Schierarsi e rovinarsi o stare e guardare e comunque morire

Avevo scritto un articolo sulla guerra in Medio Oriente, qualche giorno fa, e poi l’ho cestinato. Un mix di prudenza, da parte mia; di paura di essere frainteso (visti numerosi precedenti); di sensazione di inopportunità, vale a dire: in un mondo pluralista non si possono buttare giù con disinvoltura due righe sbrigative su un tema – la guerra – che non solo è drammatico e doloroso, ma anche così dannatamente complesso. Prendiamo il presente conflitto israelo-palestinese; le ragioni per le quali suscita passioni estreme, assai più della guerra in Ucraina, sono ben presenti nel mio pensiero, e al di là degli aspetti che per brevità definirei “oggettivi” (morte, devastazione, dolore…) sono incontrovertibilmente certo di una componente – nel giudizio che vedo prevalere – di carattere ideologico e pre-politico, che deplora la carneficina provocata inizialmente da Hamas, ma poi si schiera indefettibilmente con “la causa palestinese” esattamente allo stesso modo e per le stesse ragioni per le quali Que viva Cuba e ci si mette la maglietta del Che. Un mix di retaggio terzomondista trasmesso da intestino a intestino fra le generazioni, finito coll’essere un predigerito prêt-à-porter, confortevole, caldo, buono per tutte le stagioni senza il disturbo di arrovellarsi con un pensiero, non necessariamente “giusto” ma quanto meno approfondito. Ed è la questione del “giusto” (o sbagliato) a fregarci. È giusto accogliere i migranti; sì, ma quanti, e come? È giusto essere inclusivi; sì, ma in che senso e con quale attenzione alle conseguenze? È giusto stare coi deboli, è giusto combattere il cambiamento climatico, è giusto… La lista delle cose “giuste” è enormemente lunga, più o meno come la mancanza di riflessione sulla natura degli “oggetti” (fatti, gruppi sociali, azioni…), sulle loro cause, conseguenze prodotte, anche negative, dal nostro intervento a favore di tale “giustezza”. Ogni nostro intervento (legislativo, per esempio, ma non solo) comporta conseguenze che vanno nel senso sperato, e conseguenze che vanno nel senso opposto; e solo una profonda consapevolezza di tali conseguenze negative, e una loro serena valutazione, ci può indurre a interventi più meditati, più efficaci, con meno spese, meno disagi…

Il conflitto in Israele è un esempio cristallino dell’impossibilità di un giudizio netto: Hamas è una ghenga di assassini e l’ha dimostrato ampiamente. Ah, sì, però Israele ha fatto a sua volta un bel numero di morti fra i palestinesi, eh beh… si sa che che quelli sono spietati, ma le loro buone ragioni ce l’hanno, visto che da decenni vivono fra attentati e soprusi ai loro danni. Se la sono cercata, imperialisti, razzisti e fascisti come sono! Basti pensare agli insediamenti illegali in Cisgiordania. Ah, certo, gli insediamenti, in mancanza di una chiara definizioni dei due popoli e due stati, una soluzione che Israele era in procinto di accettare e che sempre è poi stata rifiutata dai palestinesi, a iniziare da Arafat. Ah, beh… ma i sionisti israeliti mica la volevano davvero, tant’è vero che sono arrivati in Palestina nel secondo dopoguerra in barba ai poveri palestinesi che già abitavano lì… E così via a ritroso, ogni torto giustificato da torti precedentemente subiti, e si arriva alla notte dei tempi. È la famosa “punteggiatura” che Watzlawick ci ha indicato nelle relazioni nevrotiche (l’ho spiegato in un post su un precedente infiammarsi del conflitto nell’area). Poi aggiungete le religioni. Aggiungete l’accomodarsi interessato delle potenze locali (Arabia, Iran) e internazionali (vedi la cinica posizione della Cina). Aggiungete una conoscenza minima, ma proprio basica, delle componenti islamiche (ci sono differenze abissali fra Hamas e Autorità palestinese; fra Hamas sunnita e Ezbollah sciita; etc.). 

Con tutto ciò, e con tutto quel di più che neppure ho citato, ma davvero, davvero, c’è moltissimo di più, sul serio decidiamo che uno dei contendenti ha torto sempre e comunque e l’altro ragione, senza se e senza ma?

