Migration Compact: una proposta italiana di cui val la pena di parlare

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Migration Compact, è stata battezzata con l’intento forse un po’ malizioso di evocare altre politiche di convergenza europea imposte più che proposte dalla leadership tedesca all’Unione Europea: si tratta dell’abbozzo di proposta sottoposto dall’Italia per la gestione del problema delle migrazioni.

Noi l’abbiamo letta, e pensiamo che, per una volta, contenga diversi spunti validi. Vediamo di cosa si tratta.

Innanzitutto, teniamo presente che la proposta è appunto un abbozzo, sintetizzato in un documento di quattro pagine, anzi un “non documento”, non paper come è chiamato nello stesso testo; quindi i diversi elementi della proposta non sono accompagnati da un’analisi di fattibilità approfondita, e richiedono certamente di essere approfonditi. Insomma, si tratta appunto di una linea guida generale, un elenco di priorità e di possibili strumenti da impiegare.

Quali sono dunque i contenuti che mi fanno dire che il documento è meritevole di attenzione? In primo luogo, un elemento di impostazione: gli autori sottolineano, giustamente secondo me, che il dibattito e le azioni su questo argomento si sono sinora concentrati su una prospettiva interna all’Unione Europea, mentre è chiaro che è necessario rivolgere attenzione,  risorse e capacità di intervento al di fuori, verso i paesi di origine e transito dei flussi migratori. È inutile passare mesi a discutere sugli steccati interni tra paese e paese, sulla ripartizione dei richiedenti asilo, su come conteggiare le spese per i migranti rispetto ai tetti di deficit, se poi non si fa nulla per governare il fenomeno migratorio là dove nasce. Peraltro, la considerazione strategica da cui il documento parte è che, mentre i flussi provenienti dal Medio Oriente e in particolare dalla Siria, per quanto oggi rappresentino un’emergenza, sono destinati a medio-lungo termine a essere molto meno rilevanti di quelli provenienti dalla “rotta mediterranea” che dai paesi dell’Africa mediterranea porta all’Europa Meridionale, e che nei prossimi decenni sarà percorsa da imponenti masse di migranti per ragioni economiche.

Le linee guida proposte nel documento sono:

  1. Concentrare gli interventi verso i paesi africani di origine e/o di passaggio dei flussi migratori. Questo significa ovviamente anche riorientare le risorse oggi impiegate in diversi programmi internazionali di cooperazione.
  2. Individuare alcuni paesi chiave con cui stabilire accordi diretti, in base alle specifiche caratteristiche e necessità di ciascuno.
  3. Stabilire accordi puntuali di do ut des, sul modello di quanto fatto con la Turchia, senza erogare aiuti a pioggia ma offrendo contributi realmente utili a ciascun paese e chiedendo corrispondenti impegni alla controparte.

Tra ciò che l’UE può offrire, il documento cita:

  • Progetti basati su investimenti UE con forti ricadute sociali e infrastrutturali, in funzione delle specifiche esigenze e manchevolezze del paese partner. In quest’ambito vale appunto l’esigenza di riorientare le risorse già oggi dedicate a programmi di cooperazione.
  • Bond “Africa-UE” per facilitare l’accesso al credito da parte dei paesi africani che ne hanno bisogno, e più in generale servizi finanziari.
  • Cooperazione per la sicurezza, per l’applicazione della giustizia, la gestione dei migranti, il controllo dei confini assumendo anche una dimensione multinazionale là dove i confini nazionali sono “permeabili” alla criminalità.
  • Programmazione di quote di immigrazione legale, con servizi “locali” di formazione preventiva, coinvolgimento di aziende, programmi “Erasmus” allargati, ecc. per facilitare l’incontro di domanda e offerta per l’immigrazione.

L’UE dovrebbe viceversa chiedere ai partner l’impegno a collaborare su diversi piani:

  • Controllo delle frontiere e dei flussi, contenendo la migrazione illegale verso l’Europa.
  • Rimpatrio di immigrati illegali, facilitando l’identificazione dei migranti e la costituzione di banche dati internazionali.
  • Costituzione di strutture di accoglienza, finanziate anche dall’UE e da organismi internazionali, con la capacità di gestire localmente e in modo corretto i flussi in ingresso e in uscita.

Il documento giunge alla conclusione che tutte le politiche e gli strumenti che l’EU ha in campo nell’ambito della sicurezza e delle politiche di sviluppo dovrebbero essere combinati strategicamente per stabilire e mantenere una presenza europea per garantire la legalità nella cintura sahariana. Insomma: non si può pensare di cavarsela facendo lo scaricabarile in Europa e lasciando a se stessi i paesi dell’Africa mediterranea a sostenere la pressione demografica che verrà dall’Africa subsahariana: si rischia semplicemente che il Nord Africa diventi un enorme molo d’imbarco verso l’Europa. Bisogna andare lì, e lavorare insieme ai governi locali, partendo dalla Libia.

Infine, c’è ovviamente il problema di trovare le risorse. Anche qui, il documento fornisce indicazioni di massima, che vanno dal reindirizzamento dei fondi esistenti alla costituzione di un fondo per investimenti nei paesi di origine dei flussi, fino all’emissione di “Eurobond per le migrazioni” che potrebbero finanziare appunto le politiche descritte sopra.

Proprio su quest’ultimo punto si sono accentrate le resistenze della Germania, che al solo sentir parlare di Eurobond ha reagito con durezza. Eppure, schermaglie italo-tedesche a parte, non è certo quello il punto cruciale delle proposte italiane: se l’UE decide una politica comune, allora dovrà anche finanziarla, smettendola di far finta che si possa ribaltare il problema sui paesi “rivieraschi” come Italia, Grecia e Spagna; con quale strumento francamente è un problema secondario. Se invece l’UE decide di non decidere, il rischio che ogni paese giochi una partita opportunistica e che le forze politiche populiste abbiano buon gioco a sostenere l’inutilità delle istituzioni europee diventerà una certezza, e non basteranno muri e steccati a proteggere la tranquillità dei nostri amici mitteleuropei.

Infine, accenno a un’altra critica, ben più fondata, secondo cui il documento italiano non terrebbe conto della realtà, e cioè del fatto che in diversi paesi africani, a partire dalla Libia, non ci sono governi in grado di essere interlocutori credibili per iniziative simili. Effettivamente, questo è vero; tuttavia, a me pare sia semmai un motivo per accelerare le iniziative per creare le condizioni di partenza per le azioni descritte sopra. Di nuovo, la scelta di base è: giocare in difesa, creando barriere sul nostro territorio e litigando per dividerci costi e oneri creati dall’inevitabile afflusso di migranti indesiderati, o provare a giocare in attacco, con le difficoltà conseguenti ma con la possibilità, forse, di incidere realmente sui fenomeni anziché tentare di schivarne gli effetti.

Il Dossier migrazione su Hic Rhodus: