L’omologazione dell’indignazione. A margine delle “donne dell’Est” di Paola Perego

Ho un filino di capogiro. Forse è una tardiva influenza primaverile o, come invece sospetto, una reazione psicosomatica all’avanzante e apparentemente incontenibile incomprensibilità del nostro popolo. O forse dell’intera razza umana ma chi sono, io, per generalizzare così? Ci sono questioni piccole e grandi che sono assolutamente inspiegabili alla luce di pretesi razionalismi sociali, e che possiamo affrontare solo con i sofisticati strumenti della microsociologia, ma che dico? dell’etnologia! Poiché oltre al capogiro oggi ho una profonda vena malinconica non farò il sociologo, spiegando i complessi rapporti fra macro e micro, fra cambiamenti epocali ed esistenziali e altre questioni di rilevante interesse solo per il mal di testa che sento approssimarsi. Non posso però risparmiarvi un esempio “macro” (origine del mio capogiro a livello alto, nazionale, politico…) e uno “micro” (concausa del mio capogiro a livello basso, popolare).

L’esempio macro è il Movimento 5 Stelle, che notoriamente non mi piace ma questo non c’entra. Non mi piace nemmeno Berlusconi, non mi piace la Lega, non mi piace un sacco di gente senza che questo mi tolga l’appetito. Forse perché li trovo trasparenti, da un punto di vista sociologico, politologico, caratteriale… insomma: fanno e dicono certe cose, intercettano determinati ceti, e ne hanno un certo vantaggio o svantaggio politico. Tutto abbastanza semplice. Per il Movimento di Grillo niente invece è lineare: i suoi rappresentanti rubacchiano e aumentano i consensi; si scalmanano, salgono sui tetti, sbagliano i congiuntivi e non portano a casa un singolo risultato, e aumentano i consensi; fanno una figura meschina e ridicola a Roma e aumentano i consensi; Grillo calpesta tutti i basilari diritti democratici cacciando vagonate di iscritti ed eletti e imponendo a Genova il suo candidato, in barba al risultato “dal basso”, e ancora aumentano i consensi (QUI l’ultimo sondaggio). Perché accade questo? Sul fronte serio, politologico-sociologico, diedi già una risposta un po’ di tempo fa (la trovate QUI) descrivendo la capacità 5 Stelle di rappresentare i non rappresentabili, gli impolitici che non trovano altra offerta politica capace di attrarre il loro interesse di persone mediamente poco colte e poco informate, come alcune ricerche hanno mostrato (le cito nel testo richiamato sopra). Questa strada esplicativa (le ricerche sull’elettore medio grillino, le considerazioni sull’impolitica…) aiuta ma non mi fa passare il capogiro. Deve pur esserci qualcos’altro se malgrado tutto, contro ogni evidenza e buon senso, il M5S continua a crescere.

Mettiamo il discorso in pausa, momentaneamente, e passiamo all’esempio “micro”: le donne dell’Est della pessima trasmissione Rai di Paola Perego. Adesso, per evitare un discorso forse complicato, semplifico con una piccola serie di dichiarazioni in premessa:

  • sì, l’elenco delle “qualità” delle donne dell’Est è biasimevole; mal pensato, inopportuno, maschilista, in una parola: profondamente stupido e ancor più inaccettabile in quanto proposto da un’emittente pubblica;
  • e sì, conosco bene il danno comunicativo che la televisione produce, il contributo all’obnubilazione delle coscienze, al pensiero unico (ne ho parlato a fondo QUI);
  • infine, figuratevi se non sono d’accordo col diritto di critica, con la libera espressione della propria indignazione, addirittura, se volete, col boicottaggio di chi interpreta in maniera distorta i nostri valori.

Questa premessa, doverosamente documentata con link a miei articoli, perché non leggiate, in quel che segue, una critica a voi, proprio voi che mi leggete ora e che semmai avete a vostra volta criticata la Perego su Facebook. Nessuna critica: quella trasmissione è stata inopportuna, gli autori, la conduttrice e tutti i responsabili sono stati terribili e meritano certamente una qualche sanzione, e infine bene che molti cittadini abbiano protestato. Spero di essere stato chiaro.