Io non ci sto. Vedo – e le ho sempre indicate in post di anni fa – le enormi colpe di Israele, della sua anima sionista; e vedo – e vanno assolutamente ribadite – le enormi colpe dei dirigenti delle diverse organizzazioni islamiste in Palestina e fuori della Palestina. E, onestamente, trovo cinico, malevolo e fondamentalmente in mala fede giustificare, minimizzare, sorvolare e mettere in secondo piano il sanguinoso assalto di Hamas a centinaia di innocenti, in virtù del fatto che “però Israele ha le sue colpe”. La carneficina prodotta da Hamas è schifosa e senza alcuna scusa. E qui va messo un punto. Perché altrimenti cadiamo nella punteggiatura nevrotica di Watzlawick, nel terzomondismo dogmatico, nell’ideologismo. Ogni colpa va giudicata, senza sconti, e certamente ogni colpa ha delle “ragioni” (almeno per chi tale colpa ha commesso), ha a che fare con torti subiti, o che ritiene di avere subito; ma ciò non cancella, non giustifica, non mitiga l’approccio sanguinario al problema politico di Hamas, dell’Isis e dei molteplici gruppi islamisti che agitano il mondo. Lo ripeto: approccio sanguinario a un problema politico; problema politico che si andava risolvendo (a partire dagli accordi di Camp David) che i dirigenti palestinesi hanno in seguito rifiutato per uno schifosissimo tornaconto personale, lasciando all’inferno le popolazioni che pretenderebbero di rappresentare (gli attuali atteggiamenti di Hamas verso i palestinesi in trappola, con l’aggiunta della rigidità dell’Egitto – islamico, “amico” della causa palestinese, sia pure su posizioni moderate – dice tutto e di più).

Allora, il punto – riassumendo – è il seguente: abbiamo due torti (semplificando, ché le parti in campo sono ben più di due); torti non dirimibili, torti che hanno lasciato scie di morti da vendicare, torti per i quali in centinaia, in migliaia, ritengono valga la pena di morire per dare loro un senso. Non si può “parlare razionalmente” con Hamas per spiegar loro che hanno sbagliato e si devono fermare, chiedere scusa, e accettare un serio piano di pace e convivenza. E non si può “parlare razionalmente” con Israele, almeno al momento, un momento in cui stanno ancora seppellendo i loro morti e sono umanamente (che non significa giustamente) preda di un furore non diluibile nel buon senso, nella prudenza e nel perdono. Se la guerra non diventa un’ecatombe colossale (con l’invasione di Gaza via terra, per esempio) è solo per gli sforzi della diplomazia internazionale, probabilmente di giocatori – fossero anche simpatizzanti dei due contendenti – abbastanza accorti da ritenere troppo drammatico e pericoloso l’allargamento del conflitto. Vedremo se la diplomazia riuscirà nell’intento. Vedremo se le forze moderate in seno a Israele riusciranno a calmare gli animi. Vedremo se la mancata risposta palestinese alla chiamata alle armi di Hamas (il tiepido coinvolgimento dei palestinesi in Cisgiordania) li farà riflettere. Vedremo. Bene che vada, nuovi torti saranno stati aggiunti alla montagna di torti che sia Israele sia Hamas, sia gli ebrei sia i palestinesi, ritengono di avere subito. Bene che vada; credo che questa possibilità viaggi, al momento, sul 20%. Male che vada tutto sta per precipitare, con l’intervento di Hezbolla, dell’Iran, di chissà chi, con conseguenze imprevedibili (le due portaerei americane al largo di Israele cosa faranno?). Credo che lo scenario catastrofico abbia un altro 20% di possibilità, che non è poco. In mezzo (60%) una gamma articolata di possibilità disastrose ma non definitive; devastanti ma solo localmente; con conseguenze di conseguenze che comunque si dispiegheranno per anni nei rapporti internazionali, con attentati in Europa ma non troppi, con conseguenze per la guerra in Ucrarna, con conseguenze economiche e commerciali che si manifesteranno anche sul benessere di noi grassi occidentali e così via, in una complicazione ulteriore di quella complessità globale che sempre più diventa ingovernabile.


Sul concetto di complessità globale e – specialmente – sulla sua ingovernablità – ho scritto diverse cose qui su HR fra le quali: 


