NOTA: questo contributo è stato scritto poco prima dell’annuncio dello scioglimento di LeU. Poiché qui si parla del manifesto di Grasso come esemplificazione di un modo di pensare la sinistra, il post ha ancora totale attualità.
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Premessa: a me starebbero pure simpatici, anche perché li ho bazzicati, questi ambienti di sinistra, ideologici, appassionati, velleitari e inconcludenti (dico ora, all’epoca non lo pensavo). Dove si getta il cuore oltre l’ostacolo (questo mi piace un sacco), si sente il fluire della Storia nel sangue (una bellezza!) ma, specialmente, si ha questa acuta percezione di giustizia, nel senso alto, olimpico, di essere nel giusto, di fare il giusto, di essere dei giusti.
Essere autenticamente di Sinistra (niente a che a che fare col centro-sinistra, e neppure con la sinistra minuscola) è esaltante. Non ho esperienza di com’è essere di Destra (proprio fascisti, intendo) e non mi azzardo a dire che la sensazione profonda è simile per non farmi aggredire da amici comunisti indignati per l’accostamento ma, accidenti, che figata pazzesca! E cantare Bella ciao assieme, il mare di bandiere rosse, i pugni alzati, Fischia il vento, No pasaran, e quelle due palle degli Inti Illimani coi loro maledetti zufoli ma – cazzo! – ci ricordavano il Compagno Allende, un eroe nel grande Pantheon dei tanti nostri eroi, e i milioni di operai e contadini morti per la causa, per combattere le ingiustizie… Gente, milioni di morti per combattere le ingiustizie, nella lunga ed eroica tradizione che parte dal sindacalismo anarchico dell’Ottocento, attraverso il secolo della lotta al nazifascismo, la costruzione del socialismo reale, sì, va bene, con qualche errore, con qualcosa di più di qualche errore ma cazzo, cazzo! Volete mettere? Milioni di individui liberi dalle catene del capitalismo, liberi dalla fame e dall’ignoranza… ma non dite no, ma avete visto a Cuba? e se anche Castro ha fucilato qualche dissidente chissenefrega, e degli omosessuali carcerati non so niente e non mi interessa.
Ora: liberarsi di questo è difficile. Lo dico perché lo so. Lo dico perché è dura. Specie se sei solo. Ci vorrebbe una sorta di Comunisti Anonimi che ti aiuta, una cosa tipo “Buongiorno, sono Claudio e sono stato comunista”, e gli altri in coro “Buongiorno Claudio!”. A un certo punto perdi la fede. E quegli omosessuali imprigionati da Castro, assieme ai milioni ammazzati da Stalin e da Mao, assieme all’Ungheria, assieme alla Cecoslovacchia, assieme a un sacco di cose, assieme al fatto che sì, ho capito che gli uomini sbagliano, e che anche i comunisti sono uomini, il sillogismo è facile ma, come dire, sono errori gravi, sai? E i milioni morti – dicevamo – per la libertà e l’uguaglianza, scusa, ma di chi, esattamente? E cosa hanno guadagnato, esattamente? La libertà di cui oggi godiamo non è proprio, perfettamente, simmetricamente, analogicamente il prodotto di quei milioni di compagni, sapete? Loro sono stati parte, voi dite grande, io ho ormai più di un dubbio (rileggere Carlo Rosselli, qui, va a pennello).
In effetti il problema sono io, lo so. Troppo indisciplinato, troppo ribelle, mi vanno stretti tutti i vestiti, aborro tutte le etichette…
Insomma: alla fine della storia scopri che tutto si regge sul fatto che se credi in Dio non ti importano tutte le contraddizioni, le aberrazioni della Bibbia, i non sensi, le assurdità della religioni. Mandi giù tutto. Così il comunismo. È un atto di fede che dà una forte cornice di senso a un costrutto contraddittorio, pieno di assurdità, smentito dalla Storia. Quell’atto di fede si chiama ideologia (un termine che uso in senso propriamente marxista, con un’accezione assolutamente negativa; ne ho trattato approfonditamente QUI). L’ideologia è un pensiero articolato, apparentemente complesso e organico, che spiega il mondo; l’ideologia è un pensiero pensato da altri che viene acquisito e fatto proprio. I più lo calzano così com’è, senza problemi; i più sagaci ne avvertono le contraddizioni ma – fenomeno mirabile! – l’ideologia possiede sovente, al suo interno, i meccanismi di risposta ai dubbiosi. Quella marxista, per esempio, si fonda su una tradizione filosofica che accetta e rielabora i dubbi e i dissensi. Ai dubbi si danno risposte dialettiche che, con processo circolare, finiscono per tornare utili all’ideologia medesima. Per il dissenso invece, ora che la Siberia non è più disponibile, ci si arrangia con le espulsioni, le divisioni e le liti (la litigiosità e il frazionismo sono un tratto caratteristico della sinistra).
