“Voi scienziati pensate troppo” disse Miss Pefko, sbottando in una risata idiota. […] Una grassona sfiatata, dall’aria sconfitta, con una tuta sporca, che arrancava al nostro fianco, sentì quello che stava dicendo Miss Pefko. Si girò a esaminare il dottor Breed, lanciandogli un’occhiata di impotente rimprovero. Lei odiava la gente che pensava troppo. In quel momento, quella donna mi colpì come la degna rappresentante di quasi tutta l’umanità. L’espressione della grassona sembrava dire che avrebbe dato in escandescenze all’istante se qualcuno avesse osato pensare un altro po’. (Kurt Vonnegut, Ghiaccio-nove)
Come segnala opportunamente Ugo Magris “Il referendum costituzionale di ottobre può diventare la nostra Brexit”. Il senso di questa affermazione viene spiegata dallo stesso Magris come l’essere, il nostro prossimo referendum, un giro di boa di rilevante importanza, uno spartiacque fra prima e dopo, fra un futuro prefigurato (buono o cattivo) e un ritorno incerto (auspicato o meno). Se il referendum confermativo passerà avremo veramente voltato pagina (qualcuno azzarda, credo sbagliando, che avvieremo la Terza Repubblica, ma salvo sviste la Seconda non mi è parso proprio di vederla) e ci terremo Renzi per decenni. Se il referendum non passerà… terra incognita, ritorno a Porcellum e caos politico, Renzi a casa, perdita di credibilità europea e altre amenità che taluni vivono come catastrofe e altri come catarsi liberatoria. Magris conclude il suo breve articolo segnalando due sole strade per Renzi: cavalcare la paura del caos in caso di sconfitta oppure sottrarsi, disimpegnarsi, togliere la sua faccia dalla competizione e lasciare che altri spieghino le ragioni… Credo che Magris sbagli. La faccia di Renzi è appiccicata al referendum di ottobre che a lui piaccia o no (e direi che gli è piaciuto finora) e anche se emigrasse a Macchu Picchu per cinque mesi tutte, ma proprio tutte le minoranze interne ed esterne userebbero Renzi come argomento: “Volete voi mandare a casa Renzi con ignominia sabotando la sua pessima riforma, incostituzionale, autoritaria, pasticciata, ridicola, etc. etc.? Certo che lo volete! Barrate la casella ‘No’”.
In realtà la similitudine con la Brexit ha altri sinistri significati, e non solo per le miserie italiane. Vediamo un attimo cos’ha significato il referendum britannico (per saperne di più rimando al recentissimo articolo di Ottonieri): hanno votato la Brexit aree culturalmente marginali (periferie, persone anziane…) con informazioni scadenti quando non completamente false, intimorite da professionisti della strausata politica della paura come Farage, completamente ignare delle reali ripercussioni. Tali ripercussioni, per settimane illustrate dai sostenitori del Remain, sono state lette come ragioni a fortiori del Leave: cosa interessa ai pensionati del Sussex del crollo dei mercati, della fine dell’Erasmus o di altre conseguenze lette come problemi dei ricchi, dei finanzieri, dei borghesi ovviamente pappa e ciccia coi burocrati di Bruxelles? Di fronte ai (falsi) problemi delle orde turche che avrebbero invaso l’Inghilterra, ma veramente i contadini del Suffolk dovrebbero lasciarsi intimorire dalle prossime difficoltà delle compagnie della City, dai Londoner (QUI una bella corrispondenza da Sunderland, dove dopo il voto di pancia si stanno già mordendo i gomiti)? Ecco: il referendum britannico è stato l’esempio finale, cristallino, assoluto dell’estrema pericolosità di questi ricorsi alla volontà popolare, alla saggezza del popolo che non dovrebbe che decidere il meglio, in virtù di nessuna sapienza, nessuna competenza, nessuna esperienza, nessuna logica, ma certamente molta, molta confusione. È un tema cruciale al quale abbiamo dedicato recentemente un post (Avete opinioni o avete competenze?) che avrà a breve dei seguiti. L’ignoranza è manipolabile; le fandonie paurose hanno sempre successo, l’ignoto è pieno di mostri ma specialmente, specialmente, i colti, gli intelligenti, i letterati, quelli di città, vogliono solo imbrogliarvi.
