Siete sicuri di riuscire a dire qualcosa di sinistra?

2013-10-28-Renzi

Ricordate Nanni Moretti in Aprile, quando supplica D’Alema di dire qualcosa di sinistra? La scena, che ripropongo qui sotto, vede un Berlusconi arrembante nel 1996, a Porta a Porta, attaccare un silente D’Alema sul tema della giustizia. D’Alema non replica, Moretti si dispera (nella realtà storica la sinistra vinse con l’Ulivo di Prodi per lasciare l’Italia intera ad assistere con sgomento al suo suicidio). Dire qualcosa di sinistra; pensarla, argomentarla, sostenerla… siete sicuri di poterci riuscire? Io credo di no. E lo stesso vale anche per la destra, sia chiaro, ma per ragioni che ora sorvolo mi sembra più interessante, come esercizio, utilizzare la sinistra.

Per potervi mostrare che no, non è possibile dire qualcosa di sinistra, dovremmo iniziare a mettere dei paletti abbastanza chiari sulle idee “di sinistra”. Il gioco che vorrei fare con voi è appunto questo: prendere dieci concetti, o anche solo cinque o sei, ma che dico? un paio basterebbero, concetti inequivocabilmente “di sinistra”, e provare ad argomentarli in maniera semplice ma chiara, così da poter mostrare in maniera univoca “qualcosa di sinistra” e, naturalmente, anche qualcuno di sinistra, ovvero colui o colei che quelle cose, in quel modo, dice. L’esercizio sarebbe di un’utilità straordinaria perché avremmo trovato la strada per dividere coloro che sono veramente di sinistra da coloro che non lo sono. Una sorta di prova certificabile, l’analisi del pedigree ideologico.

Nanni Moretti in Aprile.

Apriamo i giochi; buttiamo sul tavolo qualche concetto di sinistra: uguaglianza, solidarietà, libertà, Stato garantista e alcuni altri sono i primi che trovate spulciando la più autorevole letteratura politica (alcuni riferimenti da cui ho tratto questi concetti li trovate in fondo); fra tutti comunque quello di ‘uguaglianza’ è in assoluto il più accreditato. La sinistra è (fra le altre cose ma primariamente) uguaglianza. Ma cosa significa? Per non farvi perdere tempo riporto un paio di brani dall’intervista a Cacciari del Luglio 2013 sul concetto di sinistra:

[…] dopo la Rivoluzione francese tutta la politica, non solo la sinistra, ha dovuto muoversi nello spazio prospettico definito da quelle parole: uguaglianza libertà fratellanza. Però per ciascuna è stato necessario chiedersi: quale? In che modo? Eguaglianza come opportunità o come diritto, come punto di partenza o di arrivo? Le risposte sono state diverse, storicamente non tutte definibili “di sinistra”.

[…] Nel suo sforzo di definire le basi di un “tipo ideale” della sinistra, Bobbio ricorse all’idea guida di uguaglianza. Ma era una base disperatamente povera, non sorreggeva una vera dualità, una vera opposizione. Chi mai oggi promuove la diseguaglianza? Voglio dire, chi la propone apertamente come programma politico? È chiaro che la diseguaglianza esiste, anzi cresce, ma non è un’ideologia, è un fatto. La diseguaglianza non è il programma odioso di un avversario riconoscibile, semmai è la forma che ha assunto la globalizzazione, è l’anonimo che ha preso il volto dello stato di natura, dell’inevitabile, e nessuno se lo intesta. Se poi volete dire che combattere le ineguaglianze è necessario, siamo d’accordo; se volete dire che questo è il senso dell’essere di sinistra, fate pure, ma siamo ancora all’inizio, non abbiamo ancora definito niente. Come si superano le diseguaglianze? Con quali strumenti, istituzioni, aggregazioni politiche?

