Vorrei dire tante cose a proposito dell’alleanza Calenda-Renzi. Ma sono confuso da tentazioni differenti: spiegare perché questa alleanza è un bene in generale, per la politica italiana; confutare lo sciocchezzaio nazionale scatenatosi dopo la rottura Calenda-PD; discutere perché, malgrado l’antipatia dei protagonisti, questa alleanza sia enormemente più affidabile della altre disponibili nell’attuale offerta elettorale; oppure spiegare ai miei lettori perché, secondo me, sarà grazie a questa alleanza se dopo l’imminente buio meloniano potremo vedere qualche luce in fondo al tunnel.
Vorrei dire tutte queste cose perché, leggendo i giornali, leggendo i commenti (anche al nostro blog) vedo imperare l’impolitica.
impolitico: politicamente inopportuno e poco accorto (Gabrielli), e quindi ingenuo (o stupido, o malevolo) e dannoso (niente a che vedere con Le considerazioni di un impolitico di Thomas Mann); sono impolitici gli esagitati che a una manifestazione spaccano d’impulso un parabrezza o una vetrina, come i senatori che inscenarono la gazzarra dello spumante e della mortadella alla caduta del Governo Prodi; a livello popolare sono ‘impolitici’ per esempio gli atteggiamenti di astensione dal voto “perché tanto non cambia niente, sono tutti uguali, comandano sempre loro”; (fonte)
Apostrofare per esempio Renzi come un “berluschino”, e pretendere di avere così concluso l’analisi politica e non avere bisogno di aggiungere altro, è un atteggiamento stupidamente impolitico. Impone all’interlocutore di rinunciare all’argomentazione perché non c’è replica a “berluschino”. Ovviamente questo è solo un esempio.
Un’altra deriva che ha poco a che fare con la politica è la puntigliosità nominalistica, per la quale si discute interminabilmente se questi siano davvero liberali, se siano centristi, terzopolisti o qualcosa d’altro (rimando direttamente a Massimo Teodori, perché discutere di queste boiate è davvero un atteggiamento prepolitico, che non ci farebbe fare un solo passo avanti).
prepolitico: concetto nato con Locke (‘600) che nei significati attuali ha a che fare con una riflessione politica senza prassi conseguente (nei suoi significati positivi, più rari) oppure con una riflessione politica inconsistente o incompiuta (nei suoi significati negativi, più usuali); per esempio votare per appartenenza (“la mia famiglia è sempre stata di sinistra quindi anch’io voto a sinistra”), oppure condurre analisi politiche vincolate a un’ideologia e quindi con sintesi scontate, o anche utilizzare un linguaggio stereotipato e ricco di cliché.
Come se attribuire oppure no una patente di verginità, purezza, originalità, identificabilità, sia più importante di analizzare visioni, e programmi, e proposte concrete. E anche questo era solo un esempio.
C’è poi la questione del presunto tradimento, del voltafaccia, dell’opportunismo di Calenda che avrebbe stracciato unilateralmente il patto con Letta. Qui è davvero impossibile dire alcunché, perché siamo in pieno nella comunicazione nevrotica descritta da Watzlawick: ognuno la vede come gli pare, perché fa precedere le proprie (sempre immancabilmente buone) ragioni a quelle dell’altro. Il mio modo di pensare, per essere chiari, è che Letta ha fatto il furbo e Calenda c’è cascato come un pollo; poi, se avevate voglia della grande ammucchiata da Calenda e Fratoianni, affari vostri.
Da questo al “voto utile” è un passo; turarsi il naso e votare il mucchiaccio senza storia, senza identità, senza programmi, dove ciascuno dice la qualunque e tutti assieme si costruisce una montagna di fuffa. Cosa ci sarebbe di utile nel populismo di Conte (ancora invocato esplicitamente da parti rilevanti del PD) o in quello di Fratoianni non lo posso capire; in che senso sia utile ammucchiare idealità diverse per battere la destra, per dividersi un minuto dopo in Parlamento per posizioni francamente inconciliabili, resta dichiarazione priva di argomenti, emotiva, estemporanea.
Vorrei parlare nel dettaglio di tutti questi argomenti, ma sfinirei inutilmente il lettore, e quindi ho deciso: mi concentrerò SOLO su una questione, che semplifico così: il voto può essere razionale o emotivo.