Cameron ha mostrato pienamente i suoi limiti, la sua mancanza di carisma e il suo distacco dal popolo proprio perché ne ha invocato il verdetto. Un verdetto assoluto, perché l’ordalia non ammette ripensamenti; e di ordalia si tratta. Quale confronto razionale se ogni panzana ha lo stesso valore delle verità, anzi di più, perché denunciandone l’irrealtà ci si espone all’accusa di essere pedanti, cavillosi, sospettosamente retorici, probabilmente per un qualche interesse, certamente malvagio (e che gli elettori britannici fossero ignorantissimi su ciò che andavano a votare è ampiamente dimostrato, come denunciato QUI)? Quale democrazia è quella di un popolo di anziani scettici e ignoranti (in maggioranza – e vincenti – per il Leave) che taglia il futuro ai giovani colti e già cosmopoliti (in maggioranza – ma perdenti – per il Remain)? Questo è accaduto in Gran Bretagna; seguirà periodo di instabilità politica e penose ritorsioni europee, perché non si può credere che l’Unione non faccia pagare caro ad Albione il gesto avventato, temendo emulazioni in altri paesi dai populismi euroscettici rampanti.
Da noi in Ottobre succederà probabilmente qualcosa di simile. Al momento, come abbiamo già documentato (QUI e QUI, ma anche questo è un tema che proseguirà su HR) pochissime voci stanno discutendo nel merito della riforma (siano favorevoli al ‘Sì’ o al ‘No’) e tantissime, troppe, alimentano agghiaccianti scenari atti a provocare reazioni emotive: col ‘Sì’ arriverebbe la dittatura; col ‘No’ cacceremo Renzi e tornerà l’età dell’oro. La consultazione popolare non può da nessuno essere creduta come prova dirimente di una volontà popolare in quanto tale giusta. Le asimmetrie informative, le differenti competenze, gli umori del momento e le paure, moltissimi fattori impediscono di potere realisticamente credere a una verità depositata nel popolo (ne ho parlato QUI) e ho l’impressione che se ne siano accorte, qui da noi, anche le forze massicciamente populiste che hanno cavalcato il successo sull’onda dell’”uno vale uno”, che hanno silenziosamente abbandonato l’imperativo della consultazione popolare per decidere i migliori orari in cui lavarsi i denti.
Si potrebbe obiettare che così si intende togliere il potere al popolo. Mi verrebbe da rispondere che sì, credo che in certi casi sarebbe una cosa necessaria e giusta; ma poiché al concetto di democrazia plebiscitaria leghiamo pilastri inamovibili (la lotta al nazi-fascismo, la resistenza, i padri fondatori, Berlinguer, la Costituzione che Benigni giura essere la più bella del mondo e via discorrendo) potrei mitigare i miei eccessi reattivi con una proposta che mantenga integro il concetto di democrazia plebiscitaria ereditato dal ‘900 corroborandolo con le lezioni apprese dalla società digitale del nuovo millennio, dove la divulgazione della bufala è diventata prassi (permettetemi ancora di rinviare al mio La democrazia della bufala) e le differenze culturali eclatanti. La proposta è semplice: votano tutti, ma proprio tutti, senza distinzioni di ceto, età, religione, titolo di studio eccetera eccetera come attualmente previsto dal nostro ordinamento costituzionale, a patto di rispondere a due requisiti:
1) possedere una certificazione di competenza minime, vorrei dire elementari, sull’ordinamento repubblicano italiano, basi della Costituzione, elementi minimi di conoscenza politica, formazione delle leggi e poco più. Qualcosa che si può insegnare a scuola e, per gli adulti fuori dal percorso scolastico, acquisibile con brevi corsi (30 ore) gratuiti al termine dei quali una commissione pubblica valuta l’apprendimento tramite test validati. Tutti i cittadini devono possedere tale certificazione per potersi recare al voto: i poveri zappaterra lucani, gli allevatori veneti, i pastori sardi come anche Eugenio Scalfari e Matteo Salvini, Gustavo Zagrebelsky e Mattia Feltri (frequentare il corso non è obbligatorio, ottenere la certificazione sì; risultati protetti dalla privacy, naturalmente). Questo elemento farà sorridere in molti, ma non dovete equivocarne lo scopo. Come già ebbi modo di spiegare tempo fa, e posto che sapere qualcosa di pertinente a ciò che si vota e meglio che non saperne nulla, lo scopo vero è dichiarare una motivazione. Hai il diritto di votare (e di essere eventualmente eletto) ma devi mostrarti proattivo, motivato, devi compiere una sorta di dichiarazione pubblica del tuo desiderio di essere un cittadino consapevolmente attivo. Orde di stupidi otterranno ugualmente questa certificazione, in ottemperanza alla volontà costituzionale, ma sono ragionevolmente certo che una grandissima quantità di concittadini non sentiranno affatto questa motivazione e usciranno spontaneamente dal circuito elettorale. L’area del non voto, non prendiamoci in giro, non accoglie solo o principalmente delusi e frustrati dal sistema politico attuale, ma ampie masse di menefreghisti, ignoranti senza alcun desiderio di migliorare, qualunquisti non disponibili ad alcun passo verso una consapevolezza maggiore. Costoro non sono “non votanti” indignati, cittadini esclusi dai diritti per insipienza politica, ma persone volontariamente (anche se non sempre consapevolmente) marginalizzate dalla vita pubblica e sociale alla quale avrebbero diritto.
