Mi scuso anticipatamente con i nostri lettori: questo articolo, diversamente dai miei soliti, sarà pochissimo fact-based e quasi interamente dedicato a delle mie riflessioni personali, che, normalmente, non giudicherei meritevoli di essere pubblicate su Hic Rhodus. Personalmente, faccio sempre il possibile per ricordare il sacro ammonimento di W. Edwards Deming: Senza dati, la tua è solo un’opinione come un’altra.

Se faccio un’eccezione in questo caso, è perché mi sono reso conto di quanto spesso la conclusione dei miei articoli fitti di numeri e grafici sia più o meno «L’Italia è un paese vecchio». Intendiamoci, questo è sicuramente vero, e abbiamo più volte documentato quest’affermazione: siamo un paese anagraficamente vecchio, i nostri governi spendono per gli anziani e penalizzano i giovani, il nostro dibattito politico è ancorato agli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso, siamo il fanalino di coda internazionale nel campo dell’innovazione e della conoscenza, eccetera. Ma non è tutto qui.
Se il nostro fosse “semplicemente” un paese vecchio, dovremmo poter ritrovare in esso anche altri caratteri dell’età adulta e avanzata, questa volta positivi o almeno dignitosi. Invece, e lo vediamo sempre più chiaramente in questo periodo di grave crisi, accanto a quelli della vecchiaia ci sono altri caratteri molto evidenti che vorrei riassumere in una sola parola: irresponsabilità, intesa in senso letterale, non come colpevole temerarietà. Noi italiani rifiutiamo il concetto stesso di responsabilità, a partire da chi dovrebbe addirittura esserne l’incarnazione, ossia il Governo: come abbiamo avuto modo di osservare, dopo la relativa fermezza della Fase 1, i messaggi che Conte & C. hanno trasmesso a noi cittadini sono stati vaghi, contraddittori e, soprattutto, pilateschi: potremmo in pratica riassumerli tutti con «usate prudenza e buonsenso». Questo in sostanza significa passare il cerino acceso nelle mani dei cittadini, dei genitori, degli amministratori locali, dei dirigenti scolastici, degli imprenditori, di tutti coloro, insomma, che non possono fare a meno di scegliere, perché devono operare nella vita di tutti i giorni (e non a chiacchiere). E come reagiscono i cittadini?
Ovviamente, in modo irresponsabile. Vediamo, un esempio per tutti, come parla una giovane intervistata dal Corriere della Sera mentre, chiusa nella sua casa da single al centro di Milano, aspetta di guarire dalla blanda forma di Covid-19 che ha contratto, insieme ad altri 13 amici, nelle discoteche in della Sardegna. Cosa ci dice questa giovane donna (perché una persona di 26 anni non è una “ragazza”)? «La verità è che le discoteche non andavano aperte, andare a ballare distanziati è impossibile. Lo dico io che non ho rinunciato a una festa. Ma se ci hanno permesso di tornare in pista, perché non avremmo dovuto farlo? Non abbiamo fatto nulla di illegale». In pratica, rivendica la sua irresponsabilità: le discoteche non andavano aperte, ma visto che le hanno aperte, perché lei non avrebbe dovuto andarci? Infatti, non ha rinunciato a una festa, lei. Il pensiero che il motivo per cui non avrebbe dovuto andarci sia lo stesso per cui dice che non andavano aperte non la sfiora neanche. Significherebbe essere responsabile delle proprie azioni, e ovviamente lei non lo è, rifiuta di esserlo e anzi si considera una vittima, mentre chatta con gli altri 13 irresponsabili amici suoi, e mangia sushi consegnato a domicilio.
E i genitori, l’anello intermedio tra le istituzioni e i “ragazzi”? La madre, ora, «mi ha detto che sono un’incosciente, che c’era da aspettarselo che sarebbe finita così». Ecco che anche la madre (di padri, tanto per cambiare, neanche una traccia) rivendica con forza la propria irresponsabilità: “ora” dice che “c’era da aspettarselo”, e quindi la figlia è un’incosciente. La figlia come tutti i suoi amici, ovviamente, non i loro genitori, che ora fanno gli indignati e che magari sono quelli che hanno tirato fuori i soldi per una vacanza a Porto Cervo. Mica vorremo pensare che i genitori siano responsabili?
