Non chiediamoci cosa resterà del M5S, ma come si riposizionerà il populismo in Italia

Leggo un bel post, arguto ma non sarcastico, profondo ma senza tedio, di Fulvio Abbate sull’HuffPost, dal titolo Cosa resterà del M5S?. Già, perché adesso sì, dopo la batosta abruzzese è lecito chiederselo. In realtà lo spartiacque che segna l’inevitabile fine è stato l’ingresso al governo con la Lega: da un lato la totale inettitudine, dall’altro la sfacciata subalternità a Salvini, sono da subito apparsi come i fattori determinanti di un inevitabile declino. Le elezioni abruzzesi hanno semplicemente certificato che questo potrebbe anche non essere un lento scivolare indietro, punto dopo punto nei sondaggi, ma un tracollo assai più rapido che, come spesso accade in questi casi, precipiterà (forse) in una slavina incontrollata, dove si consumeranno le faide interne come nel più triste momento di un PD qualunque.

La fine del M5S è stata anticipata da molti, fallacemente, in epoche più lontane; a tali profezie di illustri commentatori (Turani, De Angelis, per esempio, giusto tre anni fa) rispondevo all’opposto che le categorie prepolitiche del populismo non potevano seguire le logiche – razionalistiche e politiche – di questi critici. E che gli scandaletti emergenti, la già palese incapacità e l’inaccettabile verticismo del Movimento erano scandalosi per chi leggeva questi fattori con gli occhiali della ragione, mentre erano questioni giustificabili, se non addirittura elementi di forza, per gli adoranti grillini.

La morte di Casaleggio (primavera 2016) è stata certamente un elemento di crisi interna, ma gli effetti di tale crisi sono stati facilmente coperti, all’inizio, dall’abbrivio ormai preso dal Movimento. Insomma: gli elementi per il tracollo erano tutti in fìeri, ma la loro  maturazione ha avuto pieno compimento con giuramento dei ministri del Governo Conte.

Noi che siamo fieramente antipopulisti abbiamo quindi motivo di gioia? No, nessuno. La crescente mobilità elettorale non porterà quei voti, in uscita dal M5S, verso i partiti (come chiamarli?) tradizionali, di sistema, se non in minima parte.

L’analisi dei flussi elettorali abruzzesi è piuttosto chiara. Salvo residui, il grosso dei voti persi va alla Lega o torna nel non voto. Che la lega fosse attrattiva per molti pentastellati era chiaro già da tempo, e della sostanziale compatibilità della natura profonda dei due elettorati abbiamo già discusso su queste pagine.

Occorre chiedersi dove andrà il non voto, e anche se quei 5 Stelle che hanno votato – per protesta contro il Movimento – per il candidato di centro-sinistra, intendono rimanere lì oppure, dopo l’elaborazione del lutto e di fronte a un’offerta politica più ampia, troveranno nuova e definitiva dimora.

Per comprendere quale sia il punto in discussione dobbiamo ricordare ancora che il populismo (leghista e ancor più 5 Stelle) è prepolitico (per la distinzione fra a-politico, prepolitico e impolitico rimando a questo testo) e non può essere trattato allo stesso modo dei fenomeni politici (tradizionali). Questa è la vera novità del Terzo Millennio, che frantuma una discreta parte delle analisi politologiche valide fino a non molti anni fa. Nel Novecento (il lettore capisce da sé che si tratta di categorie di comodo) i partiti facevano riferimento a idee, ideologie, addirittura fedi, e sviluppavano in conseguenza programmi, ovvero semantiche, attorno alle quali gli elettori si schieravano in gran parte per ovvia similitudine (i proletari col PCI, i “signori” col PLI, la piccola borghesia con la DC…). Oggi – come abbiamo visto pochi giorni fa – il “popolo” è frantumato, segmentato, oggetto di fughe centrifughe, composito e cangiante; le ideologie sono morte, la forma partito defunta… Mentre nel Novecento l’Italia ha sempre mostrato un bipartitismo imperfetto ma stabile, oggi la situazione è radicalmente mutata dalla particolarità del populismo attuale.

