Zingaretti lancia la sua idea programmatica – ed era anche ora! – sotto lo slogan “Italia semplice”. Taglio subito la testa al toro: a me piace e la condivido al 100%. Finalmente un barlume di progetto, di visione, di indirizzo politico concreto, per quanto mi riguarda nella direzione giusta.
Ciò detto, diamine!, togliamo un po’ di polvere dagli occhi. È piuttosto semplice, pur credendoci, scrivere 50 righe di idee sull’HuffPost, ma per realizzare grandi idee servono grandi sforzi, grandi consensi, grandi capacità di leadership, tutte cose che invece paiono fragili, in questo governicchio opaco, in questi tempi vissuti più sulla comunicazione che sui fatti, con questa dirigenza PD che tutto pare tranne che unita e decisa.
Prendo comunque per buono il proclama di Zingaretti, che è pur sempre il segretario PD, e mi permetto alcune glosse tecniche – non politiche – che performano la sostanza della proposta di Zingaretti, perché le idee – ripeto – mi piacciono, ma gli ostacoli alla loro realizzazione sono giganteschi. Come conviene al piano comunicativo, Zingaretti non nomina neppure tali ostacoli. Va bene. È la comunicazione, baby. Ma non voglio neppure pensare che non ne abbia contezza, e che non sappia che senza un PD unito, senza un’ampia maggioranza, senza uno sforzo ciclopico, senza concertare mediazioni funamboliche con altri poteri, senza tempo a disposizione, tutto ciò resterà un ennesimo post sull’HuffPost, presto dimenticato, presto sostituito da altre mirabolanti promesse.

Il tema della proposta Italia semplice è
un piano, che disboschi la selva normativa che stritola l’Italia, che acceleri procedure, che accorci e renda certi i tempi per la realizzazione delle opere, sia nell’ambito del privato che in quello pubblico.
Viva. Lasciamo stare le motivazioni generali descritte da Zingaretti, e gli effetti nefasti che quella selva provoca a cittadini e aziende, perché non c’è italiano che non le conosca, e vediamo subito i tre pilastri della proposta:
1) Un grande investimento sulla qualità del personale amministrativo […]. Solo assumendo migliaia di ingegneri, architetti, geologi ecc. potremo controllare bene le autostrade concesse al Mit, mitigare il dissesto idrogeologico nelle Regioni, rendere più sicure le scuole nei Comuni […]. Investire nell’infrastruttura professionale e delle competenze è l’unica possibilità per realizzare e mantenere infrastrutture materiali, anche ricorrendo al mercato, ma con intelligenza, con strumenti come “l’equo compenso”, che tutelano la qualità offerta dalle figure tecniche che lavorano per la pubblica amministrazione con un proporzionato valore economico.
Doppio evviva. Ma… Assumere “migliaia” di professionisti dalla Valle d’Aosta a Caltanissetta può essere certo necessario, specie a fronte dell’imminente turn over nella PA (citato anche da Zingaretti) se si hanno le risorse. Per quanto necessario, urgente, improcrastinabile, quelle migliaia di stipendi sono a carico dello stato e – in ultima analisi – gravano sul debito. Sì, certo, in buona parte sostituiscono gente che va in pensione supponendo una parità di trattamento economico (una questione sulla quale tornerò a breve) ma c’è decisamente qualcosa che non quadra. Anche al netto di stereotipi errati sulla pubblica amministrazione italiana (QUI un po’ di dati veritieri e interessanti), è opinione comune che sia pochissimo efficiente. Il tema è estremamente complicato e include (elenco non esaustivo) il ruolo conservativo del sindacato, l’uso clientelare del bacino di impiego pubblico, il ruolo della dirigenza e la sua ricattabilità (spoil system). Le conseguenze pratiche sono, non sempre ma spesso: dirigenti incapaci e ricattati dal potere politico, funzionari in balìa di sollecitazioni differenti in seguito alle quali si apprende che la strategia migliore per sopravvivere è fare poco e lentamente, l’inamovibilità dei pubblici dipendenti anche lazzaroni e assenteisti, l’enorme e insensata frammentazione delle responsabilità (ovvero la quasi scomparsa di una chiaramente definita responsabilità) e molto, molto altro ancora. Questa è l’inefficienza della PA che si traduce in miriadi di regolamenti e leggi, in molteplici autorità opache, e in sintesi in un rallentamento di tutto il comparto con costi enormi per i cittadini e le imprese.
Il “grande investimento” di Zingaretti – ammesso che sia possibile farlo, anche diligentemente, assumendo bravissimi tecnici – si scontrerà quindi con una realtà malata che infetterà immediatamente i nuovi assunti. Il bravissimo ingegnere, biologo, geologo, dovrà inserirsi in un’organizzazione preesistente, che per definizione sarà più forte del singolo armato di buona volontà, come sanno bene, e tristemente, tutti i pubblici dipendenti volenterosi, continuamente mortificati “dalla macchina”. Il dirigente incapace, il politico rapace, il collega colluso, il collaboratore sfaticato, protetti dal sindacato, protetti dalle leggi e dalle norme, protetti dal branco, non possono che vincere.