Intendiamoci, non è certo fustigando questa comitiva di giovani benestanti e festaioli (persone certamente informate e che nel lockdown non hanno sperimentato terribili disagi) che fermeremo il Coronavirus. Però è un esempio evidente del fatto che, a partire dal governo e dalle amministrazioni locali, fino ai proprietari dei locali (il buon Briatore, proprietario del Billionaire frequentato in vacanza dalla fanciulla ora in quarantena, si era dichiarato a sua volta irresponsabile, prendendosela col sindaco di Arzachena che alla fine ha fatto chiudere il prestigioso locale. Sarà un caso, ma oggi Briatore è ricoverato), alle famiglie, ai ragazzi, tutti rifiutano di assumersi la minima responsabilità per le azioni proprie e di coloro che da essi dipendono.
Ora, come dicevo prima, questo non è un segno di senilità. Un anziano, semmai, pretenderà di considerarsi responsabile delle proprie azioni, capace di governare se stesso, anche quando non ne è più in grado. Questo senso di irresponsabilità, anzi del diritto all’irresponsabilità, è invece un tratto infantile o forse meglio adolescenziale, quando si ha un minimo di comprensione delle conseguenze delle proprie azioni ma, appunto, si rifiuta di assumerne la responsabilità. E non è solo la crisi del Coronavirus, sia chiaro, a stimolare questo riflesso autoassolutorio: vediamo continuamente persone che rifiutano, apparentemente in perfetta buona fede, l’idea che le loro azioni abbiano delle conseguenze di cui essi (e nessun altro) sono responsabili. In altra forma, anche la parossistica ricerca del “pasto gratis” , che è un altro fenomeno italiano di massa, risponde alla stessa logica, sostanzialmente infantile.

Un paese di bambini anziani, insomma. E questo si riflette nelle scelte, e soprattutto nelle non-scelte, di tutti i giorni. Purtroppo, in Italia non funziona l’inossidabile motto dell’Uomo Ragno, «da un grande potere derivano grandi responsabilità»; o meglio, funziona fin troppo bene, ma al contrario, nel senso che pur di non assumersi responsabilità i nostri politici rifiutano anche il potere di prendere decisioni potenzialmente scomode. I poteri formali (quelli di cui si deve rendere conto con trasparenza, perché di come si esercita un potere informale non si rende conto se non a chi lo garantisce) vengono spezzettati in modo che sia impossibile ricostruire una responsabilità unica, in un gioco a scaricabarile senza fine. E non è ancora cominciato effettivamente il più grande scaricabarile di tutti, quello che tra pochi giorni riguarderà la scuola. Come ha giustamente scritto Claudio Bezzi, la riapertura rischia di essere una Caporetto, in cui lo Stato Maggiore governativo ha diramato delle linee guida piuttosto generiche, ben sapendo che sul campo saranno i capitani e i sottufficiali (fuor di metafora, i dirigenti scolastici e i docenti) a dover prendere le decisioni.
Faccio una facile predizione: il 14 settembre, il numero di studenti e di componenti del personale scolastico positivi al virus sarà già tale da giustificare una mancata riapertura delle scuole, prima ancora che il potenziale infettivo della convivenza scolastica abbia cominciato a fare effetto; ma non lo sapremo, perché nessuno obbligherà gli studenti a sottoporsi a un test preventivo, dato che questo significherebbe assumersi una responsabilità, ossia quella di dover decidere poi cosa fare in base ai dati sulle positività. Si preferisce come al solito spezzettare le responsabilità, dire che la temperatura ai ragazzi devono misurarla i genitori a casa (a scuola si potrebbero usare delle termocamere, ma non siamo mica matti), prevedere dei protocolli da applicare in casi improbabili (nelle linee guida, misurare la temperatura è previsto in caso di «malore a scuola di uno studente o di un operatore scolastico»), e così via, facendo in pratica tutto il possibile per evitare di identificare casi sospetti a scuola e sperando che chi non si sente bene resti direttamente a casa. Dall’altra parte, i genitori, a loro volta irresponsabili, altrettanto pilatescamente manderanno a scuola anche i figli che non si sentano troppo bene, perché sennò chi se ne occupa? Tanto per i ragazzi il Covid-19 non è troppo grave, e nel 99% dei casi passerà come un raffreddore, salvo nel frattempo essere trasmesso a mezzo istituto scolastico. Alè.
Assumersi delle responsabilità non è da bambini. Abbandonare i decennali compromessi di potere non è da vecchi. Ecco perché non possiamo aspettarci che né il governo, né i cittadini facciano l’una o l’altra cosa.