro” (le ore lavorative sono di molto diminuite), “meno tempo” (il tempo libero è specularmente aumentato) e “meno vita” (dove Saviano non intende – ovviamente – che si vive meno, ma che si vive male). E Breton a parte, che non c’azzecca nulla (il citazionismo è una deriva onanistica dei social media, Saviano può certamente farne a meno), le allusioni agli intellettuali che immaginavano un futuro liberato dal lavoro è solo una banale e mal compresa rimasticazione del giovane Marx. Roba buona per un tweet…

Quindi sì, Saviano non ha scritto un luminoso pensiero, ma l’astio col quale gli viene risposto è mortificante; non considero nemmeno i giornalacci di destra, ma il compitino di Stagnaro è falso, e l’invettiva di Battista fuori luogo.

Perché Stagnaro dice il falso (probabilmente senza accorgersene)? Per la semplice ragione che cita i dati che gli convengono. Per spiegarmi rinvio, rapidamente, alle dannosissime classifiche sulle “città in cui si vive meglio”, che per esempio vengono stilate ogni anno dal Sole 24 ore. Queste classifiche prendono in considerazione i) pochi indicatori (sulle migliaia possibili e immaginabili), ii) di cui si hanno numeri e statistiche (ovvero una minimissima parte degli indicatori possibili, e forse anche importanti, ma dei quali non si possono compulsare statistiche perché non ce ne sono). Il risultato è che un ricercatore un pochino esperto e scaltro potrebbe dire, di qualunque città italiana, che è una delle migliori oppure una delle peggiori, a seconda dei dati che ha utilizzato (una spiegazione tecnica l’ho scritta QUI; una analoga su un’altra classifica politico-culturale QUI; una sulla libertà di stampa QUI. Tutte, nessuna esclusa, sono gravate da pesantissimi errori sistematici).

Ora: è indubbio che viviamo molto più a lungo, che mangiamo di più e meglio, che abbiamo tempo libero, siamo più istruiti, il reddito pro capite medio si è di moltissimo innalzato in tutto il mondo, eccetera. Questa è la parte facile dell’analisi. È anche vero che siamo tutti sovrappeso o obesi, dai 50 anni in su viviamo aiutati da un numero crescente di pasticche, la maggior parte della gente consuma il suo tempo libero guardando serie tv o giocando alla playstation, il consumo di ansiolitici e antidepressivi è alle stelle, abbiamo paura della guerra, dei cambiamenti climatici, dei virus. C’è una generale estraneità sociale, se non un incattivimento, sconosciuti qualche decennio fa; siamo istruiti abbastanza per leggere il titolo di un giornale ma in pochi lo sono quanto occorre per capirlo; e per venire al lavoro – che avrebbe dovuto essere il tema di Saviano – io vedo enormi conquiste positive, che hanno avuto il loro culmine un paio di decenni fa, mentre mi pare che oggi sia diffuso il lavoro precario e di scarsa qualità, mentre la liberazione dal lavoro, vagheggiata dagli intellettuali citati da Saviano, si sta compiendo grazie a un’intelligenza artificiale che creerà scompensi inenarrabili (come ha scritto più volte, anche recentemente, Ottonieri).

Se ci fossero dei dati “oggettivi” sulla felicità, se fosse possibile misurarla veramente, e se avessimo una bella base storica di dati, non sono affatto convinto che la felicità umana sia apprezzabilmente aumentata nell’ultimo secolo, e a occhio e croce direi che è diminuita.

Allora, probabilmente Saviano aveva in mente un pensiero di questo genere, che ha male espresso affidandosi a una forma di comunicazione sbagliata. Male, molto male. Ma se uno Stagnaro qualunque ha trovato l’occasione per farci capire che è bravino e conosce i numerini, soddisfacendo in tal modo il proprio Ego, male, ma molto male, ha fatto Battista, che sulla scorta del precedente ha semplicemente compiuto quell’operazione ideologica (ma di senso opposto) che imputa a Saviano.

Ecco, questo è il male contemporaneo.

Usiamo i brandelli di informazione che abbiamo senza criticità, senza controllo, senza comprensione, come manganelli per colpire chi ha utilizzato altri brandelli di informazione. Capiamo come ci pare, entro i ristretti limiti delle nostre possibili comprensioni, quello che dicono e scrivono altre persone, nei modi utili e necessari per polemizzare, indignarci, accusare, sempre scivolando su argomenti limitrofi ma utili per la nostra differente perorazione (così hanno fatto anche Stagnaro e Battista), e quindi deviando il pensiero del lettore, che perde di vista il punto centrale.

Gli intellettuali sbagliano. Saviano, come già detto, non sempre mi entusiasma ma merita il mio rispetto; Battista mi piace molto in certe battaglie che propone, ma poi inevitabilmente anche lui scivola maldestramente. È normale che accade, perché costoro hanno bisogno di scrivere, pubblicare, apparire, autopromuoversi. Anche loro sono prodotti di un mercato, anche loro hanno contratti da rispettare, mica come Marx, divorato da bubboni ed emorroidi che gli impedivano di sedersi, sporco e ubriacone, mantenuto da Engels.

E allora, ancora una volta, ci dobbiamo chiedere chi siano oggi gli intellettuali. Ma forse è ora di cambiare domanda e chiedersi dove siano i lettori intelligenti.