Questo post si collega a una serie precedente:
- Se il popolo non può cogliere la verità, che senso ha la democrazia?; quando ho scritto questo post non immaginavo che avrei approfondito alcune questioni con una serie di testi; comunque: qui mi inserisco in un dibattito aperto da alcune settimane su Hic Rhodus sull’intelligenza artificiale, e rifletto sull’impossibilità umana di avere una conoscenza del mondo (in senso lato); ne consegue un vulnus evidente per la democrazia come comunemente intesa.
- Come topi in un labirinto; una riflessione sui vincoli, le condizioni, i limiti dell’agire umano, che è molto meno libero di quanto amiamo pensare.
- Riflessione sui topi nel labirinto; certamente, fra le palle da biliardo mosse unicamente da leggi fisiche, i topi nel labirinto, che possono fare scelte molto di base e limitate, e gli esseri umani, è evidente che questi ultimi hanno una possibilità in più: la riflessione critica sul loro operato. Anche tale riflessione critica è condizionata – come ogni comportamento – da fattori terzi, biologici e di contesto, ma in alcuni casi, sotto certe condizioni, è esattamente questo il motore della civiltà umana. Sua dannazione e sua unica speranza.
In questi precedenti tre testi, quindi, abbiamo introdotto, principalmente come analogia:
- le palle del biliardo (bilie) che si muovono meccanicamente;
- i topi nel labirinto, mossi da istinti e da apprendimenti contestuali e limitati;
- gli esseri umani, che più dei topi hanno una (non scontata) capacità riflessiva;
- l’intelligenza artificiale, che sembra in grado, in un futuro prossimo, di avere capacità riflessive quanto meno analoghe all’essere umano, senza i suoi limiti.
Qui riprendo dall’ultimo dei post menzionati; gli esseri umani possono riflettere criticamente (in certi casi, stanti certe condizioni…). E quindi?
La teoria dei giochi ci aiuta moltissimo.
Post di Hic Rhodus dove trattiamo la teoria dei giochi e la spieghiamo:
- Il dilemma del prigioniero (della pandemia): una specificazione della teoria dei giochi, nota come “dilemma del prigioniero”, applicato alla pandemia (eravamo nel 2020, e ce ne occupavamo); in questo post si spiega abbastanza bene cosa sia il dilemma del prigioniero.
- Colpa, destino e disincanto: la teoria dei giochi applicata all’etica;
- La politica come gioco di ruolo: la teoria dei giochi applicata alla politica.
Il dilemma del prigioniero – nell’ambito della teoria dei giochi – ci aiuta a capire quale sia la strategia vincente in uno scambio di relazioni sociali. Per esempio: se io commerciante ti frego sul peso della merce che ti vendo, tu acquirente non ti fidi più di me e ti rivolgi a un altro, se c’è, oppure opponi una tua reazione (protesta, richiesta di risarcimento…). La teoria ha dimostrato che in un contesto aperto e non definito nel tempo, la strategia migliore non è imbrogliare il prossimo, ma cooperare; per esempio, io commerciante ti faccio il giusto prezzo e tu acquirente continui a comperare da me. Se il contesto è chiuso, e la relazione è temporalmente breve, è vincente invece dare la fregatura al tuo interlocutore, e come esempio mi viene in mente il tipico albergatore o ristoratore ottuso di Roma, che dà cibo cattivo a caro prezzo all’americano stupido, che tanto è solo di passaggio. Ovviamente non sto discutendo di etica o professionalità, ma di fredda convenienza sotto un profilo logico.
Supponiamo quindi che i topi-esseri umani, nel labirinto-mondo, abbiano un minimo di capacità di applicare una qualche forma istintiva di teoria dei giochi. La strategia è presto delineata: con un minimo di considerazione in merito al contesto, alle circostanze, etc. (ovvero: chi devo fregare e con chi devo cooperare?) il topo-umano fa i suoi calcoli: vado in ufficio in orario e faccio qualcosa in più del mio dovere, perché alla lunga verrò notato e promosso; oppure: arrivo al limite dell’orario e faccio il minimo, perché tanto non mi può licenziare nessuno. Strategie utilitaristiche. Che ovviamente possono essere state ben pianificate o sbagliate completamente (perché i topi-umani qualche volta sono furbi e intelligenti, qualche volta imbecilli).