Cosa dice Cacciari? Che la parola |uguaglianza| è una parola vuota – come qualunque altra – se non viene definita concettualmente e, soprattutto, empiricamente, nella pratica. Tutti vogliamo l’uguaglianza a parole, come la pace nel mondo, l’amore universale, la salute e molte cose importanti e preziose. Per esempio l’uguaglianza va intesa come opportunità o come diritto (si chiede Cacciari)? Sono due cose diversissime perché offrire uguali opportunità è un’idea liberale, meritocratica, che fa i conti con le inevitabili diversità sociali facendosi certamente carico degli svantaggiati ma permettendo ai più meritevoli di emergere, mentre la seconda si propone di azzerare le differenze all’arrivo garantendo uguali servizi, riconoscimenti, fortune indipendentemente dai meriti delle persone (di questo ho parlato abbastanza circostanziatamente nel mio post Essere di destra o di sinistra?). Che ci piaccia o no non siamo tutti uguali; credo che sia una giusta aspirazione egualitaria cancellare le ingiustizie e le differenze strutturali (di censo, per esempio) che impediscono a individui potenzialmente uguali (per intelligenza, per esempio) di aspirare a percorsi formativi uguali e quindi a carriere professionali ugualmente gratificanti. Dovere studiare meno e accontentarsi di lavori manuali a causa di una condizione di partenza penalizzante è un’ingiustizia grave che qualunque persona di buon senso sostiene di dover rimuovere, e con fortune diverse il sistema di welfare occidentale ha cercato da decenni di promuovere questa forma di uguaglianza; ma nella realtà assistiamo poi a persone di intelligenza, volontà, ambizione differente che possono differenziarsi nel percorso formativo e quindi professionale (e quindi di reddito) senza che ciò costituisca necessariamente una disuguaglianza.

Potete fare esercizi assolutamente analoghi con qualunque altro concetto. Per esempio |libertà| si presta ancor più di ‘uguaglianza’ a questo gioco e già ne abbiamo trattato su HR (per esempio sulla libertà di parola); il concetto di |giustizia| è altrettanto ambiguo, dovendosi poi distinguere – come ha notato Tropea – fra una Giustizia dei codici e una giustizia percepita come tale dalle persone. A questo punto avete capito il problema e possiamo cercare di fare un passo avanti.

Non serve un dizionario, un glossario o un thesaurus accreditati dall’Accademia della Crusca di Sinistra. Il perché le parole siano ambigue e i concetti variegati è stato da me scritto in molti articoli qui su HR e con un po’ di pazienza li trovate da soli; quel che basta segnalare è il fatto che non si possono usare altre parole per spiegare delle parole, perché così aggiungeremmo solo confusione a confusione. Quello che ci serve è certamente un concetto-guida di massima (per esempio ‘uguaglianza’) e poi una prassi operativa che mostri di perseguire elementi indiscutibili di uguaglianza reale. Se passiamo da una scuola costosa e di élite a una scuola statale, universale, obbligatoria e gratuita (in Italia: riforma della scuola media del 1962) si compie un atto concreto di abolizione di disuguaglianze; se da una pletora di istituzioni sanitarie disponibili solo verso percettori di reddito si passa a un sistema sanitario unico che prende in carico qualunque cittadino (istituzione del Ministero della Sanità nel 1958) si abbatte nella pratica un’ingiustizia e si offre, come scritto sopra, una condizione di partenza – la salute – ugualitaria. In quell’epoca, in quel contesto, si intese ‘uguaglianza’ fra l’altro abbattendo concretamente alcuni ostacoli all’egualitarismo delle condizioni di partenza.

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I concetti-guida (‘uguaglianza’, ‘solidalietà’…) funzionano bene solo come bandiere, come richiami identitari. Tutti sono per una qualche forma di uguaglianza, ma |uguaglianza| è un vessillo della sinistra e a destra non viene sventolato, come |ordine| è un vessillo della destra senza che ciò significhi che la sinistra propugni il disordine. Come indicatori concettuali diventa allora interessante osservare le assenze di determinati concetti: segnalo – a puro titolo di esempio – che nel vocabolario della sinistra mancano ‘ordine pubblico’, ‘immigrazione clandestina’ e tutti i temi, attualissimi, che la destra più estrema brandisce con crescente successo solleticando quel senso di paura e ansia che agita la popolazione (sul cinico successo della Politica della paura ho già scritto tempo fa).