Qual è quindi il fondamento critico di questo esempio micro? L’indotto omologante che ha scatenato. Non dico tutti, ma certamente molti, da politici a cittadini, a strillare il loro “A casa!” (che, assieme a “Vergogna!”, è uno dei più sicuri indicatori lessicali di omologazione di questi tristissimi anni). I social in fibrillazione, le parodie – moltiplicatrici di stereotipi, sia pure “a fin di bene” – sprecate a decine, e tutto per… una scemenza, grave quanto volete, in televisione. Adesso devo cercare di evitare il benaltrismo; lungi da me. Però anche la strana scelta delle tematiche sulle quali scatenare la nostra diuturna indignazione è interessante. Allora: era offensivo il maschilismo esplicito? La tv (pubblica e privata) è piena di letterine, vallettine, farfalline seminude che scodinzolano attorno al paternalistico conduttore. Era oltraggioso un certo riferimento alla sessualità? Ci sono programmi Tv conditi di una falsa, esasperata e morbosa sessualità anche in fasce orarie protette. Non va bene sostanzialmente perché è una Tv “pubblica”? Ma di cosa parliamo? Da oltre vent’anni Rai e Mediaset corrono per accaparrarsi quote di mercato a colpi di share, il grande dio che regola i flussi di cassa… È il linguaggio in sé (una critica che sarebbe molto sottile da fare) che diseduca i cittadini? Ne ho parlato talmente tante volte che non vorrei ripetermi, ma siamo letteralmente circondati da un linguaggio sessista, fascista, distorcente, fraudolento. Ci sono quotidiani che campano di questo e un sacco di cittadini per bene che quei giornali li comperano e li leggono pure!

Allora bisognerà incominciare a dire che esiste un esteso, poco percepibile, distraente processo omologatorio in cui siamo tutti invischiati. Che ci incolonna tutti (o tanti) assieme per firmare le campagne di Change.org, che ci indica i fatti sui quali indignarci, proprio quelli, e non gli altri mille del tutto simili che ci passano sotto gli occhi con indifferenza, perché non sono passati per il laminatoio dei social, che dilata tutti i concetti, i fatti e le emozioni. Credo sia questo che ha inteso dire Mattia Feltri criticando il coro degli indignati in questo specifico caso:

Sospinta dalla marea furente dei purificatori social, la coalizione globale del decoro a buon mercato ha avuto un grido solo: «A casa!». Lo hanno detto veramente: «A casa!». Dev’essere stata una bella sensazione per leader e semileader riservare a un così alto obiettivo il linciaggio tanto spesso subito. E dunque, accerchiato da un popolo in armi, eletti ed elettori, dirigenti Rai e alte istituzioni, il programma è stato infine cancellato. Una grande vittoria dell’Italia civile, seguita da esultanza e brindisi online. Continueremo a essere il Paese derelitto di sempre, ma vuoi mettere il sabato pomeriggio senza Paola Perego?

Non è una critica all’indignazione in sé, né un’assoluzione a Paola Perego, ma una sbigottita denuncia della scelta davvero stravagante di questo investimento emotivo. Quanto capitale sociale, intellettuale ed emozionale abbiamo investito in Paola Perego e le sue donne dell’Est? Valeva la pena? Era un giusto obiettivo? Vi precedo nella risposta; diciamo che sì, è un giusto obiettivo. In questo caso vi chiederei di mostrarmi la cornice progettuale di tale obiettivo: una critica per una migliore Tv? uno stop agli stereotipi sessisti? Quello che vi pare. Cosa avete fatto, a favore di tale obiettivo, nelle settimane e mesi prima della stupidaggine di Perego? Cosa avete continuato a fare dopo? Siete attivist* di associazioni femministe, o di consumatori, o qualcosa del genere? Perché se avete esaurito la vostra indignazione con i pochi clic sui social, permettetemi di dirvi che questa non assomiglia in nulla all’indignazione proattiva, quella che conduce verso un fare concreto, il tentativo di cambiare in meglio quel pezzettino di mondo; assomiglia invece, come due gocce d’acqua, a un cliché omologato. Il caso è alla ribalta, è indubbiamente negativo, tutti urlano, urlo anch’io.