Si può opporre che il mondo non gira in funziona dell’utilitarismo individualista, e che moltissime scelte e decisioni si compiono all’insegna dell’altruismo, dell’amore, della solidarietà e di moltissimi buoni sentimenti che coll’utilitarismo non hanno nulla a che fare.
Poiché non credo affatto a questa favola, devo soffermarmi sul mio differente punto di vista.
Avendolo spiegato per filo e per segno in un vecchio articolo, mi permettete qui una rapida sintesi: non esiste nessuna ragione alla morale (essere buoni, fare del bene…) ma solo un sentimento soggettivo che viene appagato da comportamenti definiti “buoni”:
ciascuno di noi si comporta non già in base a leggi universali di bontà e carità, che non esistono; ma in base al calcolo della convenienza. I deboli sopportano e soccombono; i più forti comandano e approfittano; in mezzo la grande massa che invoca leggi morali; ogni tanto; quando occorre. Tutti, comunque, accumunati da regole, leggi, princìpi (anche morali) sviluppare nei secoli (nei millenni) per consentirci una decente convivenza, utile sostanzialmente ai più (una teoria dei giochi su scala planetaria evolutasi nel tempo, con successi e insuccessi).
Chi sente autentico amore verso il prossimo, e realmente, fattivamente, continuamente, opera per migliorare le condizioni di costui, fa bene; lo faccia. È la sua natura, suo desiderio, suo appagamento anche narcisistico e va bene.
Chi non lo sente, e fa poco o nulla, non fa bene, naturalmente. Ma non fa neppure male. Ha una morale diversa, vive diversamente la sua condizione di membro di questa società. Questa, sia chiaro, è la condizione “normale”, della grande maggioranza di noi.
Chi scivola fuori da questa morale e ne vede con chiarezza l’origine convenzionale, vive sulla lama di un coltello, sempre in bilico fra una socialità disincantata e “fredda”, ma accettata, oppure fuori, scivolando nella marginalità, nella follia, nel Male.
Ho sviluppato in lungo e in largo questa riflessione su Hic Rhodus; oltre all’articolo già citato si può leggere:
Tornando ab ovo, sto asserendo che il comportamento umano:
- se ha una strategia, almeno di larga massima, è di natura utilitaristica;
- non troviamo un’uscita di sicurezza nella morale, perché anche l’adozione di strategie “morali” risponde a esigenze personali – in senso lato: utilitaristiche.
Se non fosse chiaro, non considero “utilitarista” il semplice vantaggio economico, o di potere, ma anche quello simbolico: prevalere in una discussione fra amici; avere un peso sostanziale nelle scelte domestiche; vedersi pubblicato un libro; dare la risposta giusta al momento giusto e azzerare l’avversario (questa è una regola dei politici nei talk show)… In ogni caso: sentire, percepire, credere, anche illudersi, di avere ottenuto un appagamento individuale.
Questo (non meglio precisato) “appagamento” ha a che fare con la chimica nel nostro cervello, la nostra intelligenza, e moltissime cose spiegate nei precedenti due post, ma – questo è il tema del presente testo – con un fattore che riguarda la nostra lettura del contesto. La nostra strategia utilitaristica riguarda un nostro comportamento (dire o fare qualche cosa) in un contesto: persone e relazioni. Se anche siamo guidati da pulsioni oscure che si agitano dentro di noi, poi il nostro desiderio di azione, e di affermazione, e quindi di appagamento, si misura con una realtà composta da molteplici soggetti che hanno – ciascuno a modo suo – altre mire, altri desideri di affermazioni, uno dei quali potrebbe essere il contenimento del nostro.
La capacità di leggere e interpretare questo contesto, per ottimizzare e finalizzare le nostre azioni, dipende fortemente dalla capacità di essere efficaci in tale interpretazione. Equivocare, non considerare le personalità e le possibili reazioni altrui, non avere informazioni adeguate (o averle e non comprenderle), può predisporre conseguenze drammatiche per ciascun attore sociale (ciascuno di noi).