- Vota emotivamente chi sta a sinistra perché aveva il nonno partigiano; chi ci sta perché lui è per l’uguaglianza, indipendentemente da cosa ciò vuole dire; chi vota a simpatia (se non votate Renzi e Calenda perché sono francamente antipatici, vi consiglio Berlusconi, che le barzellette le sa raccontare); chi vota PD perché l’ha sempre fatto, sin da quando si chiamava PDS; chi schifa Renzi perché è andato dall’emiro (ci sono andati tutti, ma proprio tutti, a supplicare petrolio e alleanze…); chi schifa Calenda perché borghesuccio filo-padronale; chi confonde liberale con liberista; chi i 5 Stelle devono stare con noi perché “sono di sinistra”; chi “accogliamoli tutti” e “restiamo umani”, esattamente allo stesso modo, ma proprio uguale uguale, a chi dice “aiutiamoli a casa loro” e “prima gli italiani”, e guardate che sono letteralmente uguali; il voto emotivo è immediato e ha un pensiero veloce, quindi gli piace la flat tax, gli aumenti salariali, i prepensionamenti, i bonus, e l’Europa stia al suo posto, quindi, se volete votare emotivamente ve lo dico: votate per chi vi pare, Meloni come Fratoianni, Berlusconi come Bonelli, non fa una grande differenza nella qualità del vostro voto;
- vota razionalmente chi ragiona sul mondo migliore possibile, non su quello eccezionale del Sol dell’Avvenire, che non si sa quando verrà e come possa sostenersi; il mondo migliore possibile è fatto di tentativi ed errori, di compromessi accettabili, di mediazioni, di piccoli passi, di ragionamenti e valutazioni e programmazioni, di analisi delle conseguenze, di attenzione ai molteplici attori in gioco, di laicità e disincanto. È il voto a chi non dice balle, non inventa fake news, non strizza l’occhiolino a Orban e sa che senza Europa siamo alla deriva.
Votare a destra vale per chi vota emotivamente (dio, patria e famiglia, e ho detto tutto), di chi guarda il piccolo orto degli interessi immediati (flat tax, pasto gratis, condoni, gratta e vinci per tutti), di chi si perita di addentrarsi nelle argomentazioni perché è roba da professoroni, mentre il popolo, signora mia, sa bene cosa vuole e cosa serve (che è allo stesso livello di Mussolini ha fatto anche cose buone).
Votare PD e i suoi alleati sta a metà. Io ho detto e scritto chiaramente che il futuro dell’Italia risiede in una alleanza fra liberali e riformisti (ovvero con il PD), e quindi auspico un forte ricambio in quel partito che per una buona metà è schiava di pulsioni populiste e filo-comuniste. Io spero in quell’altra metà, che sia capace di emancipare tutta la sinistra riformista. Non è evidentemente per oggi, ma spero che il PD faccia comunque il risultato migliore possibile, perché un risultato nefasto è il male del Paese.
Votare i liberali di Calenda e Renzi consegue semplicemente a un’analisi razionale e distaccata, che mostra come loro siano i soli ad avere una visione e un programma concreto, possibile, utile, pragmatico. Europeista, occidentale, attento allo sviluppo ma anche alle disuguaglianze, laico e sensibile ai diritti civili, che non ci porterà alla bancarotta e all’isolamento internazionale.
So bene che il listone liberale prenderà una percentuale piccola (anche se non così piccola come si augurano i detrattori); anche il Partito d’Azione era composto da quattro gatti, ma che gatti! Che ingegno, che tempra! Il Partito Repubblicano (quello originale, di La Malfa) ha sempre avuto pochi voti, ma quanto seppe influenzare le politiche della Prima Repubblica! Il Partito Radicale (quello di Pannella) stentava a eleggere parlamentari, ma quanto ha inciso nella coscienza collettiva! E ho citato tre riferimenti specifici, non casuali, che hanno moltissimo a che fare col raggruppamento liberale.
Ci sono rischi? Ma certo! I due presuntuosi galli di quel piccolo pollaio sapranno tenere a freno i loro ego narcisisti? Sapranno anteporre gli interessi del Paese a quelli banali e tristi della loro tribù? Lo sapremo col tempo ma, fatemi dire, identici problemi ci sono a destra, come dentro al PD. Sono uomini (e donne) con le loro debolezze. La differenza, quindi, è fra provarci e non provarci. Tentare o lasciare perdere. Scommettere, finalmente, su una proposta liberale o lasciarsi trascinare dall’opacità della proposta “di sinistra”.