Spending review, non ne parliamo più

Chigi - spending review
È ufficiale: Carlo Cottarelli, il commissario alla spending review, ha gettato la spugna e ha annunciato che lascerà il suo incarico dopo la redazione della Legge di Stabilità (la Finanziaria, si diceva in altri tempi). Ora, premesso che certamente Cottarelli, tornando al Fondo Monetario Internazionale, non è poi da compiangere, è degna di nota l’indiscrezione che sarebbe già pronto il nome del suo successore, ossia Yoram Gutgeld, un economista e senior partner della McKinsey, parlamentare del PD e consigliere economico di Renzi.

Noi di Hic Rhodus abbiamo seguito con attenzione fin dall’inizio le sorti delle proposte di Cottarelli, e non possiamo esimerci dal tracciarne un sommario bilancio, anche per capire se, indipendentemente da quello che si sa delle idee di Gutgeld, abbia senso ingaggiare un ennesimo esperto per la spending review.

Proviamo quindi innanzitutto a rispondere, sia pure in modo necessariamente sommario, a tre domande chiave:

  1. Abbiamo davvero bisogno di una spending review?
  2. Le proposte di Cottarelli sarebbero state efficaci, e in che misura sono state realizzate?
  3. Avrebbe senso nominare un nuovo commissario in sostituzione di Cottarelli?

La prima domanda è probabilmente la più facile, o almeno è una domanda che qui su Hic Rhodus ha più volte trovato risposta: sì, una spending review è necessaria. Ne abbiamo bisogno per evitare un’ulteriore crescita del nostro debito pubblico, che, specie in condizioni di stagnazione economica, è una perenne spada di Damocle; per liberare risorse da reinvestire, perché la nostra spesa pubblica prima ancora che ridotta deve essere meglio diretta; per alleggerire, sia pure marginalmente, il rilevantissimo peso fiscale che grava sui contribuenti. Su tutto questo, in realtà, esiste almeno teoricamente un ampio consenso sia tra i politici che tra gli economisti; il difficile è ovviamente poi impugnare davvero il bisturi e rendere effettive le ipotesi di risparmio.

La risposta alla seconda domanda è inevitabilmente più complessa e controversa. Cominciamo col ricordare che il piano di Cottarelli era piuttosto cospicuo e capillare; lo abbiamo analizzato a suo tempo, ma può essere utile riproporre qui la tabella di sintesi delle sue “famose” slide del marzo scorso:

spending review
La spending review di Cottarelli, marzo 2014

A queste voci si potrebbe aggiungere il mezzo miliardo che Cottarelli stima possa essere risparmiato nel 2015 chiudendo una parte delle largamente inefficienti e ridondanti aziende partecipate dagli enti locali. L’elenco qui sopra sembra lungo, ma, come si può vedere analizzandolo meglio, le voci davvero corpose non sono molte. Di queste, limitiamoci a prendere in esame due aree che provocano immediatamente dibattiti molto accesi: la Sanità e la Previdenza.

