I diritti, i rovesci e i doveri

Un tema sul quale insisto (dopo quello del Primo Maggio, che seguiva a vari altri sparsi negli anni) e che mi viene sollecitato dalla cronaca del concertone di Roma sulla Stampa, dove si racconta appunto delle parole usate, degli slogan…

degli artisti sul palco, tra canzoni e messaggi di disobbedienza; quelle di chi ha fatto gli onori di casa, scritte sulle t-shirt per Lodo Guenzi («meno rovesci, più diritti» e poi «Voglio una nave che salva tutti») e quelle di Ambra che si è scagliata contro il bonus assunzioni per le donne («lo sgravio è mio e lo gestisco io»), contro le morti sul lavoro («il lavoro è un diritto, ma la vita lo è ancora di più») e che in risposta alle polemiche dello scorso anno sulla maglia griffata ne ha sfoggiata una con le sigle dei tre sindacati; quelle che hanno emozionato di Ilaria Cucchi, «i diritti umani non sono mai e per nessun motivo sacrificabili».

Insomma: o ci capiamo su cosa sia un ‘diritto’ o produciamo solo aria fritta. Poi, per carità, è bellissimo urlare tutti assieme che abbiamo diritto alla felicità, all’amore, alla pace e a tre pasti al giorno. Urliamolo pure. Scriviamolo sulle felpe e selfiamoci a beneficio degli amici di Facebook. Tutto consolatorio, e consolarsi è certamente un altro diritto…

Mi faccio aiutare da Treccani iniziando a definire il diritto oggettivo:

il complesso di norme giuridiche [poste dall’autorità sovrana], che comandano o vietano determinati comportamenti ai soggetti che ne sono destinatari, in senso soggettivo, la facoltà o pretesa, tutelata dalla legge, di un determinato comportamento attivo od omissivo da parte di altri.

Quindi: qualcuno che ne ha l’autorità “comanda o vieta” comportamenti a qualcuno (i destinatari) e traduce questi comandi in un repertorio di “norme giuridiche”. Ce n’è abbastanza per cinque o sei puntate su Hic Rhodus ma, non essendo noi un blog di giurisprudenza, possiamo limitarci ad alcune osservazioni veloci:

  1. a monte di tutto c’è un Ente che ha l’autorità, e ai fini del discorso che intendo svolgere mi limito a quello principale che è ovviamente – in Italia – il popolo (art. 1 della Costituzione) attraverso i suoi rappresentanti; costoro legiferano, ed è poi compito di altri fare rispettare codeste leggi. Non riconoscere la legge significa non accettare il ruolo e la funzione del legislatore, e quindi sindacare il modello di Stato e di Governo in cui si vive (sempre art. 1); questa sottolineatura ha un’importanza fondamentale nel dibattito sulla disubbidienza. Si può (o addirittura: si deve?) disubbidire se non si è d’accordo con la legittima fonte d’autorità? Ho già detto la mia QUI, che in sintesi è: sì, se te ne assumi la responsabilità. Disubbidire alle leggi è sempre un atto eversivo; se lo fai ti poni “altrove” rispetto allo stato di diritto, e mi pare contraddittorio, poi, appellarsi a quello stesso stato per difendersi (e cercare di sottrarsi) dalle conseguenze giuridiche, ma anche semplicemente sociali, del proprio gesto (ne ho parlato QUI). Poiché su questo argomento si tenta di controargomentare citando, per esempio, il nazi-fascismo e la necessità di disubbidire (e non giustificarsi delle atrocità commesse dicendo che si eseguivano solo ordini) rispondo facilissimamente: coloro che a un certo punto si sono ribellati lo hanno fatto consapevolmente, eversivamente, hanno pagato spesso un prezzo altissimo e adesso li ringraziamo; certo, ovvio. Ma si sono ribellati al potere, in una prima fase addirittura legittimo. Torniamo sempre lì: volete ribellarvi? Splendido: lo fate con consapevolezza e ne accettate le conseguenze; se mi convincete vi imiterò, se non mi convincete andrà per me benissimo che siate messi in stato di fermo e giudicati;
  2. le norme sono per loro natura interpretabili; inutile girarci intorno, è così: in alcuni casi l’ambiguità è prossima allo zero (col rosso ci si ferma, col verde si passa), ma in ambiti complessi l’ambiguità cresce e diventa interpretazione discrezionale. Servirebbero magistrati preparati non solo giuridicamente ma anche sociologicamente, una questione complicata che qui non affronterò (e in ogni caso la mia – anche stavolta – l’ho già scritta QUI).

