5 temi per l’opposizione che verrà. 2 – Sicurezza e libertà

La gente vuole sicurezza. La gente si sente minacciata, in pericolo, esposta. La gente ha paura. Domando: ma ‘sta ‘gente’, dove diavolo vive? Uno dei grandi temi populisti è l’insicurezza diffusa che chiede maggiori interventi di controllo, protezione e repressione da parte dello Stato, da cui segue: no migranti (ne abbiamo parlato nella precedente puntata), armi a tutti (ne parleremo nella prossima) e così via. 

Anche se è facile spiegare ai lettori di HR che le cose stanno diversamente, evidentemente non è altrettanto facile spiegarlo a una discreta quantità di cittadini che finiscono coll’accettare, assieme a più sicurezza, anche meno libertà.

Non so se è chiara l’equazione: più sicurezza = meno libertà. Di questo ho trattato abbastanza approfonditamente tempo fa, in un post che vi invito a rileggere. Più sicurezza significa infatti più controlli, più sbarre, più limitazioni delle libertà personali. E anche il semplice fatto di essere ormai videosorvegliati in qualunque angolo cittadino, non so a voi ma a me dà fastidio, anche se sappiamo come molti malviventi sono presto rintracciati proprio grazie a quelle telecamere.

La paura ci limita; abbiamo paura dei terroristi e non andiamo all’estero. Abbiamo paura dei malviventi e riempiamo casa di inferriate e dispositivi. Abbiamo paura della nostra ombra e ciò è in sé un limite, un confine alla libera azione.

Checché ne pensiate questa dell’insicurezza diffusa è una di quelle panzane colossali (come quella sugli immigrati) che fanno il successo dei populisti grigio-neri al governo.

Purtroppo questo – è praticamente un caso di scuola – è un argomento sul quale i dati statistici non contano un fico secco. L’Italia è uno dei paesi più sicuri al mondo in quanto a delinquenza violenta (qui i dati, non più recentissimi ma sufficienti); si muore ammazzati – per capirci – molto (ma molto) meno di altri paesi europei (specie dell’Est), in un continente dove si muore violentemente meno (ma molto) che in altri. Ciò non significa che non esistano i problemi. Ed è qui, nell’eccessiva (ma necessaria) sottigliezza che vincono gli allarmismi populisti.

L’Italia è un paese relativamente sicuro (comparandolo con altri) ma non lo è in senso assoluto; ovviamente sappiamo tutti della criminalità organizzata e il suo radicamento sul territorio (si può vedere un caso QUI); è nota la violenza della malavita romena (ne abbiamo parlato QUI) mentre oggi si è prepotentemente affacciata alla ribalta la criminalità nigeriana. Il racket degli extracomunitari mendicanti è noto a tutti. Le donne sono assai più sicure in Italia che altrove (QUI dati sul femminicidio, e QUI sugli stupri) ma un femminicidio ogni due giorni circa è assolutamente intollerabile. Le rapine in villa – già poche in valore assoluto – sono in calo, ma sono spesso efferate e violentissime e rimbalzano con grande evidenza nella cronaca.

Quello che sta cambiando – come testimoniano anche i dati Istat – riguarda la piccola criminalità e la sua evidenza, la sua visibilità. Le zone di spaccio, note e intoccabili; le zone della prostituzione; le gang malavitose che si accoltellano di notte, sia di extracomunitari che di giovani italiani (QUI). Poi il fenomeno dell’inedita violenza contro gli insegnanti (QUI), la cresciuta conflittualità sociale fino al clima complessivo sui social, dove il fenomeno degli “odiatori” è diventato di massa (QUI).

Ecco l’origine della “percezione” di insicurezza: microcriminalità, conflittualità, comunicazione ostile nell’ormai onnipervasiva Rete. Tante piccole seccature, qualche litigio, l’osservazione diretta della maleducazione, del furto sulla macchina lasciata 5’ davanti alla scuola, della prostituta davanti alla pizzeria, la consapevolezza che di notte, in quella zona della città, è meglio non andare, la percezione di non essere protetti, che la polizia non si vede, che non sei garantito… Tutto questo, che fa ormai parte del panorama cittadino abituale, crea una continua “frizione” nelle nostre coscienze, alimenta l’incertezza anche senza l’eclatante omicidio, anche senza la rapina in banca o in villa, anche senza che si sia mai incorsi in seri incidenti o in coinvolgimenti gravi in risse.