Per spiegarlo devo fare una breve digressione su quanto sta avvenendo all’estrema sinistra, e l’iniziativa di Fassina e altri di dar vita a un movimento sovranista di sinistra (loro non si autodefiniscono ‘populisti’). Io sono andato a leggermi i documenti originari dei tre micro-movimenti che aderiscono a questa iniziativa; risparmio al lettore un’esegesi noiosa e arrivo alle conclusioni: espunti termini vetero-marxisti e qualche riferimento alla classe lavoratrice, questi documenti sono assai simili a quelli dei 5 Stelle (se togliamo qualche idiozia dal loro programma) e – attenzione, attenzione! – a quello di CasaPound (se togliamo alcuni eccessi xenofobi). Della cosa ho brevemente discusso QUI.

Non so se siete stupiti o no, io onestamente non molto perché (ancora una volta, che noioso!) sono cose già dette e scritte da tempo su questo blog.

La sostanza del populismo non è, e non può essere, un’ideologia, né un programma organico e specifico: la sua essenza è un coacervo di sovranismo, esclusione, avversione al sistema, complottismo, particolarismo, dai quali discendono, poi, la diffidenza verso l’Europa, lo sciovinismo, lo statalismo…

I diversi ‘populismi’ si distinguono perché sono il risultato (quello di Fassina e quello di CasaPound) di storie personali, che un tempo, sì, erano ideologiche, e quindi si ammantano di tratti fascistoidi l’uno e comunistoidi l’altro, ma sono forme di populismo che chiedono, sostanzialmente, le medesime cose: no Europa, più Italia, più Stato nell’economia, più “popolo che decide” contro il brutto liberismo e così via. In questa congerie si è distinto il Movimento, ovviamente, che è nato senza questi cordoni ombelicali, apparendo a molti come una novità sganciata dal Novecento, fuori dalla “vecchia politica”, non compromessa.

Adesso che anche il Movimento ha perso il suo smalto, quindi, i populisti dove cercheranno casa? Nella Lega, ovvio; e nei movimenti di estrema sinistra populista. Chi, fra gli elettori 5 Stelle, proveniva da quell’area, e aveva votato Grillo per dispetto a Renzi, oggi può trovare in Fassina un nuovo approdo. Dirò di più. Non si tirano righe sulla sabbia; almeno non in politica. Fin qui ho parlato di Fassina e del suo gruppo ma c’è, per così dire, una graduale sfumatura che lega quella proposta a Rifondazione e a LeU e, ancora più sfumato, a Zingaretti del PD. La disperata ricerca di consensi, che sovrasta la ragionata ricerca di una visione, sta portando ampi settori di sinistra e di centrosinistra verso posizioni parzialmente populiste, o di apertura al populismo.

La gravità delle conseguenze penso di non doverle spiegare.

Su queste pagine abbiamo parlato più volte della questione ‘destra’ e ‘sinistra’ (QUI, QUI e QUI), cercando di mostrare in cosa consistesse la differenza, cercando di attualizzarne i significati. Devo dire che, senza rinnegare quelle riflessioni ma, in qualche modo, sopra di esse, oggi sarebbe assolutamente proficuo discutere di populismo e antipopulismo. Non già – si badi – “non populismo” ma esattamente “antipopulismo”, riconoscendo il  populismo come male oscuro e minaccioso per la democrazia, mina alle istituzioni, seminatore di odio e divisioni e distruttore di benessere.

A questo punto, riprendendo dai disegni fatti a suo tempo nel citato articolo sul bipartitismo in Italia (quello che precede era l’ultimo di tre), vi propongo la situazione attuale per come la vedo io: 

Come vedete non ho un’impressione ottimista del nostro futuro a breve. E vedo la posizione del PD pericolosamente in bilico. E, ancora, non so bene chi ci sia sul fronte anti populista (a parte i radicali, una parte del PD, intellettuali in ordine sparso e Hic Rhodus). 

La conclusione è che il nemico è il populismo. La Lega, ovvio; i 5 Stelle, certo; CasaPound, non è neppure da discutere… Se il nemico è il populismo, il lavoro politico deve mirare a sottrarre forze politiche alle sue sirene: Forza Italia e PD, così evidentemente tentati… E aggregare, riconosce e aggregare, tutte le forze con una visione chiara dei tempi che stiamo percorrendo.