Sono un filino stufo delle critiche lanciate a destra e a manca sul governo, sulle regioni, su Conte, su Speranza, sui decreti, sulla sanità, sulle regole, le sregole, gli italiani bravi, poco bravi, così così, su De Luca, su Zaia… basta! Per pietà, basta, datevi una calmata. E Conte appare troppo, e quell’altro si infila in mezzo, e le regole non si capiscono, e sui congiunti sono ridicoli, e le mascherina a 50 centesimi, e i tamponi chi li fa, e il virologo cosa consiglia, e il matematico che modellizza, e Galli della Loggia cosa dice (non so cosa dice, dice sempre qualcosa!), e infine, naturalmente, cosa resta? Un fico secco! Pagine di vuoto assoluto che non servono a nulla tranne che ad autocelebrarsi.
Perché le critiche devono avere due proprietà:
- un valore oggettivo, una base di verità, un elemento reale, verificabile, visibile a tutti, o ai più, o almeno a chi ha voglia di guardare le cose sotto una certa angolatura, e
- una funzione pedagogica, di stimolo, suggerimento per il cambiamento.
Avendone fatta professione (in senso letterale) per tutta una vita, so di cosa parlo. Queste due sono le sole e fondamentali proprietà di una critica intelligente.
Senza il valore oggettivo (mi ripugna l’aggettivo, preferirei usarne altri che però complicherebbero la comprensione del ragionamento) le critiche sono, in misura e forma diversa:
- bugie; balle, panzane, fake news. Qui c’è il dolo, e per quanto mi riguarda, Vostro Onore, chiedo per costoro la massima pena prevista;
- errori; abbagli, distrazioni (ma gravi, eh?), incomprensioni. Qui c’è la stupidità se va bene; anche una discreta dose di qualunquismo, faciloneria, mancanza di revisione critica da parte di terzi, presunzione e una tale quantità di altre debolezze che, Vostro Onore, la punizione deve comunque essere esemplare, in ragione delle ipotetiche qualità dell’autore di tale errore; se è un povero sprovveduto appena sceso dai monti, vogliate avviarlo in un buon campo di rieducazione senza Wi-Fi, ma se è un ipotetico intellettuale, politico, giornalista, professionista, influencer e via discorrendo, La prego Vostro Onore di non essere tollerante. Va da sé che la mancanza di verifica delle fonti, qualora si inverasse in un errore, è da considerare aggravante.
Tutto questo non certo perché ci sia una verità assoluta, pietra di paragone (benchmark, per gli anglofoni del loggione) sulla quale comparare, misurare e adattare ogni nostra affermazione. Se una verità c’è (io ne dubito) appartiene a Dio e alla fisica dell’Ottocento, non certo alla gente, a voi e me, e quindi alle scienze sociali, all’epidemiologia, alla medicina e a tutte le professioni pratiche che hanno a che fare con le persone (trovate in questo blog ampie e ripetute dichiarazioni di relativismo scientifico). Non si tratta, quindi, di pretendere una verità da chi critica; se tale verità ci fosse sarebbe in breve patrimonio comune (questo lo pensava e credeva Cartesio nel suo Discorso sul metodo) e quindi almeno Gli Eletti (che so? I politici, le persone istruite, gli scienziati tutti) conoscendo tale verità si adeguerebbero, non sbaglierebbero e non ci sarebbe spazio per la critica.
Tutti i comportamenti umani sono invece il prodotto di innumerevoli fattori, la maggior parte dei quali funziona per tentativi ed errori, per imitazione altrui o di esperienze pregresse, sulla base di informazioni incerte e spesso mal comprese. E quindi ci si sbaglia: voi, io e certamente anche Conte, Zingaretti, Renzi e Di Maio (Di Maio più di ogni altro). A fronte degli sbagli (ovvero di comportamenti ritenuti tali) come deve funzionare la critica? In un solo modo:
MOSTRANDO GLI ELEMENTI FONDAMENTALI DELL’ARGOMENTAZIONE IN MANIERA ESPLICITA
(questo, fra l’altro, si chiama “metodo scientifico” come inteso nella nostra epoca), in modo che ciascun fruitore di tale critica possa comprendere l’articolazione completa del ragionamento (e non solo le sue conclusioni assertive) per capirne il senso, rielaborarlo con i propri schemi e le proprie informazioni, e infine ritenerlo valido, valido in parte o da rigettare.