Per esempio chiedo: sull’insieme di argomenti che vanno dalla Libia ai massicci sbarchi di immigrati e profughi, da qui all’inefficace respingimento e alla penosa accoglienza, per finire con i clandestini manovali della delinquenza o peggio sbandati fuori di testa che uccidono inermi passanti, possibile che su questo la sinistra non abbia nulla di sensato da dire? Se a destra la questione è risolta in modo muscolare (respingere i barconi, schedare, mettere in galera e buttare via le chiavi) in che modo non ideologico, concreto, la sinistra risolverebbe il problema? E sul lavoro, oltre a scatenarsi sull’art. 18 qual è la posizione della sinistra sul merito? Perché viene da sempre impedito un sistema di valutazione del merito capace di incentivare i dipendenti pubblici migliori e penalizzare i nullafacenti? Forse proprio per un concetto di ‘uguaglianza’ che intende garantire condizioni di arrivo (tutti uguali di fronte al diritto di un lavoro e di uno stipendio)? Ecco che il concetto di uguaglianza viene a riempirsi di contenuti pratici al di là delle dichiarazioni ideologiche. Il sociologismo operaista e anticapitalista nato dalla rimasticatura di Marx in salsa New Age (credo di sapere cosa dico, c’ero anch’io…), il terzomondismo romantico, l’idea intellettuale e snob di un’uguaglianza dei figli dei fiori, dei diritti degli operai perché “non esiste un padrone buono”, dei “compagni che sbagliano” e quindi fuori tutti. La prassi, su alcuni concetti-guida della sinistra, si mostra molto ideologica ma abbastanza fallimentare, visti gli insuccessi.

Servono due cose, molto semplici da dire e assai difficili da mettere in pratica: meno concetti ideologici e più prassi efficace. Sulla necessità di abbandonare l’ideologia (occhiali perversi che ci fanno vedere un mondo che non esiste, ce lo fanno interpretare secondo schemi altrui e in genere inattuali) ho già scritto molte cose; rimando i lettori almeno a L’ideologia che ci opprime per una trattazione organica preliminare. Sull’esercizio di una prassi efficace che – scevra da ideologismi – sappia cambiare pezzi di mondo e dare risposte concrete, è stato parimenti scritto già molto in questo blog, anche come critica a provvedimenti specifici del Governo. Dovendo sintetizzare, in chiusura, direi che tale prassi dovrebbe:

  1. essere non ideologica: si deve fare ciò che produce effetti concreti e verificabili di miglioramento delle condizioni di vita del più ampio numero di cittadini; per fare un esempio concreto torno all’art. 18: se la sua abolizione favorisca o no il mercato del lavoro e se aumenti o diminuisca i rischi individuali per i lavoratori e così via può essere oggetto di dichiarazioni preliminari fino a un certo punto, dopodiché non resta che provare per un certo numero di anni e fare una valutazione di efficacia (punto 2);
  2. valutare, accidenti! In tutto il mondo occidentale le politiche economiche e sociali vengono attuate da governi e poi valutate in maniera corretta da una parte terza; funzionano? Avanti così. Non funzionano? Si cambiano, a prescindere dalle posizioni ideologiche (chi non conosce le pratiche valutative spesso mi risponde con posizioni abbastanza disinformate: chi valuta i valutatori? Come si garantisce l’obiettività? Com’è possibile valutare questioni così complesse? È un argomento molto tecnico che qui non posso sviluppare; ne ho parlato molto tempo fa qui su HR e, per il resto, posso rinviare a questo mio “magazzino valutativo” che richiede però pazienza e un minimo di competenza pregressa).

Tutto il resto sono chiacchiere.

Giorgio Gaber, Destra e sinistra.

I concetti di sinistra sono tratti da:

L’immagine di copertina mostra il cloud del lessico renziano durante le primarie. Per un’analisi, e i cloud dei suoi avversari (Cuperlo, Pittella e Civati) si può leggere Alessio Postiglione, #PrimariePd i tag cloud dei candidati: poco Sud e troppo partito, “L’Huffington Post”, 29 Ottobre 2013.