La proposta per un’Italia semplice dovrebbe partire dalla macchina. Il sindacato è disponibile a far piazza pulita davvero su decenni di privilegi, cacciare non solo gli assenteisti conclamati ma anche gli incapaci e i lazzaroni o, quanto meno, a instaurare un vero, reale, sistema meritocratico per cui i lazzaroni guadagnano sempre meno e i meritevoli sempre più? E come sarebbe gestito tale sistema meritocratico? Da chi, per garantire trasparenza ed equità nella meritocrazia (nulla è più equo di una vera meritocrazia)? Ecco: se prima non si apre una stagione nuova, di discussione coi sindacati, e se non si è in grado di convincerli con contropartite accettabili (le nuove assunzioni, per esempio), non si va da nessuna parte. Poi c’è il terribile ricatto dirigenziale per cui i dirigenti non sono mai “i migliori professionisti su piazza” ma sempre e solo “i più ubbidienti”.
A questo punto: in che modo Zingaretti intende efficientare la macchina pubblica immettendo bravi professionisti sottratti al ricatto politico, immuni rispetto a un tessuto che li percepirebbe come anticorpi, realmente premiati meritocraticamente laddove mai, in Italia, si è riusciti a far prevalere il merito nella PA?
Il secondo pilastro di Zingaretti è tanto condivisibile quanto sorprendente:
2) Serve poi una grande opera di disboscamento delle competenze tra i diversi livelli amministrativi, specie dopo l’interruzione di un percorso di riforme istituzionali rimasto incompiuto.
Ohibò, se la memoria non mi inganna ci aveva provato l’improvvido e burbante Renzi, per ciò accusato di attacco alla Costituzione-Più-Bella-Del-Mondo. Qui si tratta di riformare totalmente il Titolo V della Costituzione (che era il vero punto qualificante della tentata riforma di Renzi, ma nessuno se ne accorse, neppure l’arguto Zagrebelsky), cancellare finalmente le Province ma poi, se si vuole essere seri, accorpare le Regioni, eliminare definitivamente gli anacronistici, dispendiosi e clientelari statuti speciali, accorpare i piccoli comuni. Su ciascuna di tali questioni ci sono limiti politici che oggi paiono insormontabili (ai link nostre vecchie considerazioni, ancora valide); interessi locali, feudi coi loro feudatari, privilegi consolidati di cui non ci si vuole privare. Provate a dire a un cittadino di una regione a statuto speciale che gli togliete le prebende e i privilegi, che si accorperanno con un’altra Regione e che le funzioni di tale Regione saranno ridisegnate per essere compatibili con uno Stato efficiente… Provate a dirlo a un suo politico, a un suo sindacalista, o perfino a un suo imprenditore… L’Italia è schiacciata sotto il peso di una pletora di enti che non sono inutili bensì dannosi, il cui danno principale è la convenienza di molteplici clientes a mantenere lo status quo. Zingaretti come intende affrontare la questione, senza ripercorrere le orme di Renzi?
Il terzo pilastro zingarettiano è altrettanto ciclopico:
3) Infine, dobbiamo occuparci con coraggio di una riforma della Giustizia amministrativa, per evitare che la legittima domanda di tutela affoghi in un mare di ricorsi strumentali avanzati solo per rallentare o immobilizzare la realizzazione di opere pubbliche.
Da quando ho l’età della ragione sento parlare della nostra giustizia che non funziona e della necessità di riformarla. Zingaretti “si limita” a quella amministrativa, per pudore, o forse per consapevolezza dell’enormità del tentativo. Non sono un esperto della materia e quindi mi fermo, lasciando sul tavolo un quesito: si può riformare la giustizia amministrativa ignorando completamente quella civile e penale?
In conclusione: accreditando Zingaretti di buona volontà, di sostegno entro il suo partito, di durata del suo governo, di intelligenza complessiva nella dirigenza PD, resta la trepida attesa di come fare tutte queste belle cose. L’articoletto sull’HuffPost può essere il sasso nello stagno per vedere l’effetto che fa, va bene: vediamo cosa dirà il sindacato, vediamo cosa dirà la politica, vediamo cosa dirà Zagrebelsky (qualcuno mi sa dire come sta il professore? Sono anni che non lo si sente dire qualcosa di tremendo a difesa della Costituzione, e sì che ce ne sarebbe bisogno…).
Ma se questa è la linea del PD (quella vera, consolidata, definitiva, decisiva…) allora dopo l’articoletto ci aspetteremmo un bell’incontro con Landini, per esempio, con l’ANCI, coi presidenti delle Regioni a statuto speciale… insomma: qualcosa di assai di più di un mero proclama. Se così sarà, bene; benissimo; tre volte evviva a Zingaretti e al PD.