La cooperante italiana Silvia Romano, come ricorderete, fu rapita in Kenya da milizie islamiste al Shabaab, e poi liberata dietro pagamento di riscatto dalla sua prigionia somala. Durante la cattività la ragazza si è convertita all’Islam. E fin qui sono vicende abbastanza note a tutti, e qualora vi mancasse qualche pezzo potete rinfrescarvi la memoria in questi articoli:
- Alessandro Cipolla, Chi è Silvia Romano? La biografia della volontaria e la storia del suo rapimento, “Money.it”, 11 mag 2020;
- Alonso Chischiano, Bentornata Silvia Romano. Figlia di una cooperazione internazionale troppo spesso presuntuosa, “Hic Rhodus”, 10 mag 2020;
- Claudio Bezzi, Dopo avere gioito per il ritorno di Silvia, possiamo ora fare qualche critica?, “Hic Rhodus”, 13 mag 2020;
- Francesco De Remigis, Al Shabaab, più soldi e meno gole tagliate. Cosa insegna il caso Aisha, “Formiche”, 12 mag 2020.
Ora, a distanza di un paio di mesi, un autorevole rappresentante degli islamici in Italia, Davide Piccardo, ha intervistato la ragazza per il suo blog “La Luce. Una voce che illumina” (un blog vicino ai Fratelli musulmani, che sono integralisti considerati, per esempio in Egitto, alla stregua di terroristi). Un’intervista molto telecomandata, molto ricca di enfasi per la bellezza di questa conversione che ha provocato molte sciocche polemiche e anche – come in questo caso – qualche sciocco compiacimento. (Se vi occorre qualche informazione su chi sia Davide Piccardo, ecco qualche indicazione:)
- Riccardo Ghezzi, Davide Piccardo diffonde su facebook false citazioni di Ben Gurion, “L’Informale”, 26 mag 2016;
- Leone Grotti, L’Islam di riferimento del PD a Milano tifa Erdogan: “La Turchia torna a essere una grande nazione musulmana”, “Tempi”, 22 lug 2016;
- F.Q., Poligamia, Piccardo (Ucoii): “E’ un diritto civile”. Salvini: “Vai a casa tua”, “il Fatto Quotidiano”, 6 ago 2016 (questo è il padre di Davide, in realtà);
- Aldo Grasso, Gli estremisti dell’approdo moderato, “Corriere della Sera”, 4 feb 2018.
Poiché sulla vicenda “storica” di Silvia Romano ci siamo già espressi, sollecitati dall’intervista di Piccardo vorrei ragionare ora sulla conversione. Quella di Romano, sì, ma in generale tutte quelle di cristiani che diventano musulmani o viceversa. Poiché mi lasciano veramente esterrefatto. Come sanno i lettori più costanti soffro di un problema vistoso e diminutivo: sono ateo. Ciò mi dà un grande svantaggio e un piccolo vantaggio:
- lo svantaggio è che non si può parlare di Dio se non dall’interno della sfera concettuale (provincia di significato, gioco linguistico) Sua propria (Sua di Dio, per questo la maiuscola); e io ne sto fuori. Come volere parlare di poesia con un linguaggio binario, ma peggio; come voler argomentare sulla felicità al colmo della disperazione…
- il vantaggio – che non tutti vorranno riconoscermi – è l’opposto; solo se sei fuori da tale sfera concettuale puoi parlare di dio, perché se sei parte di essa (sfera concettuale), di quel gioco linguistico, di quel sentire, di quella fede, non vedi proprio una possibile realtà diversa, come i famosi pesci che non possono concepire l’acqua, tanto ne sono immersi.
Quindi: probabilmente se siete fedeli di una religione (in particolare cristiana o islamica) mi riconoscerete lo svantaggio e mi riterrete non qualificato per trattare il tema; se invece siete laici (non dico atei) o persone religiose particolarmente aperte, mi potreste assegnare qualche credito sul piano del vantaggio argomentativo, e quindi potrebbe valere la pena leggere quanto sto per scrivere.
Il mio personale sbigottimento non riguarda ogni genere di conversione, ma solo quelle entro le religioni abramitiche e, sostanzialmente, fra cristiani e musulmani. Pur da un punto di vista diverso, posso comprendere e giustificare (psicologicamente, sociologicamente…) l’ateo che diventa cristiano, o musulmano, o buddhista e viceversa, oppure il cristiano che diventa buddhista (o, assai più facilmente, il cattolico che diventa evangelico o testimone di Geova, ma qui è assai più facile). Non ne dirò le ragioni, per non divagare, sperando che in parte risultino chiare, semmai implicitamente, dal ragionamento principale in cui il quesito è: come può un/una cristiano/a diventare musulmano/a?