2) Il secondo requisito dovrebbe riguardare la moralità. Occorre escludere dai diritti politici attivi e passivi tutti quei cittadini colpevoli di delitti che chiamerei “contro la società”, contro la convivenza. Tutti i camorristi, mafiosi e associati a delinquenze anti-statali; tutti i concussi e corrotti, pubblici e privati; gli stalker e chi fa violenza su donne e minori; chi crea disordini gravi ai margini di avvenimenti sportivi; chi brucia boschi… L’interdizione dai pubblici uffici è già prevista dal nostro ordinamento giuridico anche se in forme troppo limitate. Impedire ai violenti e agli stupidi di votare ed essere eletti, come pena accessoria, non limiterà in nulla violenza e stupidità, ma toglierà alcuni violenti e stupidi dalle urne segnalando che no, il loro voto non può essere uguale al nostro.
Una riflessione sull’attuale democrazia plebiscitaria può andare ben al di là delle modeste e forse ingenue proposte che ho presentato, più come provocazione che altro, ma occorre dare un’occhiata al mondo a venire se non si porrà mano, in qualche modo, alla deriva della reale e ineluttabile impossibilità di una partecipazione attiva e massiccia del “popolo” alle molteplici sfide della complessità (questa impossibilità è studiata da tempo; il noto lavoro di Crozier, Huntington e Watanuki, La crisi della democrazia, è addirittura del 1975; su HR lo abbiamo commentato QUI). Come pensate che si possa procedere? A colpi di paura e ignoranza plebiscitaria? Il sistema ha già da tempo iniziato a difendersi rendendo sempre più difficile l’accesso ai centri di potere. La sfida americana alla Casa Bianca mostra due ricconi, rappresentanti di poteri economico-finanziari imponenti, in gara per la stanza dei bottoni più pericolosa del pianeta. Anche da noi diventa difficile immaginare quel parlamento di operai e contadini, oltre che di professionisti, della prima legislatura (fonte con dati); oggi sono in stragrande maggioranza avvocati, dirigenti, imprenditori e professionisti vari (fonte con dati). L’accesso alla professione politica è legata all’appartenenza a circoli, lobby, consorterie (anche nell’apparentemente antipolitico M5S), a cordate, a correnti… La politica è diventata da tempo questione di élite e la democrazia del ‘900 viene nei fatti relegata a retorica per coprire la realtà pseudo-oligarchica che ne ha preso il posto. Ci può essere del buono in un sistema oligarchico temperato (negli Stati Uniti per esempio se ne parla apertamente) se rispettoso comunque di un mandato popolare, se concede decisionalità al popolo, a un qualche stadio (mi riservo di scrivere un testo ad hoc su questo complesso tema) ma credo indubbio che il potere, le istituzioni, la kasta – definite a piacere – non desiderino governare sotto la spada di Damocle dell’umorale sovvertimento delle decisioni da parte di un popolo sostanzialmente ingovernabile.
La lezione della Brexit, quindi, è esattamente questa, e vale per chi ancora poteva avere dei dubbi. C’è un’aporia fra crescente complessità e decisione partecipata; fra competenza necessaria per la decisione e umoralità disinformata popolare; fra strategicità delle decisioni cruciali per un paese (come la permanenza o l’uscita dall’Unione; come il cambiamento della nostra Costituzione) e assicurazione di un dibattito ragionato e razionale che metta in grado un popolo di scegliere il meglio. La Brexit insegna che il ricorso al popolo è più che rischioso: può diventare drammatico. È una scelta buona per populisti che voglio sovvertire (Farage, Le Pen, Salvini) non per populisti che desiderano governare (che evidentemente rappresenta l’evoluzione democratica del populismo, altrimenti sempre eversivo).
Viva il popolo consapevole. Viva il popolo meno indignato e più informato. Viva il popolo proattivo e costruttore di idee. Al bando gli idioti e gli asociali, i fabbricatori di bufale odiose atte a provocare odio, i cavalcatori di incertezze e propagatori di paure.
Come sempre, ancora una volta: #nonomologatevi!