Poche considerazioni sull’Islam moderato, il suo silenzio e la nostra stupidità

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1) Solo una persona in malafede può non riconoscere l’esistenza di un Islam moderato. Anzi: le persone di fede islamica (nelle sue varianti) che desiderano vivere “normalmente”, lavorare, crescere i propri figli e pregare il proprio dio in santa pace sono la stragrandissima maggioranza. Sia in Medio Oriente e altre aree calde sotto il profilo militare (notoriamente i numeri di musulmani uccisi da terroristi jihadisti sono altissimi), sia ovviamente in Occidente dove moltissimi sono arrivati, prima della crisi siriana, come speranzosi migranti desiderosi di farsi una vita dignitosa e dare un futuro ai propri figli. Ogni equivalenza Islam = terrorismo è, nella sua palese falsità, una mistificazione volta a turbare le coscienze, impaurire, creare reazioni islamofobe buone per regalare voti a Meloni e Salvini. Non è roba da persone intelligenti.

2) Tutte le religioni sono, o sono state, violente; tutti i libri sacri contengono indicazioni violente (per il cristianesimo ciò vale per la Bibbia, meno per i Vangeli). Questa dichiarazione è estremamente facile da mostrare. La storia mostra atrocità cristiane del passato, ma non pochi delitti commessi da fondamentalisti cristiani al giorno d’oggi (per esempio negli Stati Uniti contro medici abortisti); i buddisti, considerati mansueti nell’immaginario collettivo, sono parimenti responsabili di gravissime atrocità, come lo sterminio e poi la deportazione dei Tamil in Sri Lanka; eccetera per le altre religioni. Quando quindi Magdi Allam sottolinea la violenza del Corano, lui che certamente lo conosce bene, fa bene per smascherare interlocutori che mistificano la realtà della loro religione, ma dice anche lui solo mezze verità. Questo elemento è fondamentale per capire il fanatismo e l’estrema difficoltà a sradicarlo quando è un fanatismo religioso.

3) Ci sono differenze storiche fondamentali fra Occidente e Islam. L’Occidente ha lottato secoli, pagando fiumi di sangue, per separare fede e scienza, chiesa e stato, religione praticata e sfera laica. In Occidente oggi puoi credere nel dio che vuoi, puoi non credere in dio, puoi credere in un dio parodistico come il Prodigioso Spaghetto Volante senza essere imprigionato per blasfemia. Lo Stato è separato dalla Chiesa al punto che le innegabili interferenze che, in particolare in Italia, turbano la sensibilità dei laici sono, appunto, un segno della libertà (certo: da sostenere e difendere) e non del dispotismo ecclesiale che vediamo in altri paesi mediorientali. Nei paesi islamici questa elaborazione non è mai avvenuta a livello collettivo. Ci sono indubbiamente intellettuali islamici (pochi, e generalmente vivono in Occidente) critici e laici; ci sono paesi islamici pacifici e moderati dove si pratica la tolleranza interreligiosa (pochissimi, stanno comodamente sulle dita di una sola mano); ma in generale i paesi islamici sono teocrazie più o meno tolleranti, a volte rigide e sostanzialmente autoritarie. Questa riflessione sui testi sacri, per esempio, non c’è stata. Oggi un cristiano fondamentalista che uccida un medico abortista perché “è scritto nella Bibbia” va in galera di filato; nessun giudice occidentale potrebbe trovare appigli giuridici, nella fede dell’assassino, per limitare la condanna. La Bibbia contiene violenze giudicate, dai teologi, nel loro contesto storico; interpretate come insegnamenti di dio a volte allegorici; o legati a contesti superati. Per i musulmani raramente è così: se il Corano dice una cosa quello è il volere di dio; si può ignorare, si può fingere che non ci sia scritto (i moderati fanno così, mica vanno in giro ad ammazzare i milioni di blasfemi che li circondano a Milano, a Parigi o a Berlino), ma in Siria, in Iraq, in Afghanistan quella è la parola di dio equivalente a prescrizione.

4) Che lo straordinario bordello cui stiamo assistendo sia in realtà la propaggine di una grande guerra interna all’Islam è piuttosto noto, e le ragioni del terrorismo in Europa, e dell’accanirsi in particolare contro la Francia, è oggetto di analisi diverse ma abbastanza chiare (questa di Fubini, per esempio, mi sembra abbastanza convincente). Questa ovviamente è la cornice giustificativa di fondo, che fornisce una plausibilità anche a cani sciolti di incerta fede jihadista e con probabili crisi di personalità come pare essere il caso di Nizza, ma il fatto che la semplice disperazione individuale o il generico nihilismo inducano atti terroristici di questa specie non cambia la sostanza dei fatti. Questa considerazione non ci aiuta molto a salvare vite nell’immediato ma dovrebbe aiutarci a mettere la questione del terrorismo islamista al centro dell’agenda politica internazionale. Il terrorismo islamista ha due pilastri fondamentali: quello militare del Califfo in grave crisi, rispetto al quale l’Occidente poteva probabilmente fare di più ma che è comunque destinato a chiudersi, almeno in questa forma (ma il mostro è proteiforme, rinascerà in qualche modo…); e quello “politico” notoriamente identificato nel regno Saudita, Qatar e Kuwait, con complicità di altri paesi Turchia inclusa. È noto; è provato. Eppure continuiamo a fare affari con loro, a comperare il loro petrolio forzatamente venduto a basso prezzo in funzione anti-russa, a vendere loro asset occidentali. Pecunia non olet? Allora non lamentiamoci troppo. Certo la questione è complicatissima, proprio per gli intrecci con politiche ramificate che vanno ben al di là del Medio Oriente e del petrolio; nessuno pensa che possiamo mettere la parola “fine” dall’oggi al domani ai rapporti con i sauditi, ma non si può neppure seriamente pensare di essere impotenti e di continuare a essere irrisi e aggrediti.