Insomma: quello che io personalmente non mando giù non è il nobile concetto di uguaglianza (assai confuso, peraltro), quello di fratellanza, quello di diritti e libertà (ma già andiamo sul generico) ma l’ideologia che tali concetti ha fatto propri. Io non voglio pensare secondo uno schema condiviso e predigerito, non voglio essere obbligatoriamente corretto entro quello schema, non mi va di dire sìsì e nono a seconda delle piste obbligatorie che qualcun altro mi dà (anche se non ce se ne accorge; nessun mio amico comunista – e ne ho di stimati e intelligenti – ammetterebbe di ragionare con la testa altrui). Anche perché c’è questa conseguenza intollerabile, che non bisogna neppure aspettare di parlare per farsi semmai trovare in castagna… Le etichette semplificano la vita, anche la vita quotidiana, figuriamoci in gente che si prepara alla rivoluzione sovietica! Quindi: prima si legge l’etichetta; se l’etichetta è di sinistra allora si può ascoltare e semmai dissentire e discutere e andarsene a fare un nuovo partito per l’unità dei comunisti; se invece l’etichetta è di destra manco si fa parlare. Come da Coin, giri, guardi l’etichetta e prendi la taglia giusta al primo colpo.
Se sei di sinistra, di fronte a uno di sinistra puoi dire le peggiori stupidate, sei comunque perdonato, semmai ti etichettano come compagno che sbaglia. Se sei di destra, invece, puoi dire la cosa più intelligente del mondo ma, essendo di destra, non va bene a priori.
Ecco, io questa cosa la trovo insopportabile, desolante, meschina, frustrante, estraniante.
Il guaio è (‘guaio’, insomma…) che far cadere il velo dell’ideologia porta il malcapitato (so bene quel che dico) nel regno del disincanto, dove non c’è più posto per il cuore oltre l’ostacolo (perché? A che fine? Ne vale la pena? Ci sono alternative? Che prezzo dovrei pagare? Eccetera), Bella ciao ti fa torcere per la retorica, i milioni di morti per varie cause sono visti in una prospettiva più ampia e, specialmente, puoi buttare via senza rimpianti i dischi degli Inti Illimani.
A questo punto, e solo a questo punto, la tua sete di giustizia, uguaglianza, libertà e un sacco di belle cose si storicizza (residui marxiani), vale a dire si relativizza. Comprendi che i valori non sono negoziabili, che ognuno ha i suoi, e che sì, certamente i valori di “sinistra” sono diversi da quelli di “destra”, ma non nel senso di un primato degli uni rispetto agli altri (è importante approfondire il concetto, che non significa lontanamente dire che destra e sinistra siano uguali, o che non esistano e così via. Se vi interessa leggete QUI); il significato più laico e costruttivo è quello di visioni diverse del benessere sociale (non solo dell’economia quindi) che si confrontano contendendosi l’onere del governo pubblico. Ma non esiste alcun intrinseco significato di verità (mai ‘verità’ è stato meglio impiegato che dentro un’ideologia. Anche su questo, volendo, potete approfondire QUI). La differenza è abissale. La differenza è un incredibile salto culturale. Essere di Sinistra/Destra come verità (ideologica, non negoziabile, egemonica) oppure essere di destra/sinistra (notate le maiuscole e le minuscole?) come approccio politico, programmatorio, intriso di valori, sì, ma di valori civili: efficienza, obiettivo, responsabilità, merito, dovere…
Insomma, caduto il velo ideologico, se la devo dire chiara, la maggior parte delle argomentazioni “di sinistra” mi sembrano fallaci, retoriche, vuote o illogiche o fantasiose, rituali, sempre un filo faziose (sia chiaro: la stessa cosa a destra-destra, con una differenza rilevante: la destra-destra sono i fascisti, assolutamente ideologici; dopodiché c’è quella fetta di destra borghese, vaghissimamente liberale – quelli che una volta votavano “Forza Italia”, per capirci – che non hanno questa faziosità o questo velo ideologico; ovvero, ne hanno un altro, diverso e più fragile che qui non discuterò). Prima del velo mi infiammavano; dopo il velo mi annoiano a morte. Effetti della Ragione.
