Quando le libertà e i diritti confliggono fra loro

Notizia importante: l’Islanda si approssima al divieto della circoncisione, che verrà punita con ben sei anni di carcere. Orbene: l’Islanda è un posto remoto di 334.000 abitanti, con 250 ebrei e 1.500 musulmani, ed erroneamente qualcuno potrebbe trovare stravagante anche il solo parlare di questa sciocchezzuola. Che invece si presta straordinariamente bene per discutere dell’usuale conflitto fra presunti diritti e pretese libertà, e di come si debba comportare un regime democratico, liberale, capace di trovare una soluzione giusta. E così la nostra riflessione dovrà trattare di cosa sia “giusto” oppure no. Prima di iniziare sgomberiamo il campo da alcune questioni, più o meno importanti, ma che non tratteremo in questo articolo:

  1. qui non discutiamo dell’orrore delle mutilazioni genitali femminili; il nostro pensiero, di totale e ferma condanna, lo abbiamo già espresso QUI;
  2. qui non discutiamo neppure della profonda stupidità relativamente alla presunta igiene della circoncisione maschile; come forse saprete una pratica “medica” assai diffusa per esempio negli Stati Uniti indipendentemente da motivazioni religiose (se siete interessati potete trovare dei resoconti critici QUI e QUI);
  3. e infine non ci interessano le motivazioni religiose, che riguardano specialmente ebrei e musulmani; di questo aspetto abbiamo discusso QUI e ci basta.

Senza titolo.001La nostra riflessione riguarda solo la risposta che lo Stato deve dare di fronte alla presenza di (apparenti) contraddizioni relative alle libertà individuali; in questo specifico caso si confronta la libertà di culto e appartenenza religiosa con la libertà di applicare procedure religiose (per esempio la circoncisione) che manifestamente ledono i diritti di terzi (per esempio i minori costretti a subire l’intervento). Quale diritto deve prevalere?

La risposta è meno semplice di quanto possa apparire perché se “libertà religiosa” è un diritto, lo è nell’insieme delle sue manifestazioni: non solo è un diritto credere pubblicamente all’insieme dei valori propugnati, ma anche alle procedure e riti che sono parte costitutiva di quell’essere religione. Se noi diciamo agli ebrei “siete liberi di praticare la vostra religione”, ciò significa che possono riposare il sabato, mangiare cibo kasher, celebrare il bar mitzvah e un sacco di altre cose che riguardano il loro essere di religione ebraica. Questa libertà appartiene, analoga, ai musulmani, ai cattolici, ai protestanti e così via. Il problema si pone quando una o più di queste pratiche (di qualunque religione) confligge con altri principi democratici quali l’integrità fisica e la tutela dei minori, che non hanno scelto di essere circoncisi. Il conflitto nasce solo in quanto si può ritenere la religione (qualunque) un punto di vista. In questo unico senso, l’essere ebrei (o musulmani, o cattolici…) e seguire rigorosamente quella religione riguarda la libertà di “opinione” piuttosto che una particolare libertà con uno statuto specifico. Se tu, in quanto ebreo (musulmano, cattolico…) vuoi mangiare kasher, sono assolutamente affari tuoi, come il credere nell’Antico Testamento. Sono tue opinioni, come quella che ti farà decidere per chi votare alle elezioni, quali quotidiani leggere, a quale sindacato iscriverti e quale film vedere stasera in TV. Ma questa libertà è “inferiore” a quelle dell’integrità fisica e della protezione del minore.

E’ piuttosto ovvio che chi sente in profondità la verità della sua fede può non essere  del tutto d’accordo. La fede – dirà costui – non è affatto un’opinione, Dio non è un’opinione ma fonte di Verità; chi sente la propria fede come una Verità rivelata mette codesta rivelazione sopra ogni altra cosa, anche sopra il diritto. Anzi (e qui c’è il fondamento giuridico della questione) come fonte del diritto. Approfondiamo un attimo. Tutte le nostre leggi sono debitrici a una fonte di autorità. Lo schema che segue (fonte) mostra come funziona in Italia e – con le piccole specificità del caso – nel mondo Schermata 2018-02-22 alle 14.48.51occidentale. Guardiamo il caso specifico.

Gli articoli 19 e 20 della nostra Costituzione contemplano la libertà religiosa in un quadro, comunque di possibili limitazioni:

  • di ordine pubblico (non si può organizzare una manifestazione religiosa senza avvertire l’autorità che, in linea di principio, può vietarla);
  • per riti “contrari al buon costume” (un concetto desueto, sì, ma non è questo che ora importa);
  • ma soprattutto, e più rilevante:

sussiste sempre un limite implicito che è connaturato a tutti i diritti: la necessità di tutelare altri diritti o interessi aventi rilevanza costituzionale […] L’ordinamento statale può, così, tutelare i diritti dei fedeli all’interno delle confessioni, limitando la libertà di queste ultime solo quando sono in gioco diritti fondamentali. Infatti, a prescindere dallo svolgimento dei riti del culto, non è mai consentita la limitazione dei diritti di libertà per motivi religiosi (sono perciò vietate la segregazione, la sottoposizione a sofferenze, anche di carattere psicologico, o lo svolgimento di riti macabri e/o sacrificali satanici).

Più in generale, un profilo particolarmente delicato in materia di libertà di culto è oggi rappresentato dalla impossibilità di ricondurre alla semplice identità religiosa determinate pratiche cruente, espressioni di modelli culturali spesso difficilmente assimilabili a quelli presenti sul nostro territorio. Di fronte a simili contrasti, la risposta legislativa oscilla tra rispetto dell’identità e politica di repressione; un esempio di quest’ultima è in particolare offerto dalla L. 7/2006, che introduce gravi sanzioni per il nuovo reato di mutilazione degli organi genitali femminili (che trova nei fini religiosi il suo fondamento). (Fonte).

 

Perché questa supremazia del diritto sulla religione? Per una ragione semplice: il diritto “mondano” (laico, tipico di una democrazia liberale) è inclusivo, mentre il “diritto” religioso (tipico di una teocrazia mediorientale) è esclusivo. Per il religioso, se sei buddhista non sei cattolico, se sei musulmano non puoi essere induista, mentre per il laico tu puoi essere quello che vuoi sia come scelta religiosa, che politica, che di altra natura, e avrai sempre gli stessi diritti, per esempio di accesso alla sanità, alla giustizia, alla scuola e così via. La necessità dell’inclusione deve garantire parità di diritti e di trattamento, e quindi le fonti del diritto laico sono necessariamente sovraordinate a quelle religiose. Quindi lo Stato ha tutti i diritti – nell’ambito delle proprie competenze e orientamenti costituzionali – di proibire pratiche cruente come l’infibulazione e la circoncisione ma, come abbiamo scritto altre volte, anche l’eventuale proibizione del velo integrale e del burkini. Ci sarebbero ottimi motivi, e certi libertari distratti che a suo tempo hanno protestato a favore del velo e contro ogni divieto dovrebbero iniziare a fare un ripassino di diritto, prima ancora che un’analisi sociologica e antropologica del reale significato sopraffattorio di questi marcatori pseudo-religiosi di subalternità femminile (ne ho trattato anche QUI, oltre ai link precedenti).

Ecco perché trovo discutibile il sonno italiano verso le pretese dei cattolici più oltranzisti che si mettono in politica come cattolici, e non come cittadini (Binetti, per intenderci); costoro godono dell’inclusività dello Stato laico, e utilizzano i suoi strumenti democratici per chiedere privilegi esclusivi, il più vergognoso dei quali è il Concordato, da cui discendono l’insegnamento della religione a scuola, l’uso ostentato del crocifisso negli uffici pubblici, le tutele e i privilegi della Chiesa che non solo la premiano rispetto a ogni altro credo religioso ma anche dai semplici diritti dei cittadini, contribuendo a disparità intollerabili.

Non saremo mai una società veramente libera fin quando non ci affrancheremo, come collettività, come Stato, da ogni vincolo religioso, che deve restare un diritto individuale da esercitare nell’ambito del rispetto di ogni altro diritto dei cittadini.

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