Potete trovare QUI il prologo di questa riflessione; QUI la parte relativa alla scomparsa del popolo; QUI la parte sulla frammentazione degli intellettuali e QUI la parte sul linguaggio.
Premessa 1: ovviamente le mie conclusioni sono ispirate dall’analisi condotta lungo le quattro puntate precedenti; se non ritenete valide quelle premesse non potete ritenere credibili neppure le conclusioni.
Premessa 2: nessuno ha la sfera di cristallo e quindi – a differenza delle puntate precedenti di analisi dell’attualità – qui lo sforzo predittivo è intrinsecamente debole.
Premessa 3: è indispensabile che il lettore assuma, riguardo al concetto di |intellettuali|, il punto di vista espresso nella prima parte di questa riflessione.
Iniziamo allora col dire che questa è una fase di passaggio (su questo non ho dubbi); gli sconvolgimenti sociali, economici e tecnologici di questi ultimi trent’anni circa hanno prodotto una serie di mutamenti dalle conseguenze inimmaginate e scarsamente governate. “Scarsamente governate” significa, per fare alcuni esempi eclatanti quanto banali, che la fretta di ficcare nell’Unione Europea i Paesi dell’Est per fare un favore alla Nato e un dispetto alla Russia, ha non solo prodotto frizioni internazionali e guerre locali, ma minato dall’interno il senso originario dell’Unione; che la Cina nel WTO è parsa una buona idea lì per lì, ma pochi avevano previsto la rapidità con la quale i cinesi si sarebbero apprestati a candidarsi a potenza economica internazionale; che Internet è esplosa come garanzia di trasparenza e democraticità per finire nelle sacche di omologazione, disinformazione sistematica e controllo sociale cui assistiamo; che i mutamenti geopolitici e climatici hanno messo l’Occidente di fronte al fenomeno delle migrazioni di massa senza che un’unghia di lungimiranza e visione dei fenomeni sia stata in grado di preparare risposte efficienti e umane.
Conseguenze di conseguenze: meno risorse (in Italia in maniera eclatante) per istruzione, cultura, ricerca; forte analfabetismo funzionale; senso di insicurezza sociale; perdita di legami forti e di agenzie di educazione e socializzazione (partiti, chiesa, …); frammentazione dei linguaggi come descritto nella precedente puntata; anomia sociale, rivendicazioni egoistiche e particolaristiche, ricerca di leader forti e via discorrendo ciò che sapete.
Se tutto ciò è almeno in parte vero, ma se questa è una fase di passaggio, cosa resterà? Innanzitutto non bisogna pensare in termini storici personali ma di epoche; sì, è un passaggio, ma è appena iniziato. Il progetto europeo va perdendosi, e vedremo cosa succederà alle prossime elezioni, dove una forte presenza sovranista e lepenista avrà conseguenze disastrose per i prossimi anni; la fortissima incultura di massa potrebbe essere combattuta con piani a lungo termine che avranno eventuali effetti solo fra un paio di generazioni (mentre questa generazione di incolti egotici è quella al governo, e non capisco con quale consapevolezza dovrebbe cercare di ribaltare la situazione); il liberismo è morto per far posto a nuove logiche economiche che con difficoltà possiamo immaginare più “umane” (qualunque cosa ciò possa significare), anche alla luce del crescente gap fra concentrazione e distribuzione della ricchezza e, quindi, della crescente disuguaglianza sia pure in un quadro di generale miglioramento; i confini – che ci eravamo immaginati in felice apertura dopo la caduta del Muro – si vanno richiudendo nella ricostruzione di nuovi e inediti blocchi di più sottile fattura (proviamo solo a immaginare l’evoluzione del mondo arabo, sia in Medio Oriente che sulle sponde del Mediterraneo). Quindi: ok, siamo in una fase di transizione; questa fase durerà lustri indubbiamente, decenni probabilmente; alla fine, cosa attenderà coloro che ci saranno per vederla?
Lo scenario ottimista, al quale credo poco ma che mi sento obbligato a proporre, visto che sono accusato di tetro pessimismo senile
Lo scenario ottimista parte da quanto appena scritto sulla lunga fase di transizione che ci attende. Immaginiamo quindi che all’omologazione, all’ignoranza, all’egotismo, al narcisismo, tutti tratti psicologici e culturali ora dominanti, si accompagni la consapevolezza del disastro populista. Io parto dal presupposto che il sovranismo, l’antieuropeismo becero, il populismo fascistoide, non sappiano governare se non con la coercizione; quella dell’olio di ricino nel Ventennio mussoliniano e quello dell’omologazione culturale oggi. In Italia i grigio-neri al governo governeranno finché non faranno nulla e vivranno di slogan: via i migranti, reddito di cittadinanza e altre baggianate; ma appena si proveranno a governare, l’incapacità conclamata si sposerà degnamente con i fasulli presupposti demagogici tipici del populismo: il giustizialismo di Bonafede, l’assistenzialismo di Di Maio, lo statalismo di Salvini e via tutti gli altri, appena all’opera provocheranno disastri (che già stiamo vedendo) che intaccheranno gli stili di vita e le tasche degli italiani. Chiarisco: gli italiani da sempre populisti e fascistelli non abbandoneranno i penta-leghisti per una presa di coscienza politica, ma perché a un certo punto si accorgeranno che il mondo gli crollerà attorno.