5) La sconfitta militare del Daesh e delle sue succursali, e una posizione chiara, netta e dura dell’Occidente verso i sauditi e altri mascalzoni costituisce la precondizione per la vittoria contro il terrorismo jihadista. È ovvio che cellule, gruppi, singoli individui continueranno per anni, più o meno sostenuti da condizioni generali, in Medio Oriente, di sfacelo, malcontento, odio verso gli occidentali, sentimenti identitari, non certo privi di ragioni, visti i disastri compiuti da noi nell’ultimo secolo nelle loro terre. La maledetta guerra voluta da Bush e Blair sono l’esempio più recente dei disastri che facciamo noi, e dobbiamo averne consapevolezza; la piaga purulenta della questione palestinese è lì che grida vendetta da decenni nella sostanziale indifferenza, o impotenza, occidentale. Anche le stratosferiche ricchezze dei principi sauditi nel deserto di miseria del loro popolo sono un’ingiustizia stridente che produce disperazione e potenziale eversione con responsabilità anche occidentali.

6) Ciò detto, e tornando ai musulmani moderati, la comprensione del loro fare o non fare, del loro dire o non dire, deve essere inquadrato nelle condizioni storiche e culturali sopra menzionate. Ciò consente di capire il loro sostanziale silenzio. In linea di massima, e fatte salve poche voci isolate, dopo ogni strage compare un tiepido messaggio di cordoglio sul sito dell’Ucooii; qualche personalità musulmana viene intervistata e si affanna a dire che loro sono buoni e che non vogliono diventare bersaglio di stereotipi islamofobi (più che giusto, per carità). Poco altro. Io credo che non basti.

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Il cordoglio sulla home page Ucooii. In realtà fermo ai fatti di Novembre 2015 del Bataclan.

La comunità islamica è una comunità chiusa, nel senso che è esclusiva, poco integrata, solidale, come capita ai nuclei stranieri particolarmente identificabili (come per esempio anche i cinesi) che tende a proteggersi e sostenersi. Possiamo dire, generalizzando solo un poco, che si conoscono tutti? Possiamo dire che conoscono benissimo gli imam che diffondono messaggi di odio, i disadattati che sentono forte il richiamo del Daesh? Anche se l’analogia è solo in parte pertinente vorrei ricordare gli anni di piombo, che ho visto molto da vicino essendo di quella generazione là. Ricordo benissimo “i compagni che sbagliano” e “né con lo Stato né con le Brigate Rosse”; messaggi ambigui, posizioni ipocrite di cui la sinistra riuscì a liberarsi con fatica, con uno strappo doloroso che costò sangue anche a sinistra e nel sindacato, ma che pose le basi per quell’isolamento dei brigatisti che fu precondizione necessaria alla loro sconfitta. Gli islamici moderati dovrebbero fare lo stesso: no generico cordoglio ma chiaro incitamento a denunciare, o quanto meno isolare, i fanatici e i violenti che sono in mezzo a loro. Qualche caso c’è, naturalmente, ma si tratta di casi, e non di una compiuta elaborazione collettiva, perché il senso di appartenenza a una stessa fede, vissuta come fonte primaria di ispirazione non separata dalla sfera pubblica, civica, impedisce il “tradimento” di confratelli.

Tutto questo è difficilmente superabile anche col tempo. Anche se l’Occidente saprà sostenere, e includere gli stranieri, in questo caso gli islamici, fornendo adeguate opportunità di istruzione, integrazione, lavoro, resterebbe il collegamento coi paesi d’origine, l’afflusso di nuovi migranti non cresciuti e non educati nell’esempio tollerante e inclusivo. L’azione occidentale dovrà quindi essere duplice: di integrazione da noi, e di politiche internazionali previdenti e lungimiranti in Medio Oriente. Esattamente il contrario di quanto fatto fino a oggi.

Ma poiché sono realista, e al di là di ciò che desidero, o che riterrei logico ed efficace, comprendo che il mondo funziona, male, con criteri affatto diversi, immagino un futuro sempre più cupo, dove l’asticella dello scontro si alzerà fino a un punto di rottura che determinerà, anziché scelte lungimiranti, disastri irreparabili.

Risorse:

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