Prendiamo ora una persona di fede cristiana, supponiamo un’italiana cattolica (il fatto che Silvia Romano dichiari che era una persona distratta, in tema religioso, non cambia di una virgola). Questa persona non è nata cattolica ma lo è diventata con gli anni grazie all’esempio, alla parola e all’educazione del suo ambiente circostante; fosse nata a Riad sarebbe stata musulmana, fosse nata a Tokyo probabilmente sarebbe stata scintoista, e così via. Questo fatto, che è un fatto sociologico incontestabile, mostra come la religione non sia una scelta, ma una conseguenza dell’ambiente sociale di provenienza.
Piccola digressione: persone molto spirituali potrebbero dirmi che ciò non ha importanza, che la Divinità è unica e universale e che semplicemente noi uomini diamo nomi diversi allo stesso Ente. Potrei ampiamente obiettare ma rinuncio perché il mio ragionamento è molto più terra terra e voglio andare a parare altrove.
Quindi, riprendendo il filo: sei una persona religiosa italiana? Sei (probabilmente) cattolica; sei inglese? Allora sei anglicana; sei indiana? Scommetto che sei buddhista, ma già a Nord, e poi in Pakistan no, se nasci là allora sei musulmana…
Stabilito il nesso fra contesto sociale e religione primaria, diventa abbastanza facile pervenire a una conclusione di carattere psico-sociale. Basta fare due passi indietro e vedere tutto il Grande Disegno. Non è il passaporto in sé che determina la tua religione ma l’insieme delle relazioni sociali, degli stili di vita, dei valori e delle credenze, dei modelli parentali ed educativi, etc. etc. che vigono in quell’area del mondo che, tutti assieme, determinano anche la probabilità che tu sia cattolico o anglicano o musulmano. Nel Nord Europa è maturata la Riforma perché c’era una determinata cultura, un determinato modo di intendere il posto dell’Uomo nella Storia e nella società, quindi ci si relazionava l’un l’altro in un modo specifico, utilizzando linguaggi specifici, coi quali fra l’altro si crescevano i bambini con certi obiettivi educativi. E nel Sud d’Europa c’è stata la Controriforma per analoghi ma diversi valori, modelli, visioni e linguaggi. E così – fra le tante altre cose – loro sono diventati luterani, calvinisti etc., noi cattolici. La religione, insomma è la risultante di una amplissima serie di pre-condizioni, in interazione reciproca, con una sua coerenza interna. La religione stessa, in questo brodo socio-culturale, è pre-condizione di altri fattori. Tutto l’intero assetto di una cultura, ogni suo elemento, ogni suo tratto, ha un’interdipendenza con tutti gli altri, muta col mutare degli altri e mutando ne cambia l’equilibrio complessivo: linguaggio, religione, visione del mondo, educazione dei figli e tutto il resto.
Se da cristiano diventi ateo, non è che lasci inalterato tutto il quadro culturale di cui sei impregnato sin da bambino; è un’epifania di valore personale grandissimo che mette in discussione – ove più ove meno – molti settori di Ego, molti elementi della tua personalità. Viceversa per l’ateo che trova la fede. Posso capire questa sorta di palingenesi, questa profondissima crisi e rinascita, questa rivoluzione interiore.
Molto diverso a me sembra il caso del cristiano che diventa islamico, o viceversa. Le due religioni hanno molto in comune tranne il contesto sociale e culturale di cui sono espressione: la storia europea, e poi in generale occidentale, è strettamente correlata al cristianesimo (sia pure nelle diverse sette) e alla lunga, sanguinosa, difficile separazione fra Stato e Chiesa, fra sfera laica e sfera spirituale, fra potere delle autorità civili e di quelle spirituali, mentre nella storia araba prima, e poi delle aree dove si è diffuso l’Islam, tale separazione non è mai maturata; altre storie, altre latitudini, altre visioni del mondo, altre opportunità… ma di fatto questo elemento – assolutamente principale e dirimente – fa sì che in Occidente le persone siano soggette per obbligo solo al potere civile (pagare le tasse, rispettare le leggi, andare a votare…), e solo per scelta individuale a quello religioso (rispettare i precetti, vivere secondo gli obblighi morali contratti con la divinità…). Sostanzialmente in nessun paese islamico è così, e i pochissimi che cercano questa separazione (Marocco, Turchia…) lo fanno non senza incertezze e con grosse contraddizioni. Non solo: nei pochi paesi dove elementi esterni alla cultura locale avevano favorito, nel secolo scorso, una certa apertura all’occidentale, col tempo lo zoccolo culturale islamista si è riconquistato le piazze, e poi il potere (Egitto, Turchia).
