Viva Trump, esempio plastico di democrazia (questo post, comunque, non parla di Trump)

Trump giura. Scontri in strada a Washington (e altrove). Perché? Contro chi si protesta? Non contro Trump, evidentemente, perché è stato legittimamente eletto tramite democratiche elezioni che il Donald ha vinto alla stragrande. Che senso ha vantarsi della propria democrazia, fare (alcuni) gli attivisti, andare (non tutti) a votare, e poi andare a inscenare una piazzata per beccarsi qualche bastonata dagli zelanti officer americani e non cambiare, ovviamente, assolutamente niente? Parlo di Trump ma vale per innumerevoli altri casi – tantissimi in Italia – in cui si invoca la democrazia prima, poi se ne contesta il risultato se si perde. Anche se i contestatori non se ne accorgono la loro protesta non è contro Trump (in questo caso) ma contro la democrazia che li ha fregati. Fregati. Illusi, presi in giro, gabbati, subornati, circuìti. Ma come – dicono i protestatari – ho creduto che vincesse il migliore, vale a dire io, noi, il mio campione, il mio rappresentante il mio partito la mia idea la mia visione del mondo così giusta, così chiaramente utile buona altruista necessaria anzi, che dico: fondamentale! E invece… hanno vinto lorooo?

Ho scritto tante volta di “problemi della democrazia”, qui su HR, e non vorrei ripetermi (segnalo in fondo alcuni testi che reputo utili, specie per i lettori che non ci seguono con continuità). Malgrado la massima (coniata da Churchill) sulla democrazia “pessimo sistema eccettuati tutti gli altri”, la scomoda verità è che non abbiamo alternative. Credibili, possibili.

Le democrazie occidentali sono riuscite a conquistare la separazione fra poteri, il suffragio universale, la libertà d’opinione e di associazione e pochi altri pilastri del concetto di |democrazia| sufficienti a farci capire che i paesi europei (dove più e dove meno) sono democratici, come democratiche sono il Nord America, l’Australia eccetera, mentre qualche dubbio possiamo cominciare ad averlo sulla Russia e la Turchia e una quantità di paesi mediorientali, e sul Nord Corea e alcuni altri paesi-galera i dubbi evaporano nella certezza della loro estraneità a qualunque concetto democratico.

Quello che le democrazie non hanno previsto, non hanno saputo elaborare e ora non sanno assolutamente affrontare, sono le conseguenze politiche della complessità sociale. Oggi che il mondo è esploso come informazione, attori rilevanti, intrecci economici, potenzialità tecnologiche, pluralità dei possibili percorsi individuali ecco: oggi la democrazia non si presenta più come “popolo che si autodetermina” (ammesso che mai si sia compiuta questa utopia); oggi il popolo non è un insieme di uguali che si incontra nell’agorà per informarsi, discutere e decidere; oggi il popolo è una pluralità di diversi che oscilla senza sosta da un’agorà all’altra, ricevendo e distribuendo informazioni differenti e contrastanti, moltiplicando spezzoni incoerenti di dati, stimoli, contraddizioni, aumentando con ciò la complessità stessa.

L’elemento da osservare è la diversità degli individui all’epoca della complessità: una diversità di cultura, di educazione, di intelligenza, di professione, di competenze che era inimmaginabile anche solo 50 anni fa. Oggi ricopriamo ruoli, svolgiamo funzioni, ci occupiamo di problemi assolutamente nuovi ed eccezionalmente parcellizzati. Oggi – nell’epoca della massima comunicazione possibile – l’informazione è con tutta evidenza ridotta e confusa, difficilmente distinguibile dall’enormità del rumore di fondo; oggi occorre una grande competenza (e molto tempo) per poter approfondire con una qualche fortuna una notizia. Oggi la gran massa delle persone, semplicemente, non sa, e non sa di non sapere. Le ricadute politiche (e gli effetti per la democrazia) sono chiari. Insomma, credete che il popolo, nel senso della pluralità dei cittadini che lo compone, ovvero ciascun dannato cittadino di qualunque paese, sappia veramente, ciascuno, di cosa si parla quando va a votare? Pensate che i perfidi albionici abbiano (tutti) saputo cosa significasse votare la Brexit (indipendentemente dalla Brexit in sé, se sia stata giusta o no)? Pensate veramente che tutti i difensori della Costituzione più bella del mondo sapessero veramente per cosa andavano a votare il 4 Dicembre? Qui vi frego, visto che so per certo che almeno il mio idraulico non lo sapeva, perché l’ho interrogato in proposito mentre mi aggiustava lo scarico del water: non sapeva cosa diavolo fosse il Titolo V, non sapeva delle Province, sapeva solo che il Senato andava abolito del tutto, mentre così come si è messa la storia, un po’ a metà, non gli piaceva, e quindi ha votato “No”. Bingo! Che voi siate stati sostenitori del “Sì” o del “No”, renziani o antirenziani, è un dato di fatto che una grandissima parte di coloro che hanno votato lo hanno fatto con grave carenza di informazione e competenza. Competenza. Per carità, non competenza da giuristi, ma semplice competenza da elettori che sanno.