Prima di passare ai diritti soggettivi viene bene una riflessione sulla relazione fra diritti e doveri. Gli uni senza gli altri sono inconcepibili, come discusso da Kant in poi. Saltando a pie’ pari tutta una riflessione che pure sarebbe istruttiva, arriviamo ai giorni nostri utilizzando le parole del filosofo Vittorio Possenti che scrive:

Le pratiche e talvolta le concezioni dei diritti attualmente prevalenti in Occidente pongono il diritto sopra l’obbligazione e il dovere. Ora se intendiamo garantire l’avvenire dei diritti umani, è saggio seguire un altro approccio, imperniato sull’idea di obbligo verso l’altro e sull’anteriorità dell’obbligo rispetto al diritto. Si tratta di ricercare un equilibrio fra libertà e responsabilità, senza la quale l’appello indifferenziato ai diritti individuali può generare abusi e condurre all’anarchia.

Sulla rete potrete facilmente trovare moltissime riflessioni su questo punto che con tutta evidenza appare scomodo; o più probabilmente roba vecchia, inattuale. La contemporaneità sembra reclamare i diritti, i moderni miti edonistici, mercantilisti, 2.0, riguardano i diritti dei transgender, i diritti dei vegani, i diritti MeToo, i diritti intellettuali, i diritti all’oblio, i diritti alla fecondazione transgalattica, i diritti – diciamolo – a fare tutto, ma proprio tutto, quello che voglio. Che va pure bene, fino a un certo punto, e io mi sono più volte associato a questa voglia di più diritti, in uno paese bigotto e ipocrita come il nostro. Voglio esprimere tutto ciò che voglio, senza ledere i diritti altrui… Oops, qui si cela un cortocircuito spesso inavvertito… Lo lascio alla vostra riflessione.

Voglio esprimere la mia opinione sul governo, quella sulla religione, voglio difendere omosessuali e vegani, voglio proclamare il mio animalismo e via discorrendo, e devo dire che nessuno me lo impedisce…

Il diritto di opinione è garantito, in Italia, compreso il diritto di esprimere opinioni fasciste. È ovviamente sui comportamenti che la cosa si fa complessa, e nella pragmatica dei diritti ci scontriamo con dei veri e propri muri. Puoi dire “sono fascista” (non è reato, ne hai il diritto) ma non puoi ricostruire il partito fascista (è reato, non ne hai diritto); puoi dire “gli omosessuali non mi piacciono”, ma non puoi incitare all’odio verso i gay, non puoi discriminarli o peggio; puoi dire “Salvini non mi rappresenta” (in realtà è una fesseria, ma il diritto di dire fesserie è costituzionale) ma non puoi andare a bastonarlo o incitare qualcuno perché lo faccia. 

E questo si lega ai doveri. Il diritto alla diversità (essere gay, vegani, animalisti, terrapiattisti…) si coniuga col dovere del rispetto alla diversità altrui (se non accetti un mondo di diversità non puoi sostenere la tua come legittima) e col dovere, assai più sottile, di essere diverso in un mondo di ‘uguali’, accettando la loro tolleranza ma anche quelli che potrebbero sembrarti difetti, e rimanendo buon cittadino, come gli ‘uguali’, rispetto a tutti i doveri che tu hai, pur nella tua specifica diversità, come loro.