In materia di coronavirus, giusto perché è l’argomento del giorno, leggo qua e là molti critici che si lamentano di tutto e di più sulla gestione della crisi da parte del governo. Ma se queste critiche non servono per prendere cinque like su Facebook, e intendono promuovere una vera e sana e approfondita riflessione nei lettori, in modo che avanzino nelle competenze, nella capacità osservativa, nella capacitazione civica, allora vi dico che i meme, le card, gli strilli in maiuscolo, i tweet con gif, le emoticon e i punti esclamativi non possono fare parte del repertorio, se non raramente, in via piuttosto eccezionale.
Alcune critiche specifiche (le critiche devono sempre essere specifiche, altrimenti non possono essere circostanziate, tendono a generalizzare e mancano il bersaglio) le abbiamo iniziate a proporre anche qui su Hic Rhodus (QUESTA sulla sciocca apertura delle librerie, scritto da Ottonieri; QUESTA sulla confusione gestionale scritta da Sulig; altre minori incorporate in altri post), mentre abbiamo cercato di smontare anche alcune balle che non ci riguardavano direttamente (come quella sulla presunta superiorità della risposta svedese, scritta da me).
Quello che vorrei segnalare qui, ora, è che soffiato via il polverone delle critiche generiche, farlocche, ideologiche, l’Italia non si è certamente mostrata la nazione che ha affrontato peggio questa crisi, anche se chiaramente non è stata neppure fra le migliori.
Se vi fate un giro sui siti che raccolgono dati seri, e non interpretazioni giornalistiche di agenzie che hanno copiato qualcosa da un blog moldavo, vedrete che con la sberla che abbiamo preso direi che ce la siamo cavata almeno con un 6 meno meno.
QUI il sito Worldometer/Coronavirus;
QUI il Johns Hopkins coronavirus resource center;
WHO Coronavirus disease pandemic.
Per farla breve:
Le scelte dell’UK hanno portato quel paese a superare l’Italia da un paio di giorni, in quanto a morti attribuiti al coronavirus (la Gran Bretagna ha manifestato il problema 10-15 giorni dopo l’Italia e ha una popolazione di poco superiore alla nostra).
Il tasso di mortalità è estremamente più alto in Belgio che in Italia, più anche in Spagna (non di molto) mentre quello di letalità è in Italia comunque inferiore a quelli della Gran Bretagna, Francia, Belgio e abbastanza prossimo a quelli olandese, svedese, ungherese.
Per carità: stiamo nella pattuglia di testa, ma siamo in compagnia delle più lodate nazioni europee, Germania esclusa. E abbiamo taciuto degli Stati Uniti.
Intanto in Italia pare che i picchi siano stati raggiunti, cosa che non si può dire per tutti i Paesi sopra menzionati (inclusa la Svezia), men che meno per gli Stati Uniti che temono il raddoppio dei morti entro giugno.
Riprendiamoci un momento: questa non è una gara, e arrivare primi, o secondi o terzi nel conteggio dei morti è una cosa vile. Non è il mio scopo. Lo scopo è segnalare che le critiche all’Italia che fa sempre schifo lasciano il tempo che trovano, e sono critiche che stanno bene nel cassetto dei politici tutti ladri, è tutto un magna magna, sono attaccati alla cadrega e alcune altre perle del luogo comune che da secoli il popolo usa per criticare i potenti e che purtroppo sono diventate patrimonio universale.
Chi critica, quindi, dovrebbe sempre avere queste accortezze:
- verificare la fonte; non quella italiana, che semmai è la copiatura di un’agenzia ungherese che ha tradotto un lancio del Kazakistan; siti seri e accreditati, sia per i dati sia per lo opinioni che si citano (sto citando Ciccio Formaggio perché mi dà ragione e faccio bella figura, ma chi diavolo è Ciccio Formaggio? Che qualifiche ha? Quale il suo ruolo pubblico? In che contesto ha detto ciò che ha detto? Che motivazioni poteva avere?). Direte che è una fatica notevole e serve un sacco di tempo, e vi dico per esperienza che è assolutamente vero, ma visto che non ve l’ha ordinato il dottore, anziché critiche a vanvera senza verifica delle fonti potete ricominciare a postare gattini;
- comprendere le differenze e le difficili comparabilità, fra paesi, nazioni, popoli diversi; non solo i dati del coronavirus che, come sappiamo, sono confusamente presi in maniere diversissime, ma proprio tutti i dati e tutte le opinioni sono sempre contestuali, indicali: servono lì, dove sono stati raccolti, dove hanno significato e senso; il senso si perde nella comparazione, e una certa parte anche dei significati. Bene comparare, è utile e spesso necessario, ma va fatto con cautela e intelligenza;
- compenetrarsi nelle situazioni: ok, critichiamo Conte, ma pensiamo come si è trovato, all’improvviso, ad affrontare un’emergenza per la quale né lui né il ministro della sanità avevano alcuna preparazione, in un momento confuso, in un governo che era nato al solo scopo di allontanare Salvini dal potere, con dentro ministri a 5 Stelle che gridano vendetta al cospetto di dio… Certo, questo fa parte della critica, direte voi… No, fa parte del contesto, replico io. Il contesto è che per una serie di ragioni approvate a suo tempo a maggioranza dal popolo italiano, siamo arrivati al Covid 19 con questo governo e con altre cosucce che sto per dire. Allora, delle due l’una: o faccio critiche specifiche su singoli provvedimenti di questo governo (come scritto all’inizio) oppure faccio due passi indietro e mi metto a imbastire una critica generale all’italianità, che parte da Adamo ed Eva per arrivare fino a tutti noi. Serve? Adesso ne parliamo.