Sì, non è che lo scenario ottimista sia poi così divertente. Il fatto è che finché non si consumerà il disastro gli italiani continueranno a ragionare con la pancia. A disastro conclamato, se – e solo ‘se’ – sarà maturata un’opposizione decente e credibile, si potrà cercare di risalire la china, ricostruire sulle macerie, riallacciare i fili delle diplomazie spezzate, risanare i conti… Di questi due corni del dilemma, quello del disastro mi permetterete di darlo per certo, mentre quello di un’opposizione capace di prendere in mano i destini del Paese, onestamente, non vedo al momento traccia, ritenendo che il PD, comunque vada il Congresso, sia morto e sepolto, esattamente come Forza Italia. Quello che lo scenario ottimista può suggerire è che in questi anni si sviluppi una nuova e diversa coscienza politica, capace di adattarsi, di diventare “liquida”, di superare con orgoglio le appartenenze ideologiche, raccogliendo sotto le sue bandiere non già “quelli di sinistra”, o “quelli di destra” o “quelli di un qualunque lato geometrico”, bensì i razionalisti, laici, inclusivi, riformisti e democratici che avranno argomenti anziché slogan, competenze anziché pareri, volontà anziché servilismo e patriottismo anziché egotismo. Questo scenario è eroico.
Questo scenario impone la volontà, la coscienza e il sacrificio di decine di intellettuali (nel senso nostro, già specificato, e quindi anche noi di Hic Rhodus, autori e lettori) per accendere i 100 fuochi, mantenerli accesi, diffonderli, difenderli, resistendo a Salvini e al disastro suo e di ciò che seguirà. I nostri 100 fuochi: fatti di idee, di saperi, di competenze, di visioni del futuro; 100 fuochi, poi semmai 1.000, da lasciare alla generazione che dovrà ricostruire, in una nuova Italia, in una nuova Europa.
Lo scenario pessimista (e sì, lo ritengo più probabile)
Lo scenario pessimista comincia allo stesso modo del precedente: lunga fase di transizione che potrebbe anche non finire con un segno chiaro ma estendersi, dilatarsi, adagiarsi su un nuovo mondo di separatismi, conflitti e disuguaglianze. Il disastro italiano si consumerà, ma potrebbe avere conseguenze irreparabili: l’uscita dall’Euro, la bancarotta, i conflitti violenti… Diciamo che non ci sarà alcuna catastrofe ma semplicemente una fortissima recessione, aumento della disoccupazione, calo dei consumi e aumento delle povertà (che già mi sembrerebbe terrorizzante…); la scommessa, come scritto or ora, è che ci sia un’opposizione capace di dare una nuova visione agli italiani, un nuovo senso all’identità nazionale, una nuova speranza. In fin dei conti, per come si sono messe le cose, è solo questo che ormai conta, avere un’alternativa seria, pronta a prendere il posto di questi sciagurati.
Ebbene io, ripeto, non la vedo.
Il PD – sul quale credo riposino le speranze di molti lettori – sta subendo una prepotente involuzione populista. Se la sinistra radicale è già a pieno titolo una forma politica di populismo più simile a CasaPound che al pensiero di Gramsci e Berlinguer (non sto esagerando, ne ho parlato QUI), l’evoluzione zingarettiana si appresta (con più garbo, con più moderazione, con maggiore capacità illusiva) a percorrere una strada simile, quella di un populismo annacquato, demagogico quanto basta per preferirgli l’originale leghista. E di Renzi, credete che sia il caso di parlarne? La sua visione, i suoi inizi, il suo programma originario, che qui su HR avevamo trovato per certi versi interessanti, dove sono finiti? Nei bagni di folla onanistici dove il suo personale culto viene celebrato in barba ad ogni logica politica (di vera politica: di lucida, pragmatica, realistica politica). E difficile immaginare una opposizione nascente, come quella sopra auspicata, finché l’ingombrante Moloch di questa sinistra e di questo centrosinistra occupano gli spazi politici.
Questo scenario è disperante.
Questo scenario impone la volontà, la coscienza e il sacrificio di decine di intellettuali (nel senso nostro, già specificato, e quindi anche noi di Hic Rhodus, autori e lettori) per accendere i 100 fuochi, mantenerli accesi, diffonderli, difenderli, resistendo a questa sinistra e al disastro suo e di ciò che seguirà. I nostri 100 fuochi: fatti di idee, di saperi, di competenze, di visioni del futuro; 100 fuochi, poi semmai 1.000, da lasciare alla generazione che dovrà ricostruire, in una nuova Italia, in una nuova Europa.
Se mai ne avrà la possibilità.