Quando litigate col coniuge succede esattamente questo: aspettative inadeguate, informazioni carenti, equivoci sulle motivazioni altrui, supervalutazione di sé, desiderio narcisistico di primeggiare (indipendentemente dai perché si compiano questi errori), sono la prova del contrasto fra Ego che vuole emergere ed Ego incauto, ignorante, inesperto, non attento ai segnali, indisponibile a comprendere e imparare e così via.
Adesso potete traslare questo ragionamento su chi volete: Meloni, Putin, Bonaccini o Museveni; anche i potenti, i leader, sono mossi dalle stesse e identiche pulsioni e desideri e fantasie, con le medesime motivazioni. Se del loro livello personale poco ci importa, non sarà certo molto diverso dal nostro, il livello pubblico, politico, è semplicemente più complicato: servono più informazioni, serve una più alta capacità strategica a unire queste informazioni in un quadro di senso. Ma le informazioni non esistono in natura; le informazioni, i dati, sono costruzioni sociali; sono interpretazioni che qualcuno dà a qualche elemento sociale da lui osservato, e quindi si replica tutto il meccanismo informativo. Putin (o Meloni, o Museveni…) sa delle cose, o crede di saperle (più che altro ha dei desideri, delle ambizioni, delle frustrazioni, delle aspettative…), basandosi su consigli, dati, resoconti forniti da persone (ministri, burocrati, generali, amici…) che si basano su dati forniti da altri ancora (nessun generale o ministro va a raccogliere dati), e così via. In tutta l’azione pubblica c’è una lunga catena che va dalla costruzione dei dati di base fino al parere espresso dal leader, e in mezzo ci sono interpretazioni e omissioni, interpretazioni di interpretazioni e incomprensioni, equivoci e doli, trascuratezze e personali ossessioni. L’informazione finale, quindi, approssima la realtà, ma non è mai reale.
Consapevoli di questo problema, chi opera nella decisione in campo professionale o scientifico ha elaborate strategie e strumenti per minimizzare gli effetti distorsivi della carenza informativa e della sua non corretta interpretazione; strategie che mai, in nessun caso, possono eliminare il problema, ma solo renderlo palese e consentire “meta-strategie” parziali. A livello ordinario, invece, si notano individuo più perspicaci e attenti, altri più avventati e soggetti a clamorosi insuccessi, ma non si può parlare di strategie e strumenti.
Quello che ci deve preoccupare è il livello politico mondiale. I leader del mondo, pur col loro codazzo di esperti e tecnici, si approssimano assai più all’individuo ordinario che al tecnico, e tendono spesso a seguire i propri impulsi, intuizioni, desideri, anziché compenetrarsi con suggerimenti più prudenti e adeguati. Accade per la superfetazione egotica dei Putin, degli Erdogan, degli Xi, ma anche delle Meloni e dei Salvini, anche dei Bonaccini e così via. Non dico che i loro ego siano malati e che costoro siano delle cattive persone; acquisire livelli di visibilità e consenso, e poi di potere, incide come elemento fra gli altri (ma di particolare potenza) per farci diventare ciò che siamo. Poiché cerchiamo l’affermazione, riuscirsi ad affermare genera autocompiacimenti, sviluppa il principio di potenza, fornisce conferme su di sé, autostima, sopravvalutazione delle proprie capacità. Putin (e tutti gli altri) è certo delle proprie capacità, e ne ha conferma dalla posizione che occupa; tutti gli altri che osano dare consigli e fornire informazioni, mostrano – con la loro più bassa posizione sociale e politica – di meritare meno, di essere meno affidabili rispetto all’intuito del leader.
Si genera quindi la seguente condizione: tutti (io, voi, Putin…) cerchiamo di attraversare la vita ottenendo meriti, vantaggi, conferme. Qualcuno (tecnici, intellettuali, persone intelligenti) ha strumenti per elaborare strategie, e può offrire all’opinione pubblica e ai leader qualche timida e parziale suggestione, potenzialmente più adeguata del comune buon senso. Il problema è riconoscere chi possiede realmente tali competenze e capacità, in un oceano di ciarlatani, e successivamente saperne fare tesoro, superando le resistenze narcisistiche di Ego.
(Fine della serie. Per ora...)