La critica generale, quella dei due passi indietro, si pone la domanda delle domande: come diavolo siamo arrivati, nel 2020, la settima potenza mondiale (mi viene sempre da ridere…), ad avere un governo di scappati di casa dove l’asse portante è composto da miracolati dell’invenzione pre-politica di un comico e di un furbastro con troppa fantascienza nel cervello? Com’è possibile che ci troviamo, in piena crisi, col culo scoperto a elemosinare in Europa soldi che non abbiamo, avendo sperperato tutto e di più in una maniera che ci fa quasi correre a chiedere scusa agli olandesi? Perché stiamo con pervicacia e abilità sistemica smantellando l’ottima sanità pubblica a favore di clientele e particolarismi (e per fortuna che l’opera non era stata completata)? Come mai abbiamo fatto un casino paradossale con le autonomie locali e specialmente con le Regioni, tanto che oggi non si riesce a governare un cazzo di niente, ma proprio niente, perché ognuno la rigira come pare a lui o lei?
Chi legge questo blog da un po’ sa bene che su questi temi abbiamo speso tantissime parole, ma tante davvero. Su ciascuno di questi elementi trovate molti post.
Ma questo ci porta davanti a un bivio che rappresento in questo modo: da una parte abbiamo alcuni decenni di storia nazionale andata a rotoli, e sta continuando a rotolare; dall’altra abbiamo il problema di uscire dalla pandemia, salvare vite umane, non mandare in malora milioni di posti di lavoro, non far morire di fame la gente. La prima strada ci porta a bellissimi discorsi, approfondite analisi e confronti anche interessanti e vivificanti fra intellettuali, ma la seconda strada, cari lettori, ci porta solo a rimboccarsi le maniche e uscirne con le ossa meno rotte possibile, oggi, adesso, con questo governo, questa sanità, questi presidenti di Regione, questi italiani.
Francamente ci rimarrei male se qualche lettore interpretasse questo discorso come una sorta di resa. Non mi arrendo affatto, come non si arrende Ottonieri e i collaboratori di Hic Rhodus; siamo arrabbiati, e molto, per come vanno le cose in Italia, siamo furiosi per questi politici che Ottonieri, non molto tempo fa, ha definito senza mezzi termini, “cialtroni”. Abbiamo perso la voce a furia di additare il debito pubblico come un problema sommo, la debolezza della struttura industriale italiana, lo statalismo d’accatto, le furbizie popolane… Non saremo certo noi a fare i “nazionalisti di ritorno”; noi siamo fustigatori degli italiani, perché ci meritiamo di essere fustigati, non solo metaforicamente.
MA…
Un conto è fare analisi, anche profonde, sul come e sul perché siamo questo popolo qui. Un altro conto è fare critiche precise, argomentate, documentate, su specifici comportamenti politici, scelte governative e così via. (E queste due prime cose possono benissimo stare assieme).
E tutt’altra cosa è sputacchiare la nostra rabbia, che poi è la messa in scena della nostra impotenza, senza argomenti. O con argomenti stereotipati, fasulli, disinformati, omologati, preconcetti. Asseriti e non argomentati. basati su luoghi comuni, su mezze verità, su vaghe citazioni che guarda caso “dimostrano” ciò che noi vogliamo sia dimostrato. Ecco, queste, semplicemente, non servono. Anzi no: servono a incattivirci, diffondono la moneta cattiva della critica fasulla facendo perdere terreno alle critiche intelligenti.
Quindi, da oggi, cambierò il mio noto e sovente ripetuto motto (#NonOmologatevi!). Ecco qui il nuovo. Vi piace?
