Renzi: spending review sì, tasse occulte no!

Passato qualche giorno dalla vivace presentazione con cui Matteo Renzi ha esposto la ben nota serie di misure che ha in programma, a partire dalla riduzione delle tasse per i redditi più bassi (su questo sono state avanzate valide osservazioni altrove), vorrei concentrare la mia attenzione piuttosto sulle risorse che dovrebbero essere impiegate per coprire i costi del taglio delle tasse annunciato dal Presidente del Consiglio. Era stata infatti prospettata una riduzione “epocale” della spesa, ma poi sui risultati della spending review presentati da Cottarelli al Senato Renzi ha mostrato una notevole prudenza, attirando semmai l’attenzione dei media soprattutto sulla riduzione degli stipendi ai manager pubblici, misura certamente molto popolare. E persino il Presidente della Repubblica è intervenuto contro i “tagli immotivati” alla spesa (chissà se ci è lecito dire che è la spesa a essere spesso immotivata).

Quindi, vediamo: cosa c’è davvero nella famosa spending review? Proviamo ad analizzare meglio le famose 72 slide di Cottarelli.

Una premessa doverosa, anche se dovrebbe essere scontata: c’è bisogno di tagli alla spesa? Certamente sì. Ci sono stati sinora tagli reali alla spesa? Praticamente no. La grande maggioranza dei tagli di cui si è parlato negli ultimi dieci anni sono stati “tagli degli aumenti” e non vere riduzioni della spesa (di illusorie riduzioni di spesa abbiamo già parlato qui). Passiamo ora al “dossier Cottarelli”.

Innanzitutto, partiamo dalla tabella di sintesi che probabilmente avrete già visto sui giornali: spending review

Come si può vedere, le voci sono molte, ma quelle quantitativamente significative sono poche: proviamo a guardarle più da vicino, partendo da quelle che costituiscono il grosso dei 7 miliardi relativi al 2014 (teorici, perché calcolati come se fossero stati applicati dal 1 gennaio! Sia Renzi che Cottarelli hanno indicato in circa 3 miliardi una cifra più realistica per l’anno in corso).
Dunque:

  1. 1,4 miliardi (il 20%) verrebbero dai tagli ai trasferimenti alle imprese. Le imprese stesse si erano dichiarate favorevoli all’abolizione di questi sussidi se fossero stati convertiti in benefici fiscali concreti (per le imprese).
  2. 1,8 miliardi (il 25,7%) verrebbero, in diverse forme, dal sistema pensionistico, in particolare da un “contributo temporaneo” a carico delle pensioni sopra i 26.000 Euro lordi all’anno. Su questo punto ci soffermiamo, perché è una delle cartine di tornasole del lavoro di Cottarelli.
  3. 0,8 miliardi (l’11,4%) verrebbero da risparmi sull’acquisto di beni e servizi, riducendo drasticamente e centralizzando le “centrali appaltanti”, ossia chi può fare acquisti.

Il resto dei 7 miliardi verrebbe da numerosi contributi più piccoli che non vale la pena di analizzare uno per uno; osserviamo invece sommariamente che rivedere e rendere più efficienti i meccanismi di acquisto è sicuramente positivo, specie se si ridurrà strutturalmente il numero di centri di acquisto; che le razionalizzazioni amministrative sarebbero benvenute (a patto di non comportare estenuanti trattative con sindacati e lobby); che sul “declassamento” delle province il Governo sta combattendo in Parlamento contro l’ostruzionismo di Forza Italia, l’opposizione (per opposte ragioni) di Lega e M5S, e qualche defezione, mentre fuori dal Parlamento si levano voci critiche anche autorevoli sui risparmi piuttosto limitati che ne conseguirebbero. Che la linea del Governo prevalesse sarebbe almeno un segnale che interventi sono possibili.

Soffermiamoci invece su due punti del documento Cottarelli: quello che c’è e non dovrebbe esserci, e quello che dovrebbe esserci e sostanzialmente manca.

Quello che c’è, e pesa considerevolmente, è un intervento sulle pensioni. A parte il sacrosanto contrasto delle pensioni per invalidità fasulle, il grosso dei risparmi sulle pensioni è costituito dal “contributo temporaneo” prima (temporaneo è parola che in Italia fa correre i brividi lungo la schiena) e dal taglio alle indicizzazioni poi. In sostanza, da 1,4 miliardi nel 2014 a 2 miliardi l’anno a partire dal 2016.