A partire da tale essenziale contraddizione, i valori quotidiani dei cristiani e quelli degli islamici sono assolutamente divergenti: dal ben noto ruolo delle donne, all’educazione dei bambini e via discorrendo.
Allora: com’è possibile che una giovane italiana, laureata, di “buona famiglia”, senza una particolare cultura religiosa, imbracci improvvisamente, in stato di cattività, la religione dei suoi aguzzini? O – esulando dalla Romano – come è possibile che si “cambi dio” senza mettere in discussione il proprio ruolo di genere, il proprio posto nel mondo, la visione stessa di quel mondo, le relazioni sociali, la famiglia, il lavoro e tutto, assolutamente tutto il resto? Quel dio (qualunque dio) è il frutto, il risultato e l’origine di un modo complesso e trasversale di vedere il mondo, e quindi non può essere espunto e isolato. Insomma, non puoi cambiare dio come cambieresti un paio di scarpe, e assieme a Lui devi cambiare prospettiva in sostanzialmente tutti gli ambiti significativi della tua esistenza. E infatti, nel caso della Romano, eccola col velo, eccola fare il Ramadan, eccola cercare cibi halal…
Ecco, mi scuso con l’interessata e con tutte le persone che si sono trovate a compiere tali scelte, da una parte o dall’altra, ma non ci credo. Il cibo halal e il velo sono segni esteriori dell’appartenenza a un certo islamismo radicale (e neppure comuni a tutti gli islamici moderati) così come altri segni esteriori e identitari sono presenti nei cattolici, negli ebrei e diversamente in altre religioni. L’islamismo non è il velo, né il ramadan, ma una concezione del mondo e della vita; ogni religione è una concezione del mondo e della vita. Che si succhia col latte materno, si perfeziona con l’educazione scolastica, si affina in famiglia, poi con gli amici e semmai coi fidanzati, si acquisisce leggendo, viaggiando, mangiando gli spaghetti alla carbonara e andando l’estate a Riccione. Non si può pensare a un tratto di penna subitaneo che butti a mare questo per sostituirlo, in quattro e quattr’otto, con un universo di parole e di significati e di sensi sostanzialmente opposti.
Avrei potuto capire bene la Romano “convertita” al cattolicesimo; lei – per sua dichiarazione – poco interessata a quella che è la religione del suo contesto sociale, dei suoi avi, in un momento di grande solitudine e pericolo personale, e quindi in un momento di angosciosa debolezza, poteva cercare rifugio nel suo dio elettivo. Il fatto che abbia letto in due mesi il Corano – lo racconta nella sua intervista a Piccardo – che si sia sentita chiamata da Allah, e che abbia aderito alla religione dei suoi aguzzini, a me pare sostanzialmente un caso umano che c’entra assai poco con la religione. E devo dire – per equità – che qualcosa di simile mi pare capitato a Magdi “Cristiano” Allam, naturalmente in un contesto assai meno drammatico (ma se avete seguito un pochino la sua vicenda, negli anni, proprio non mi pare una conversione serena neppure la sua).
Non possiedo statistiche di tutti i convertiti nei due sensi, nè conosco le loro molteplici biografie, i casi e le motivazioni delle loro conversioni. Mi dispiace, credo che le troverei interessanti. E naturalmente non posso escludere (vedi il mio punto di svantaggio dichiarato in apertura) grandi crisi esistenziali e mistiche, visioni, epifanie di profondissimo spessore. Non lo posso sapere, e quindi non posso generalizzare quello che invece, nel caso di Silvia Romano, mi pare più visibile. E così umano.
Giusto per indicare letture differenti:
(Naturalmente la mia opinione è diversa, e trovo alcuni contributi – p.es. Pijola – di una superficialità disarmante).
- Marida Lombardo Pijola, Silvia/Aisha ha scelto la sua libertà, “HuffPost”, 6 lug 2020;
- Paola Tavella,Il velo va benissimo, se chi lo indossa ha il pieno diritto di toglierselo e di metterselo, “HuffPost”, 6 lug 2020;
- Marco Sferini, Il velo di Silvia, “La sinistra quotidiana”, 7 lug 2020.