Le condizioni per rendere tutti (ma proprio tutti) gli elettori ugualmente competenti almeno entro un minimo accettabile (diciamo: abbastanza di più del mio idraulico) sono abbastanza facili da riassumere ma (io così credo) impossibili da concretizzare: occorrerebbe un’ipotetica informazione neutrale e capace di spiegare con neutralità (terzietà) le vicende politiche; servirebbe una base di cittadini non solo disponibile a leggere ma anche in grado di capire. Entrambe queste condizioni sono impossibili. La prima è una chimera: è evidente che – grave fenomeno delle bufale a parte – qualunque organo di stampa, forza politica, gruppo di cittadini eccetera ha diritto di esprimere le opinioni che crede, anche a costo di forzare la realtà, infierire sugli avversari, calcare la mano sul proprio punto di vista. Così i lettori di Libero finiscono per confermare un loro determinato punto di vista differente dai lettori dell’Unità, i telespettatori di Rete4 diversamente da quelli di Rai3, i frequentatori del blog di Grillo molto diversamente dai frequentatori di Hic Rhodus. Si chiama libertà d’espressione, un pilastro della democrazia. Per discernere il grano dal loglio occorrerebbe quindi comparare molteplici fonti informative (cosa che il 90% della popolazione non ha tempo e modo di fare) e poi bisogna capirle; ma con il dilagare dell’analfabetismo funzionale (in Italia si parla del 47%) abbiamo perso in partenza.

La democrazia perde a causa delle sue premesse (i cittadini elettori nell’epoca della complessità sociale). I cittadini – tranne gruppi minoritari – sanno poco, non sempre capiscono, si informano in modo stereotipato presso fonti che confermano i loro stereotipi e pregiudizi oppure non si informano proprio, giudicano umoralmente sulla base di frammenti sparsi e incoerenti di protoinformazioni (il titolo letto sul giornale dimenticato sul treno, il commento dell’amico al bar, il pistolotto del cognato che ha l’amico assessore e che quindi sa sempre tutto…). Se la democrazia è quindi il volere del popolo (come insegnano la vulgata e il vocabolario Treccani) le cose vanno bene così: il volere del popolo è quello espresso, consapevolmente o no, attraverso il voto (informato o disinformato, competente o umorale) qualunque sia il suo esito. Ma se la democrazia fosse invece il buon governo nell’interesse del popolo, realizzato con la partecipazione attiva del popolo, allora siamo lontanissimi dal poterci chiamare democrazia.

Torno a Trump per dire che è il democratico presidente del più democratico fra i paesi dell’Occidente (per definizione tutti democratici); l’avete eletto? Tenetevelo! E non venitemi a dire “No, io ho votato Clinton” perché è una fesseria. Quando comperi il gratta-e-vinci speri di ricevere il superpremio, ma se gratti a vuoto accetti di avere sprecato i tuoi soldi, sai che sono le regole, mica te la prendi col tabaccaio e chiedi di essere rimborsato. Quando vai a votare accetti l’esito della gara e l’eletto è anche tuo, è anche frutto del tuo voto contrario, proprio perché ne hai accettate le regole. I romani si tengano la Raggi perché tutti l’hanno eletta, anche chi ha votato Giachetti, anche chi non è andato a votare. E state contenti che siete nel peggior sistema politico eccettuati tutti gli altri. State comunque meglio dei russi e dei turchi, e molto meglio dei nordcoreani, quindi non lamentatevi troppo. Hanno vinto gli imbecilli? Hanno vinto gli ignoranti, i populisti, i demagoghi? Perché vi lamentate? Cosa abbiamo fatto, in concreto, ciascuno di noi, per migliorare la democrazia a partire dalla nostra città, dalla nostra strada, dal rispetto quotidiano delle regole basilari della convivenza, dal rifiuto delle idee basate su a priori, dal sano relativismo e dell’inclusione, dall’usare la testa e non la pancia? La Democrazia, quella importante e vera, non si sostanzia in una forma di stato e di governo se prima non è assolutamente incarnata in ciascun individuo, che agisce la democrazia in tutti i suoi atti quotidiani, professionali e domestici, pubblici e privati, rendendo tali atti educativi.

E quindi: viva Trump. Speriamo di essere tutti qui fra quattro anni, perché le premesse non sono buone.

Problemi della democrazia su Hic Rhodus:

Risorse esterne: