Trasumanar o omologar(si)

Fu allora che si sviluppò nel loro animo una sciagurata facoltà, non tolleravano più la stupidità. (Gustave Flaubert, Bouvard e Pécuchet)

La prima parte “trasumanar” e la seconda “argomentar” si possono leggere QUI.

Terza parte: comprendere (questa parte è noiosa)

  1. La nostra conoscenza del mondo avviene a partire da concetti preesistenti e continuamente adattati e rimodulati. La conoscenza non ha solo a che fare coi sensi e non può essere indipendente da noi (dalla relazione che si instaura fra il mondo che conosciamo e noi che cerchiamo di conoscerlo). In queste prime righe ci sono due questioni fondamentali senza comprendere le quali è impossibile andare avanti: ‘concetto’ e ‘relazione (fra sé e il mondo)’. Non è questo il luogo se non per veloci accenni. La natura dei concetti è tutt’ora oggetto di ampia discussione fra diversi specialisti. Certo è che “leggiamo” il mondo attraverso concetti che costituiscono – diversamente per ciascun individuo – una griglia di lettura, una mappa cognitiva, fuori dalla quale non è possibile comprendere. I concetti si sviluppano a partire da esperienze e relazioni, poi da linguaggi, e sono in continuo divenire sulla base di nuove esperienze, anche se determinate circostanze tendono a fissare in maniera più risoluta determinati concetti, lasciando più disponibili all’adattamento altri.

Non si può esprimere tutto ciò che esiste nella propria testa. (David Markson, L’amante di Wittgenstein)

  1. Come visto, nella genesi dei concetti assume una particolare rilevanza l’esperienza relazionale. Più relazioni → più comunicazione → più adattamento e formazione dei concetti. La relazione del bimbo con la madre, poi con i famigliari più stretti, infine con i docenti nella scuola primaria, sono a questo proposito evidentemente fondamentali.

Gli esseri umani non nascono sempre il giorno in cui le loro madri li danno alla luce, ma […] la vita li costringe ancora molte altre volte a partorirsi da sé. (Gabriel García Márquez, L’amore ai tempi del colera)

  1. Il terzo elemento fondamentale che ora si può introdurre è quello dell’inferenza. La conoscenza di cui si sta parlando ha sempre una natura inferenziale, vale a dire che è basata su una procedura logica che ci permette di arrivare a determinate conclusioni date certe premesse. Fra i vari tipi di inferenza i più noti sono la deduzione e l’induzione (ma ce ne sono altri). Nel caso della deduzione riteniamo certe le conclusioni; esempio: se tutti gli uomini sani hanno due gambe, poiché tu sei un uomo devi anche tu avere due gambe. L’induzione, invece, ha carattere di probabilità; esempio: Marco, Giuseppe e Bezzicante sono uomini, e hanno due gambe, probabilmente tutti gli uomini ne hanno due.

Che cos’è una cosa e come facciamo a sapere che non è un’altra? (Don DeLillo, Rumore bianco)

  1. Quando non funziona questo processo? Ciò che noi conosciamo del mondo, e dal mondo, si basa su inferenze che partono dalla nostra mappa concettuale pre-esistente (attenzione, questo è fondamentale: pre-esistente!) e retroagiscono su quegli stessi concetti, in modo da farci articolare un giudizio. Quando parliamo di analfabetismo funzionale o addirittura di livelli differenti di intelligenza nella popolazione a proposito, per esempio, della loro capacità di giudizio politico, parliamo di individui con concetti poco strutturati e molto cristallizzati, che inducono a interpretare il mondo in maniera poco elastica, grossolana, iper semplificata. Gli esempi si sprecano, come il fatto che pochi inglesi conoscevano la realtà dell’Unione Europea prima di votare per la Brexit (ne abbiamo parlato QUI e QUI), pochi italiani conoscevano il quesito referendario del 4 dicembre scorso, a parte il desiderio di “mandare via Renzi” (ne abbiamo parlato QUI, QUI e in alcuni altri post), pochi catalani irredentisti hanno ragionato sulle conseguenze economiche e sociali e via discorrendo. Prendiamo la Brexit per fare prima: hanno votato Sì all’uscita dall’Unione molte persone con forti e radicati sentimenti patriottici (concetti relativi alla grandezza britannica, le glorie del Commonwealth, l’inglese lingua universale…) e con una idea pre-concetta dell’Unione come luogo dove la Gran Bretagna pagava molti soldi (che andavano agli scansafatiche del Sud Europa) e non riceveva nulla in cambio. A persone che pensano così non viene in mente di meglio informarsi, già sanno che vogliono uscire dall’Unione come migliore scelta per il Paese. Basta poi un Farage qualunque che alimenti quelle stesse false credenze per trovare conforto e tranquillità anteriore (perché Farage dà ragione ai loro pre-concetti) bollando come false tutte le diverse argomentazioni (perché non si adattano ai pre-concetti vissuti rigidamente, senza disponibilità a metterli in discussione).

“Ma sì! è qui tutto,” pensavo, “in questa sopraffazione. Ciascuno vuole imporre agli altri quel mondo che ha dentro, come se fosse fuori, e che tutti debbano vederlo a suo modo, e che gli altri non possano esservi se non come li vede lui.”

Mi ritornavano davanti agli occhi le stupide facce di tutti quei commessi, e seguitavo a pensare:

“Ma sì! Ma sì! Che realtà può essere quella che la maggioranza degli uomini riesce a costituire in sé? Misera, labile, incerta. E i sopraffattori, ecco, ne approfittano! o piuttosto, s’illudono di poterne profittare, facendo subire o accettare quel senso e quel valore ch’essi dànno a se stessi, agli altri, alle cose, per modo che tutti vedano e sentano, pensino e parlino a modo loro.” (Luigi Pirandello, Uno, nessuno e centomila)

Quarta parte: omologarsi (questa parte è provocatoria)

  1. Perché questo discorso è la chiave dell’omologazione (un concetto più e più volte trattato su HR, basta che digitiate ‘omologazione’ nella stringa di ricerca)? Perché l’omologazione, nel mio lessico personale, è un “inceppamento” del processo sopra indicato, che anziché un fluido processo di continuo arricchimento (nuovi concetti, modifica dei concetti pre esistenti) registra – anche solo in alcuni ambiti – la cristallizzazione dei vecchi concetti, confermativi di una determinata visione del mondo. In questi casi le inferenze logiche sono soffocate da contro-inferenze (meglio dire: da controargomentazioni su tali inferenze), le nuove esperienze piegate agli schemi concettuali pre esistenti o, semplicemente, scartate come non valide. Insomma: l’individuo omologato non ragiona (non produce inferenze logiche a partire da concetti disponibili al cambiamento) ma applica cliché, stereotipi, idee obsolete; produce semplificazioni e generalizzazioni anche paradossali senza accorgersi della loro insostenibilità; si accoda al pensare comune che non significa, necessariamente, della maggioranza della popolazione ma, questo sì, della maggioranza del gruppo di riferimento (gruppo sociale, professionale, religioso, politico). Quando l’omologazione è un prodotto di un gruppo politico o religioso si può parlare di ideologia, nel senso fortemente negativo spiegato QUI.

Ebbene, mia cara; immagino che in qualcosa bisogna pur credere per fede. La vita non dura abbastanza a lungo per analizzare ogni cosa come se fosse un problema di Euclide, prima di credere ad essa. E io ho scelto il cristianesimo. (Thomas Hardy, Jude l’oscuro)

  1. Chi sono gli omologati? Certamente le persone che, per scarsa intelligenza e/o scarsa educazione, faticano a produrre inferenze logiche (per le quali, oltre a doti intellettive, occorrono necessariamente educazione, cultura, tempo da dedicare all’informazione e molto altro). Ma poi – ed è questo che vorrei segnalare – persone certamente dotate di intelligenza e cultura ma bloccate, almeno in determinati ambiti, da esperienze segnanti che hanno contribuito a cristallizzare un determinato concetto, imbozzolarlo in una verità definitiva non più passibile di modifiche. Ecco alcuni esempi: se sei un uomo tradito dalla moglie, e non hai mai elaborato il tradimento, potresti considerare inaffidabili (o peggio) tutte le donne; se sei una donna che ha avuto una relazione malata con un uomo violento, e non ti sei mai riavuta dal trauma, tendi a pensare che tutti gli uomini siano mascalzoni. E scusate l’esempio ma è opportuno in questo periodo. In questi casi posso capire il perché dell’accodarsi a determinati pensieri mainstream anche da parte di persone intelligenti, ma ciò non di meno quello è un pensiero mainstream, e quindi potenzialmente sbagliato.

Un uomo non riesce a conoscere la propria mente perché la mente è tutto quello che ha per conoscerla. (Cormac McCarthy, Meridiano di sangue)

  1. E tanto per farmi del male, riprendendo una volta ancora argomenti recenti, alcune questioni sulle quali mi sono intrattenuto:

i) qualche amica – che reputo intelligente – continua ad accusarmi per i post sulle molestie; loro dicono che io non capisco la situazione delle donne; io sostengo, qui, che potrebbe esserci una loro difficoltà a comprendere come ci sia una differenza abissale fra: i) la violenza; ii) le molestie (mai, dico MAI definite in maniera chiara); iii) gli approcci sessuali più o meno graditi; iv) le dichiarazioni verbali postume di uno qualunque dei tre precedenti accidenti e la loro verità e realtà, totale o parziale, oggettiva o soggettiva. Assistiamo a un linciaggio epocale e senza precedenti di individui maschi, considerati a priori mascalzoni, senza che ci siano altri “fatti” se non le denunce verbali delle presunte vittime. Ora: può un uomo – per esempio io – dire che qualunque vera molestia è inaccettabile (e tante, tante, tante volte ne ho scritto qui su HR, e quelle amiche intelligenti dovrebbero pur avere letto anche quei post), ma che la caccia alle streghe basate sulle chiacchiere sono inaccettabili? Che l’equazione uomo = maiale è una cosa inaccettabile? Che si sono rovinate già diverse persone (Kevin Spacey per tutti) che certo, sì, probabilmente c’ha provato con molti ma, santo cielo! facciamolo un diavolo di esame di realtà, consideriamo la natura effettiva di tali molestie (per il quasi niente che si sa…), il contesto, il ruolo delle pretese vittime, e facciamo un po’ meno i bigotti (forma perniciosa di omologazione che dà, a chi ne è posseduto, l’aura di brava persona ante litteram). Prego di leggere il bel e documentato articolo di Mariarosa Mancuso su il Foglio del 13 Novembre 2017;

Dolore a amore, poi, la vita insomma, non può essere considerata quale una malattia perché duole. (Italo Svevo, La coscienza za di Zeno)

ii) guai parlare di politica. La faziosità è dilagata a livello sub umano, a semplice guerra per bande, dove le risse fra laziali e romanisti, al confronto, sembrano scene omeriche degne di rispetto. Il mio post su Renzi perdente alle elezioni siciliane, scritto come critica – ovviamente – a un leader e a un partito che in qualche modo si muove nell’area che guardo con interesse (insomma: non ho criticato Renzi perché mio avversario politico ma perché vorrei che lavorasse bene) è stato massacrato indegnamente in gruppi Facebook inneggianti a Renzi. Poiché ho raccontato recentemente la violenza delle critiche ricevute rimando a quel post limitandomi a dire quella è, esattamente, omologazione, devastante omologazione fascista (ho già detto che l’omologazione ha a che fare con populismo e fascismo? Se vi sfugge la connessione potete dare un’occhiata QUI);

I fatti non penetrano nel mondo dove vivono le certezze della nostra fede, non le hanno fatte nascere né sono in grado di distruggerle; possono infliggere loro le più dure smentite senza indebolirle, e una valanga di sventure o di malattie che s’abbatta senza interruzione su una famiglia non l’indurrà a dubitare della bontà del suo Dio o del talento del suo medico. (Marcel Proust, Dalla parte di Swann)

iii) lo Ius Soli… (anche di questo ho scritto, QUI, la mia posizione); tutti col cuore oltre l’ostacolo a dire Sì, Sì, siamo umani, sono umani, Viva lo Ius Soli. Io dico: che bello slancio di generosità e di buon cuore italico! Adesso vogliamo per favore vedere cosa significa? Quanti nuovi cittadini italiani saranno? Che vantaggi ne ricaverà il nostro Paese? Quali eventuali svantaggi (No? Diamo per certo così, d’emblée, che avremo solo vantaggi?) e quali alternative legislative ci sono per essere, assieme, equi ma non stupidi, “umani” ma prudenti e saggi. Ecco, anche i cuori oltre la barricata sono una forma di omologazione emotiva, ideologica e profondamente stupida. Vogliamo lo Ius Soli? Sìiiii! Catalogna libera? Sìiiii! Potere al popolo? Sìiiiii! Governo ladro? Sìiiii! No TAV No Drill No TAP? Sìiiii! Uomini maiali? Sìiiii!!!!

Fascismo è obbligare a dire (Roland Barthes, Lezioni).

  1. Io sono un intellettuale. Non sto dicendo cose inopportune; la mia concezione di intellettuale è assai ampia: non necessariamente solo eruditi accademici che scrivono oscuri elzeviri su giornali di nicchia, ma politici, giornalisti, professionisti che, semplicemente, vivono del loro pensiero. E anche ogni altro individuo che si informa, ragiona, si sforza di fare elaborazioni, costruire opinioni logiche e dotate di senso. Uno degli intellettuali che più mi ha influenzato nell’epoca della mia maturazione politica era un contadino. Gli intellettuali sono coloro che producono inferenze logiche a partire da concetti non (troppo) cristallizzati per elaborare giudizi. E in questa funzione dovrebbero avere un ruolo importante in una società moderna. Poi, come noto, ci sono due tipi di intellettuali: quelli che Gramsci chiamava “organici”, vale a dire pregni di ideologia marxista e quindi elaboratori di idee e giudizi favorevoli alla Causa. Poi ci sono gli altri intellettuali, quelli non organici, cani sciolti, rompiscatole, che qualche volta hanno una buona idea, qualche volta cattiva, ma è un’idea loro. Ecco, estendete un pochino il concetto gramsciano. Se usiamo la testa per esprimere concetti omologati e omologanti, siamo come quegli intellettuali organici: al servizio del pensiero unico. Se proviamo a essere indipendenti, qualche volta saremo scandalosi, qualche volta noiosi… Ma daremo a chi ascolta e legge l’opportunità di un pensiero originale. Qui a Hic Rhodus qualche volta ci riusciamo, molte volte no, ma certamente non siamo spaventati dall’avere le nostre opinioni.

L’essenziale è non assuefarsi. Perché le abitudini sono letali. Anche se fosse per la centesima volta, devi andare incontro a ogni cosa come se non l’avessi mai vista prima. Non importa quante volte è successo, deve essere sempre la prima volta. Tutto ciò è quasi impossibile, lo capisco, ma è una regola assoluta. (Paul Auster, Nel paese delle ultime cose)

nonomologatevi