Vi voglio fare un piccolo esempio: tutti gli anni si tiene, in una remota località della Cina, una sagra in cui il piatto forte è il cane. Ogni anno, puntualmente, si moltiplicano le petizioni pubbliche, gli articoli sconcertati, i social surriscaldati contro questo orrore; ebbene: io animalista e profondo amante proprio dei cani, ho scritto un post in cui spiegavo i motivi per i quali non avrei sottoscritto alcuna petizione. Fui talmente equivocato e aggredito che l’anno dopo, in analoga occasione, dovetti tornare sull’argomento. Insomma: io non voglio firmare la petizione su Change.org perché tutti lo fanno e perché in pochi secondi mi scarico la coscienza e mi sento in pace rispetto a quel problema. Per analogo meccanismo non è che mi importa più di tanto accodarmi ai “Vai a casa” verso Perego, anche se ha fatto una sciocchezza, solo perché è il flusso di quel momento. Di “quel momento”, perché già ora, mentre scrivo, tutto è già stato rielaborato e l’oggetto di attenzione è un altro. Come un altro? Allora quel maschilismo di Perego non era poi così importante? Quella Tv pubblica scadente ce la siamo già dimenticata? Quella nostra indignazione, se così reale e pressante, dove è rimasta impigliata?

E allora torno al M5S, perché è il livello macro di un fenomeno identico. Oltre ai fattori già segnalati all’inizio, indiscutibilmente fondamentali, assume molta importanza anche quello omologatorio. L’omologazione dei (presunti, sedicenti, auto-proclamati) anti-casta, anti-sistema, tendenzialmente complottisti, mediamente creduli e poco informati, facili preda di un processo di omologazione di massa che, sia chiaro, non è per niente nuovo in politica ma che, nei grillini, assume connotazioni specifiche, tali da permanere nel mainstream grillino indipendentemente da qualunque evidenza di verità, da qualunque manifestazione di evidente truffa comunicativa. Il populista grillino è profondamente omologato, che è diverso dal vecchio comunista ideologizzato, perché l’ideologia ottunde ma ha una sua logica, un’architettura di pensiero (ne ho parlato dettagliatamente QUI) mentre l’omologazione è estemporanea, cangiante, priva di identità.

Ecco allora il punto centrale del mio pensiero, più volte riproposto su questo blog. I processi di consenso e aggregazione sociale sono noti da tempo, così come il ruolo dei media. L’omologazione non l’hanno inventata i social; loro, semplicemente, la usano. Perché se è vero che l’uomo (essere umano) è tendenzialmente sciocco, credulo, desideroso di piacere e compiacere e di essere quindi accettato dal gruppo, è pur vero che il web 2.0 ha moltiplicato esponenzialmente questa tendenza. I meccanismi intrinseci di Facebook (specialmente) e Twitter – come abbiamo più volte denunciato (per tutti QUESTO post ma ne abbiamo scritti davvero molti) – facilitano l’omologazione, sono finalizzati a creare un ambiente confortevole, amico, con contenuti affini ai valori e all’esperienza dell’utente. Tutto, attorno a noi, stimola l’omologazione e combatte ferocemente il pensiero critico. Casualmente mi interrogavo in questi giorni proprio su questo tema: cosa significa essere omologati? Ho capito che – dal punto di vista che a me interessa – non è portare il risvoltino ai pantaloni, farsi il piercing o amare le serie tv. Certo, questi e altri comportamenti hanno a che fare con le mode, con l’appartenenza al gruppo e quindi, in fondo, con una certa omologazione. Ma, onestamente, non mi importa un accidente se vi fate tagliare i capelli come un giocatore di calcio, vi tatuate un’incomprensibile serie di caratteri cinesi e sbavate per i bracciali Pandora! Ma fate un po’ come vi pare! Quello che importa è che siate (che siamo) – non dico sempre – vincitori della battaglia fra pensiero critico e omologazione. Che guardiate dritto in faccia i problemi, i fatti, le emozioni e ne cogliate l’importanza, il senso sociale e storico, gli effetti presunti e reali. Poi fate quello che vi pare. Incluso l’adagiarvi all’opinione prevalente perché è anche giusto lasciarsi andare ogni tanto.

Credo che non ci sia bisogno di faticare per cogliere una morale più alta. L’omologazione passiva qui narrata uccide la democrazia. L’omologazione si nutre di false credenze, di pigrizie, di pensiero semplificato, di stereotipi, di convenienze morali, di credulità, di fiducia mal riposta, di comunicazione banalizzata. La democrazia, e la politica che ne è linfa vitale, deve invece nutrirsi di argomentazione, dubbio, prese di posizione critiche, di sfide e di pensieri scomodi. Meglio, mille volte meglio, sbagliare con la propria testa che avere ragione con la testa altrui, e quindi ancora una volta il mio hashtag non può che essere: #nonomologatevi, #nonomologhiamoci!

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