In questo fantasmagorico casino irrisolvibile, dove bene che vada siamo fritti, io mi interrogo su cosa possa fare io, piccolo borghesuccio di provincia. Ah, certo, leggere, farmi un idea e starnazzare su questo blog, questa è una cosa che posso fare. L’unica, credo. Ma il mio starnazzare che piega deve avere? L’accomodante buon senso di chi invoca quelle cose molto carine, amichevoli, che riscuotono molti like e qualche cuoricino? Cose tipo “Bisogna perseguire la pace con ogni sforzo possibile”, che valgono all’incirca come “La bellezza salverà il mondo” o come “Restiamo umani”, e siamo a livelli tipo “Nella carbonara ci va il guanciale”? Posizioni comode, o meglio: accomodate, accomodate nel pensiero facile, maggioritario, che non ha un briciolo di responsabilità nel cercare soluzioni operative e pratiche alle frasettine tanto sensate nel lessico quanto impraticabili nella realtà (“Accogliamoli tutti”); tanto di buon senso micragnoso ed egocentrico quanto idiote nel non tenere in minimo conto le conseguenze atroci che genererebbero (“La guerra in Ucraina non ci riguarda”); così maledettamente corrette, inclusive (diomiodiomio, l’inclusività!) e tanto, ma tanto, ma tanto davvero attente ai diritti delle donne e delle persone lgbtq+ (l’orrore della persecuzione di Kevin Spacey, malgrado l’assoluzione in due processi. Leggete QUI). E insomma, adesso arrivo al punto: bisogna schierarsi.

Bisogna schierarsi.

Non si possono scrivere tre pagine di sofismi – come ho fatto io – e rimanere a galla sulla base di quelli. Kevin Spacey avrà pure qualche torto e io “ne provo orrore”, scrive il titolare della sala dove si doveva proiettare l’ultimo film dell’attore. Allora, sia chiaro: io sto con Kevin Spacey, assolutamente, senza alcuna esitazione. Se poi ci saranno sentenze avverse, vedremo. Io sto con Israele – e scusate l’accostamento di argomenti così diversi – per la semplice ragione che sto con la cultura, i valori dell’Occidente. Sono etnocentrista? Non più di voi, ma specialmente sto con valori conquistati in secoli di lotte e sangue, che ci hanno portato all’idea di uguaglianza, democrazia, libertà, inclusione, diritti, e quindi libertà ed emancipazione delle donne, diritti dei migranti, integrazione fra popoli e culture, laicità dello stato e tutto quello che sappiamo (o dovremmo sapere). Ebbene: Kevin Spacey innocente sta ad Israele come il bigottismo moralista sta alla jihad. Sì, forse l’accostamento è ardito ma non voglio negarlo.

Bisogna stare con chi difende (fra errori, torti, sbagli) i valori non già dell’Occidente colonialista, imperialista, borghese, bensì dell’Occidente liberale, tollerante, inclusivo. Non c’è inclusività in chi crede che il problema di genere abbia natura etica, e non sociale; non c’è equità in chi pensa che gli islamisti combattano una battaglia di libertà, mentre sono solo vili macellai. I torti di Israele – tornando all’argomento principale – sono discussi democraticamente anche in seno al corpo politico israeliano; che poi il becero sionismo abbia a tratti la meglio non significa nulla (in Italia abbiamo Meloni, in America pare che avremo Trump…), se non che il popolo bue decide con la pancia, sia in Israele che in Europa e ovunque c’è democrazia (non certo in Cina, per capirsi…). A Gaza non si vota, non si dissente, non si discute; neppure in Russia, a meno che non siate stanchi di vivere…

Allora, nel precipitare di tutto il mondo, comunque vada, in posizioni più difficili, più drammatiche, più pericolose, bisogna schierarsi, e mi infastidisce chi sta un po’ qui e un po’ là, di fatto avallando tutto il male del mondo. Il male del mondo non lo si può sconfiggere con un’opinione, e questa è la mia dolorosa constatazione; ma il male del mondo non mi avrà ostaggio del pensiero mediano, perbenista, mai schierato perché non si sa mai, mai chiaro perché nelle fumoserie ci si può nascondere, sempre mainstreaming perché conviene, lo vediamo che conviene, si stanno costruendo fortune personali sul pensiero mainstream… No: io, mentre precipito assieme a voi, mi schiero. Contro Hamas e a favore di Israele.

Questo non mi impedirà di gridare allo scandalo per i torti di Israele; non rinuncerò a indicare il male di Israele, la sua violenza, la sua politica ingiusta. Ma questo mio denunciare è democrazia e libertà. Israele me lo garantisce. Anche l’Italia della Meloni me lo garantisce, e l’America di Trump… Non me lo garantisce il mondo arabo-islamico (qui potrei fare una digressione su Regeni e Zaki, ma mi avete capito), non me lo garantisce Putin e ugualmente Xi. Quindi: viva la libertà, la democrazia, la possibilità di pensare, ragionare, criticare e semmai sbagliare, comunque: fare politica. Viva questa libertà. Che è praticabile in Israele, ma mai a Gaza.