Ebbene, bisogna dire con chiarezza che entrambi questi interventi non sarebbero tagli alla spesa pubblica: sarebbero nuove tasse, tasse occulte a carico di chi peraltro non può neanche lavorare di più per compensare il maggior onere, e bene ha fatto Renzi a smentire di voler applicare il “contributo”. Sarebbero tasse perché le pensioni sono reddito differito, almeno nella misura in cui sono frutto dei contributi che versiamo e non un’erogazione assistenziale. Peraltro, è istruttivo leggere nelle slide di Cottarelli le considerazioni portate a sostegno di questa proposta:

  1. Le pensioni italiane sono tra le più alte d’Europa rispetto al reddito prima della pensione (ma in Italia i contributi sono praticamente i più alti d’Europa, anzi del mondo, v. la tabella a pag. 169 del rapporto OCSE 2013 sulle pensioni);
  2. I pensionati e in particolare i nuclei familiari con almeno un pensionato riescono a risparmiare più di quanto facciano gli altri, insomma sono meno colpiti dall’impoverimento degli ultimi anni.

Quindi, la tesi di Cottarelli non è tanto che una tassa addizionale sulle pensioni sia giustificata, ma che i pensionati se la possano permettere. Anche noi di Hic Rhodus a suo tempo abbiamo analizzato i dati che mostrano che i pensionati sono stati meno colpiti dall’aumento della povertà, ma questo non è un buon motivo per una tassazione selettiva a carico di coloro che superano una certa pensione indipendentemente da quanto abbiano versato di contributi; semmai, ci sarebbe da fare un ragionamento più complesso, perché effettivamente il sistema pensionistico così com’è non è sostenibile, e ci sono forti sperequazioni di trattamento tra chi percepisce molto di più di quello che ha versato e chi invece no. Questa dovrebbe essere la vera discriminante in qualsiasi valutazione; noi di Hic Rhodus ci riserviamo di riprendere l’argomento in un post apposito.

L’altro punto preoccupante è cosa manca nel documento di Cottarelli: non c’è praticamente nulla relativamente all’applicazione di criteri standard per livelli di servizio e costi nei principali servizi pubblici. C’è un riferimento alla “piena applicazione dei costi standard nella Sanità”, come se fosse qualcosa di ben definito e già incorporato nel Patto per la Salute concordato tra Ministero e Regioni. Invece, come ha riferito a suo tempo il Ministro Lorenzin in Parlamento, il Patto fissa un budget già stabilito, e naturalmente crescente, per i prossimi anni: 109,902 miliardi per il 2014; 113,452 miliardi per il 2015; 117,563 miliardi per il 2016 e 122 miliardi per il 2017; anche se a questi numeri venissero applicati i modesti tagli proposti da Cottarelli, la spesa sanitaria aumenterebbe, altro che scendere: sarebbero come dicevamo sopra “tagli degli aumenti”. Tutto questo, con buona pace dei costi standard, la cui applicazione fittizia a posteriori rischia semmai di penalizzare le regioni più virtuose, come abbiamo già fatto notare.

In sintesi: il lavoro di Cottarelli a mio avviso contiene molti elementi applicabili subito, e per molti altri lascia assai a desiderare. Mi pare comprensibile che Renzi non si sia voluto impegnare a dargli attuazione “a prescindere”, ma così facendo ha ulteriormente indebolito la prospettiva di tagli credibili, sostanziali e strutturali alla spesa, che sono a mio parere una condizione essenziale per poter ridurre le tasse migliorando contemporaneamente il nostro bilancio pubblico. Rimane infatti intatta e inesplorata la giungla di sprechi a livello delle amministrazioni locali, che è quella in cui davvero occorrerebbe incidere, purché sulla base di criteri di efficienza e non semplicemente con tagli lineari. Perché una cosa è certa: tagli strutturali e consistenti alla spesa pubblica italiana sono indispensabili. Non tutto quello che scrive Cottarelli va bene, ma quello che va bene va fatto subito, e bisogna fare anche molto altro.

E si può fare, volendolo.