  • Per quanto riguarda la Sanità, le “slide Cottarelli” dicevano in realtà abbastanza poco, rinviando a misure da assumere all’interno del Patto per la Salute (prevedendo un risparmio di 800 milioni per il 2015 e di 2 miliardi per il 2016). In realtà, il Patto per la Salute è poi stato sì stipulato tra Stato e Regioni (noi lo abbiamo criticato a suo tempo), ma in esso è previsto un aumento della spesa sanitaria nel 2015 e nel 2016! Quanto ai “livelli di servizio e costi standard” invocati da Cottarelli, abbiamo già sottolineato che se n’è fatto strame. Recentemente, dato che si sta nuovamente parlando di tagli, le Regioni sono insorte per bocca di Sergio Chiamparino che ha proclamato che una riduzione dei trasferimenti alle Regioni per la Sanità “romperebbe il patto d’onore” stipulato appunto con il Patto per la Salute . Naturalmente questa affermazione è una bugia: il testo del Patto prevede appunto che gli importi possano essere soggetti a revisioni anche sostanziali “in relazione al conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica e a variazioni del quadro macroeconomico”. Paradossalmente, il Patto è scritto in modo tale che per ottenere dei risparmi lo Stato non ha altro mezzo che imporre dei tagli lineari, ossia proprio il tipo di taglio che il Patto dovrebbe scongiurare.
  • Per quanto riguarda la Previdenza, Cottarelli aveva proposto una serie di misure (pari a circa 2,6 miliardi per il 2015 e 3,8 per il 2016) che Renzi praticamente da subito ha smentito, anche con ragioni valide; resta il fatto che oggi la spesa pensionistica è altissima e la grande maggioranza dei pensionati riceve cifre molto maggiori di quanto sarebbe giustificato dai contributi da essi versati. Se un contributo “di solidarietà” a carico delle pensioni “alte” senza altri criteri di applicazione sarebbe una tassa surrettizia, un prelievo basato appunto sul divario tra la pensione effettiva e quella che sarebbe coperta dai contributi sarebbe invece, come abbiamo argomentato, semmai un atto di equità intergenerazionale. La questione è anche tecnicamente complessa, dovendosi tenere conto anche di diverse sentenze tra cui una della Cassazione che ha recentemente dichiarato inammissibile una misura introdotta dal Governo Monti. Sui rischi di bancarotta degli istituti di previdenze in questi ultimi giorni si è pronunciato il presidente della Cassa dei Ragionieri, e peraltro lo stesso Gutgeld, ancora di recente, aveva proposto di applicare un prelievo di questo tipo. Resta il fatto che sulle pensioni Renzi si è finora mosso con molta cautela.

In sintesi, quindi, possiamo dire che le misure proposte da Cottarelli erano tecnicamente possibili ma piuttosto frammentate; molte, pur generalmente apprezzabili nell’impostazione, erano di difficile attuazione, e infine solo una minoranza sono state davvero realizzate o almeno avviate (si può segnalare la riduzione dei centri di spesa della PA, misura che tra l’altro vorrei veder monitorata). Eppure, lo stesso governo che ha sostanzialmente sconfessato Cottarelli su punti come Sanità e Previdenza, e che ha recentemente promesso di assumere 150.000 insegnanti entro il prossimo settembre, oggi afferma di voler tagliare 20 miliardi di spesa nel 2015, cioè più di quanto prevedesse l’originale “piano Cottarelli”!

Se quindi, come abbiamo sostenuto più volte anche recentemente, una spending review è necessaria, resta da chiedersi se la si possa realizzare concretamente seguendo quello che negli ultimi anni è diventato una specie di rito:

  1. Il Governo in carica dichiara l’assoluta necessità di ridurre e ristrutturare la spesa pubblica e si affida a un autorevole e preparato personaggio nominandolo Commissario alla spending review.
  2. Il Commissario si mette al lavoro e, dopo uno studio durato alcuni mesi, produce un piano articolato, motivato e ambizioso di riduzione della spesa.
  3. Il Governo, che di solito nel frattempo è cambiato, ringrazia il Commissario per l’eccellente lavoro, ma contemporaneamente proclama il nobile primato della politica sul “tecnicismo” degli economisti, e afferma che sarà appunto la politica (cioè il Governo stesso) a decidere quali delle misure proposte dal Commissario saranno effettivamente applicate.
  4. Il Piano del Commissario viene smontato pezzo a pezzo, le singole misure sottoposte al fuoco incrociato dei vari soggetti che difendono gli interessi della spesa improduttiva, e alla fine solo un’infima minoranza di esse si concretizza (e in questo il Governo Renzi non è davvero il peggiore esempio; che cosa fu ad esempio del piano predisposto da Bondi?).
  5. Il Commissario rassegna (è il caso di dire) le dimissioni, per essere sostituito da qualcuno di piena fiducia del nuovo Governo, e si torna al punto di partenza.

Ebbene, non credo che abbia senso perpetuare oltre questo rituale. Anziché nominare Gutgeld nuovo Commissario alla spending review, sarebbe meglio che il Governo, e con esso ciascun ministro, assumesse direttamente e senza mediazioni “tecniche” l’onere di realizzare i 20 miliardi di risparmi che dice di volere. Nel corso degli anni di studi ne sono stati fatti molti; Renzi e i suoi peschino direttamente da quest’ampio ventaglio di possibilità e attuino ora le misure che, “politicamente”, considerino più eque e desiderabili. Mettere al lavoro i tecnici per poi smentirli serve solo a perdere tempo e (altri) soldi.