Se un ‘diverso’ ha meno diritti è un male, ma anche se ha meno doveri. Penso ai cattolici in politica e al primato rivendicato per decenni, di questa loro appartenenza sopra e perfino contro l’ordinamento civile; penso ai novax che sono (giustamente?) tollerati come  propositori di falsità antiscientifiche ma che poi pretendono di agire sconsideratamente mettendo a rischio la salute altrui.

Non posso aprire compiutamente il capitolo dei cosiddetti diritti soggettivi, oggetto peraltro di ampia discussione e incerta definizione. Basti dire che al dunque anche tutti questi diritti (per esempio quelli politici, di proprietà e molti altri) devono necessariamente essere garantiti in maniera specifica da norme; se non lo sono, allora non sono diritti ma auspici. Per essere chiari: il “diritto alla felicità” inscritto nella dichiarazione d’indipendenza americana è una frescaccia, una frase retorica, un auspicio senza gambe (leggere Eco per approfondire); ma è una frescaccia anche il diritto al lavoro presente nella nostra Costituzione. E qui devo chiarire: la costituzione dice poche cose sul lavoro:

Art. 1: L’Italia e` una Repubblica democratica, fondata sul lavoro.

Questo non significa nulla di nulla e – come ho chiaramente documentato – è una frase retorica di compromesso fra la formulazione “sovietica” desiderata da Togliatti e quella moderata propugnata dai cattolici.

Art. 4: La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto.

L’articolo prosegue con la parte sui doveri:

Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, una attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società.

Per favore citate sempre l’art. 4 intero, con quella fondamentale seconda parte. Gli ulteriori articoli che citano il lavoro riguardano la sua tutela, l’equa retribuzione, la parità di genere, i minori e una quantità di altre cose importanti che non hanno a che fare col diritto di avere un lavoro. Se – per le ragioni storiche dell’epoca – si è di molto enfatizzato il lavoro nella Costituzione, ciò riguarda la cornice, i valori di equità, protezione e giustizia coi quali devono essere informati i rapporti di lavoro e non, in alcun punto, il diritto di un impiego. Solo i governi sovietici e simili hanno garantito il lavoro; essendo tutto dello Stato, anche lo Stato è il lavoro.

Tutta questa logorrea per dire poi, alla fin fine, due cose semplicissime, ma proprio solo due:

  1. non avete alcun diritto se non quelli stabiliti dalla legge; siete super fortunati a essere nati in un paese democratico occidentale che di diritti ne riconosce moltissimi e, vorrei far notare, sempre di più; fino a pochi anni fa non c’erano tutele (oppure poche) per coppie di fatto, gay, disabili… oggi tuteliamo anche chi spara in casa contro i rapinatori, voglio dire: molto c’è da fare per il diritto alla felicità, ma rispetto all’Arabia Saudita direi che siamo un pezzo avanti. Se desiderate altri e diversi diritti potete fare un comitato o un partito, organizzare riviste e club, scendere in piazza e altro ancora (ne avete il diritto) ma non potete sputare, sparare, fracassare vetrine, incitare alla morte di qualcuno, sabotare e via discorrendo; sì, lo so, chi lo fa si sente come Robin Hood che – diciamolo – era semplicemente un ladro ma affascinante e “dalla parte del popolo” (prima o poi scriverò un libro dal titolo Tutto il male che ci ha fatto l’idea di ‘popolo’); ma il brutto e cattivo sceriffo di Nottingham aveva il dovere di catturarlo. Se poi voi pensate che quello sceriffo in realtà è un farabutto prezzolato e corrotto, vi unite all’allegra brigata di Sherwood a vostro rischio e pericolo;
  2. quel che è certo, invece, è che avete anche un sacco di doveri che – come vi ho mostrato prima citando il lavoro – sono pure ben scritti nella Costituzione Più Bella Del Mondo; il primo dei doveri che avete, sempre e comunque, è quello di cittadinanza. Essere ‘cittadini’, e reclamare dei diritti, comporta innanzitutto dei doveri, e neppure pochi; la prossima volta che reclamate un qualunque diritto, fate prima un esamino fra voi, se siete in pari coi doveri.