Orbene, qualcuno fra i lettori si chiederà dove vado a parare dopo questa autocelebrazione semi-biografica. Vado a parare nel manifesto di Liberi e Uguali che ho letto e che mi ha suscitato il pensiero che avete appena letto. Il manifesto (potrei avere capito male) è un tentativo del povero Grasso di compattare il gruppo, fondare un partito dignitoso, con una classe dirigente autorevole, e cominciare a far politica sul serio (superando divisioni involutive). Inizialmente – letto il manifesto – pensavo di fare una sorta di piccola esegesi, come mi è capitato per altri testi. Prendere cioè certe frasi, certi passaggi, e mostrarne eventuali fallacie, l’intrinseca retorica… Si potrebbe fare. Per esempio come non criticare – sotto questo profilo – un brano come questo?
abbiamo l’ambizione di cambiare il mondo, non di aggiustarlo.
Oppure:
sono necessarie un’economia ed un’organizzazione sociale incentrate sul primato dell’interesse pubblico, delle comunità.
O anche:
La sinistra che vogliamo costruire deve dare forma, non nei sogni futuri, ma nelle lotte dell’oggi, al mondo della libertà e dell’uguaglianza.
Eccetera.
Ora: nessuna di queste frasi (e altre) è sbagliata in sé. Non c’è “errore” ma solo retorica, sentimento emotivo, il famoso cuore oltre il famoso ostacolo, ma l’analisi storico-sociale dell’ostacolo (che sarebbe nelle corde di un marxiano ma evidentemente non lo è in quelle di un marxista) e la chiara individuazione pragmatica di ciò che si può o non si può fare, con quali rischi e quali benefici, con quali alleanze e risorse e così via, manca. Completamente. Se correte al paragrafo finale del manifesto, intitolato Democrazia e partecipazione. Il partito del terzo millennio, vi potrete infiammare solo se siete accecati dalla retorica, mentre vi cascheranno le braccia se leggerete con disincanto:
un partito [di sinistra] realmente democratico è una libera associazione di individui che condividono idee, valori e programmi politici, che affermano una visione della società e del suo possibile sviluppo, e che si organizzano per affermare questa visione nel confronto e nel conflitto contro visioni diverse e alternative.
Un’affermazione tautologica, pleonastica, un’ovvietà che afferma se stessa.
In una battuta e in sintesi: il nostro partito [LeU] discuterà, dibatterà sempre e ovunque e, al tempo stesso, si impegnerà per essere il più innovativo possibile, ricorrendo alle migliori tecnologie disponibili per l’espressione del consenso individuale degli aderenti.
Vabbé. Molto piacere e cari saluti. Ma davvero ci esaltiamo dicendo che “ci impegneremo” a far discutere tutti, perché discutere è democratico, e quindi di sinistra?
Tante brave persone, tanti interessanti ingegni, tante intelligenze, sono purtroppo invischiate in questa melassa e non ne vedono la vuotezza, e quindi l’inutilità.
E così chi vuole cambiare il mondo, perché è chiaro che va cambiato, non trova una collocazione in questa sponda. Non trova alcun sostegno in quest’area politica e, anzi, trova dei nemici appena prova ad aprire bocca (le etichette…). Se un razionalista dice: “bene, vediamo: per me è di sinistra ridurre il debito pubblico, quindi, necessariamente, sacrifici”, cosa rispondono i compagni di LeU, di Potere al Popolo, della sinistra PD? Se qualcuno afferma, per esempio, che la visione di futuro, di uguaglianza, di fraternità, non può ripetere le peste del passato ma cercare una via nel merito e nella responsabilità, necessariamente accompagnati da diritti individuali, cosa opporrebbero gli amici di LeU eccetera? Temo che risponderebbero che questi sono pensieri da neoliberista. Che i diritti devono essere sociali, che il merito premia i borghesi, che la spesa pubblica è necessaria per il sostegno al reddito dei meno abbienti… E lì resteremo, a guardarci daccapo senza capirci.
E io, che vorrei aiutare a cambiare il mondo, non so che ideologia indossare, perché sono ingrassato e non me ne sta più bene nessuna.