Se allora, a sinistra, si cerca di minimizzare, o semplicemente non si considera questo sentire diffuso, si perde. Perché si è spezzato il contatto col popolo. Se si citano dati Istat rassicuranti a gente che ha appena avuto l’auto vandalizzata, il cane avvelenato, il portone di casa sporcato di urina, il figlio da accompagnare fin dentro la scuola perché girato l’angolo si spaccia… ecco, è ovvio che si comunica non solo male, ma proprio in modo errato. Non ha importanza se le vittime (nel senso di morti ammazzati) son pochi (e per fortuna!) ma quanti sono esasperati di non vedere i poliziotti in azione, i quartieri dello spaccio recuperati, gli spacciatori che non escono di galera il giorno dopo.

Come reagire? Come proporre una politica di contrasto a questo malessere? Analizzando cause e meccanismi sociali. Per esempio: perché è così difficile perseguire gli spacciatori e tenerli in galera? Com’è possibile che persone chiaramente disturbate abbiano ottenuto il porto d’armi? Perché quell’ubriaco ha potuto investire e uccidere persone quando aveva avuto precedenti analoghi? Perché è così facile e sempre (o quasi) impunita la minaccia personale, via web, posta e simili? Perché? Perché? Forse ci sono alcuni problemi strutturali di questo tipo:

  • una legislazione non adeguata;
  • una magistratura impreparata;
  • forze dell’ordine non coordinate, non sufficienti, non ben guidate;
  • un’amministrazione ottusa.

Se questi punti (o altri, oppure meglio espressi) fossero quelli fondamentali, ebbene su ciascuno di questi occorre una proposta politica, integrata con le altre. L’opposizione al populismo non deve cavalcare un populismo di segno contrario, o l’ideologismo negazionista. Finché la gente vede i disgraziati chiedere l’elemosina davanti al supermercato – per dire – avrà la percezione che nulla si fa, che i problemi restano. Questo fa moltissimo gioco a Salvini, ovviamente, che col decreto sicurezza altro non ha fatto che creare le condizioni per maggiore e più visibile disagio sociale. Dall’altra parte qual è la proposta? Non certo rastrellare e punire quei mendicanti (restando su questo esempio), che sono l’anello debolissimo di un racket che pure dovrà esistere da qualche parte ma forse, e appunto, indirizzare le indagini e la repressione verso chi fa quell’indecente traffico di persone. 

Gli oppositori di Salvini dovrebbero incominciare a puntare con fermezza il dito sulle cause del disagio; i racket, non i mendicanti e le prostitute; le condizioni indecenti dell’accoglienza che conducono alla clandestinità e quindi al caporalato e allo sfruttamento, e non i singoli extracomunitari in balìa di forze enormemente superiori alla loro personale capacità di opposizione; le pratiche amministrative ottuse e obsolete che non vedono (oppure vedono ma non possono fare nulla) che il richiedente un certo beneficio (la patente, il porto d’armi) non è idoneo. E così via.

Insomma: occorre un ritorno alla politica, che significa ribadire i valori, gli obiettivi, la visione del mondo che si propugna, e le strade – in termini di politiche (al plurale) e di strategie e di programmi – che si vogliono intraprendere per raggiungerli.

Senza di questo si fa contro-populismo, un populismo di sinistra che appare tanto buono e umano ma è sterile; un vociare privo di spessore; una continua ed esasperante inazione dove l’unica notizia è se c’è un nuovo candidato antirenziano oppure no. Mentre gli antipopulisti si guardano l’ombelico, Salvini va a gonfie vele, e demolisce uno dopo l’altro i bastioni della nostra democrazia. Il popolo è con lui, perché i democratici non sono col popolo?

Già pubblicato:

1. Immigrati.

Prossimi appuntamenti (suscettibili di variazioni dipendenti dall’estro):

3. Difesa personale;

4. Europa vs. autonomie;

5. Intellettuali, leadership, linguaggio: a mo’ di conclusione.