Rifondare la sinistra? Mah… dipende…

Il dibattito è accesissimo. Ormai la sconfitta si è concretizzata nel governo più reazionario della storia repubblicana e mille fiori sbocciano nel prato della discussione a sinistra. Che fare, dove andare, chi siamo… E’ un momento necessario, ovvio ancor prima che lecito, variegato come conviene a sinistra, disordinato come sempre ma, lo vogliamo dire? A noi piace così, evidentemente… Prima di dire anch’io la mia, partecipando intrepido con la mia personale visione delle cose, devo fare una chiosa preliminare a questo “noi” che un pochino m’ingombra. Voglio dire che “sinistra” è un luogo del pensare a metà fra mito e rito, fra realtà (del secolo scorso) e utopia che non si concreta, fra costruzioni di senso impregnate di semantiche inconciliabili. Cosa diavolo significa, oggi, “essere di sinistra”? Chi ha chiara la risposta, sicuramente non ha quella giusta, almeno per me. Chi ha certezze, l* prego di tenersele, perché finora ci hanno portato solo a pesanti sconfitte. Chi poi dà per scontata la risposta, semmai indignandosi per il solo fatto che qualcuno possa porre la domanda, per pietà vada altrove a spargere le sue mefitiche verità. Io non so se sono di sinistra. Certamente non sono di destra, di questa destra eversiva (da me sempre definita fascista, e insisto sul fatto che lo sia); sempre stato anche antiberlusconiano quando esisteva il berlusconismo; mai amato la democrazia cristiana prima di Berlusconi… Ma essere “di sinistra” non si costruisce solo in contrapposizione a una destra, anzi: ha senso e valore per ciò che dichiara di volere, per l’orizzonte che indica. E’ la pars costruens che deve dare identità politica, quella destruens viene dopo e come conseguenza. Credo che per troppi anni abbiamo invertito i due concetti. Credo che oggi soprattutto siamo d’accordo nell’essere anti-lega e anti-grillini, ma non abbiamo la più pallida idea su cosa siamo a favore; su quale progetto ci dovrebbe dare identità e rappresentanza in quanto di sinistra. 

La sinistra si rifonda – se questo è il progetto – a partire da un nuovo lessico. Le parole costituiscono la realtà; le parole plasmano la politica. Qual è oggi il lessico della sinistra? Se assumiamo quello del ‘900 siamo già sconfitti, come non è più lecito non capire. Non è più lecito essere sordi e ciechi al punto da non capire l’enorme frattura culturale e valoriale fra il ‘900 (diciamo per far prima fino alla caduta del muro) e il nuovo millennio. La perenne sconfitta della sinistra che si richiama a quei valori (vedere l’ultimo esperimento di Liberi e Uguali), sconfitta rovinosa senza appello, o dichiara a gran voce l’inconciliabilità di quella proposta nel divenire dell’attualità, oppure continuiamo a non capire ma allora, perdonatemi, c’è anche una componente di ottuso masochismo nell’incaponirsi nella difesa di ideologie vetuste (non chiamatele “ideali” e “valori”, che sembrano nobili e servono per fare apparire il vostro avversario dialettico privo di ideali e pieno di disvalori. Non sono ideali, sono ideologie, ovvero sistema premasticati di idee pensate da altri, in  altre epoche, per altri scopi; prego gli increduli di leggere QUI prima di commentare questo punto).

Un lessico nuovo dunque, o comunque rivisitato per dargli nuova linfa, nuovo senso. E i caposaldi del lessico della sinistra sono sempre stati uguaglianza (prima e oltre tutto), diritto e lavoro (assieme) e comunità, che potrebbe essere il fraternité francese che tradurrei oggi con inclusione. Uguaglianza, inclusione, diritto al lavoro. Come li decliniamo? Ci siamo accorti che il populismo di destra ce li ha rubati, proprio esasperandone l’estensione semantica? Il mondo degli uguali dove uno vale uno, dove la mia opinione vale come la tua competenza, dove l’onestà è proprietà indivisa del popolo contro la casta, vale a dire l’inclusione populista contro l’esclusione individualista dei privilegiati… tutti i privilegi a tutti (scambiati per diritti) e anche di più (il reddito di cittadinanza…). Ci hanno fottuti alla grande! Noi lì a masturbarci con concetti-feticci e loro zac! li hanno presi, rovesciati come guanti e ci sono arrivati al governo. Guai a chi dice che quelli non sono veri concetti, sono forzature, simulacri, marketing, perché significa che non ci stiamo capendo. Questi qui li hanno votati gli operai, i piccoli commercianti, il ceto medio, mica voi intellettuali!

Prendiamo “uguaglianza”, il primo e più importante dei feticci della sinistra. Uguali a chi, e perché? Quando la sinistra del ‘900 invocava l’uguaglianza, le differenze di classe erano enormi, gli ascensori sociali inesistenti, le speranze di equità sociale ridicole. E’ stato un lungo lavoro nel secondo dopoguerra, indubbiamente voluto e diretto in buona parte dalla sinistra, che ha portato a riforme nella giustizia, nella sanità, nella scuola e nel lavoro. Onore al merito di chi con sacrifio e lotte ottenne quelle condizioni migliori. E disonore a chi, dopo avere concorso a quel cambiamento, ha cercato di cristallizzarlo impedendo ogni successivo passo di adeguamento ai tempi. Cosa significa per esempio, oggi, pensare alla scuola dal punto di vista della sinistra? Ma davvero non ci rendiamo conto come l’uguaglianza al ribasso e il continuo negare il merito hanno condotto a una scuola svilita e poco formativa (ne ha parlato qui su HR Michela Piovesan)? Qual è la ratio di un sistema educativo (università inclusa) dove i mediocri eccellono e gli eccellenti sono avviliti? Ma avete un’idea chiara di come funzioni l’Università diventata diplomificio, con laureette regalate e laureati ignoranti come capre? Bella uguaglianza davvero! Vogliamo partire da qui? Oppure dal lavoro, preferite? Il lavoro non è un diritto, nel senso che il lavoro non si può creare dal nulla salvo in Unione Sovietica o con la deprimente esperienza dei lavori socialmente utili. Il lavoro, oltre a un improbabile diritto, deve essere inteso anche come dovere: lavorare significa contribuire al benessere collettivo; chi non accetta le regole basi del lavoro non ha diritti. Dai furbetti del cartellino alla scarsissima produttività nel comparto pubblico, gli sprechi in sanità, l’assenteismo e via discorrendo, si vede benissimo che manca un’etica del lavoro ma solo l’idea di averne comunque diritto. Vogliamo partire da qui allora? O dall’inclusione che ha perso ogni spessore sociologico perché, essendo di sinistra, dobbiamo necessariamente essere iperinclusivi quanto irriflessivi? Oppure ancora, giusto per aggiungere temi: la sicurezza sociale la liquidiamo come bufala, la rubrichiamo sotto un ipocrita sociologismo, o esiste una proposta di sinistra differente, che faccia la differenza?

E così via…

Ora: o abbiamo una proposta per questi (e altri) temi, una risposta nuova, capace di parlare a chi si è pure un po’ stufato di ascoltare, oppure questo infinito harakiri proseguirà dissanguando anche i migliori intelletti, intrappolati in categorie desuete, aspettando che la Storia spazzi via tutti nel trionfo dell’eversione leghista-grillina. Ma ci vuole un pochino di coraggio, a partire dallo sforzo – che so bene essere enorme – di togliersi gli occhiali dell’ideologia.

Oggi, un lessico nuovo non populista per la sinistra, non può che comprendere parole nuove come sviluppo, innovazione, tecnologia, ma anche sicurezza, nazione e – soprattutto – merito e valutazione, e parole vecchie ma ripensate: bellissima l’uguaglianza, ma nelle opportunità: quindi sanità, giustizia, lavoro e scuola; ma se in una buona scuola non rendi, non devi per forza essere accompagnato fino a un’inutile laurea; se nel lavoro non rendi, non devi necessariamente essere protetto fino alla pensione e mai sanzionato per la tua inettitudine. Uguaglianza nelle opportunità e poi selezione per merito. Può essere accettabile? Lavoro per tutti; ma no, non c’è… opportunità formative per tutti, incentivi all’autoimpresa, sgravi fiscali per i giovani che ci provano, investimenti veri in ricerca e sviluppo… e poi protezione a chi perde il lavoro, ovviamente, sempre che non abbia colpe. Diritti sì, tutti e concreti, ma solo assieme ai doveri. Inclusione sì, forte e vera (non quella pidocchiosa e stracciona che offriamo oggi) ma dentro regole chiare. Giustizia senza giustizialismo, ma garanzie contro le persecuzioni dei magistrati populisti. Sanità eccellente, ma dentro regole di spesa vincolanti. 

Sapete perché tutto questo è veramente di sinistra? E’ di sinistra perché una comunità che funziona è di per sé inclusiva ed ugualitaria; l’idea di uno Stato che funzioni, di una burocrazia efficiente, di pubblici impiegati scrupolosi e attivi, di scuole templi dell’educazione e via discorrendo, sono l’esatto contrario del populismo sfascista. Il merito e la valutazione sono elementi fondamentali di una convivenza dove chiunque (lo meriti) può aspirare al successo. 

L’ordalia liberista non si sconfigge con i retorici stilemi del vecchio PCUS; l’ondata fascio-populista non si ferma con le parole d’ordine della CGIL di Camusso né coi liberi e più o meno uguali di Grasso. Il progetto da costruire deve attirare i giovani, le forze produttive e intellettuali; e li attiriamo solo con un progetto nuovo che non può essere, a mio avviso, questo PD. I difetti originali e l’incancrenimento di odi, rancori, appartenenze ha disfatto il progetto del Partito Democratico e occorre immaginare un soggetto nuovo, che non nasca già dilaniato da minoranze sfiancanti, subito sostituite da nuove minoranze, e poi da altre ancora, tutte forsennatamente impegnate a distruggere Renzi oggi e qualcun altro domani. Quali sono le forze italiane riformiste, liberalsocialiste, razionaliste e laiche, pronte a impegnarsi in un progetto di questa natura?

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