L’evanescente frattura fra diritti individuali e collettivi

Prendo le mosse dal bell’articolo di Ottonieri apparso due giorni fa. Per i pigri riassumo: c’è stato un caso giudiziario in Gran Bretagna nel quale una giovane Down (affetta da trisomia 21) aveva impugnato la legge sull’aborto in quanto, riconoscendo la diagnosi precoce di trisomia 21 nel feto come ragione di aborto oltre il limite generale delle 24 settimane, si pone in modo discriminante verso le persone down. Il sillogismo è il seguente: se la causa di tale diagnosi, assieme ad altre di “malformazioni” del feto, consente di abortire, è implicito lo stigma di inferiorità, di minorazione, delle persone down, e questo è offensivo, discriminante, degradante. Il giudice ha respinto il ricorso perché

l’esistenza di un diritto legale non può dipendere solo dalla percezione soggettiva di qualcuno che si considera vittima.

Ottonieri riassume così:

Se il modo in cui esercito la mia libertà ferisce la tua sensibilità, non è un motivo sufficiente per impedirmi di fare e dire quello che meglio credo; si tratta di un principio liberale irrinunciabile, violando il quale inevitabilmente si corre il rischio, come scrive il giudice britannico che ha redatto le motivazioni della sentenza, di paralizzare ogni comportamento pubblico.

Discorrendo al telefono con Ottonieri su questo caso e le sue implicazioni, abbiamo osservato come questo atteggiamento sia sempre più comune nella società contemporanea; la grancassa rumorosa battuta per i diritti sugli omosessuali, per esempio (una grancassa ora messa in sordina, perché l’argomento viene tirato fuori come pura propaganda quando c’è l’interesse mediatico a farlo) è un esempio validissimo: ricordate la recente proposta di legge (scorsa legislatura, ddl mai approvato) contro le discriminazioni degli omosessuali? Gli omosessuali sono una minoranza, si sentono discriminati e qualche politico, eventualmente appartenente a quella medesima comunità, propone una legge ad hoc. E già a suo tempo scrivemmo che non eravamo per nulla d’accordo:

[…] c’è la questione del particolarismo, che è il condensato giuridico-politico-sindacale dell’epoca egotistica e individualista che stiamo attraversando. I diritti sono universali, e devono riguardare le persone, i cittadini, gli esseri umani, non delle fattispecie. Un codice penale adeguato non avrebbe bisogno di specificare le aggravanti in termini di razzismo, religione, eventuale odio contro gli omosessuali, poi domani contro gli obesi e il mese appresso contro qualche altra categoria che si sente minacciata. Ogni forma di odio e discriminazione è grave, ed è sempre causata da ciò che il bersaglio di tale odio rappresenta per il discriminatore.

La posizione di Hic Rhodus, quindi, è sempre stata quella di definire i diritti (e i doveri) nella forma ampia dell’universalità. Nel caso specifico della giovane britannica: l’universalità è la volontà generale delle giovani mamme di mantenere o meno, a loro discrezione, una gravidanza che avrà un esito infausto in termini di autonomia del nascituro, sue prospettive di vita, costi economici, limitazioni professionali dei genitori e così via. Nessuna discriminazione sulle persone affette da sindrome di Down che, oggettivamente, sono affette da tale sindrome e, oggettivamente, posso avere anche gravissime limitazioni (Ottonieri nell’articolo spiega bene questo punto).

Anche così rappresentato, il problema non è comunque risolto. Fino a che punto le minoranze non possono reclamare diritti distintivi perché soggiacciono a quelli universali? In un’epoca di complessità sociale vediamo proliferare le minoranze, e anzi: non necessariamente minoranze numeriche, ma segmenti sociali che invocano una distinzione e una specifica attenzione. Le donne, per esempio, sono in numero leggermente superiore ai maschi, ma reclamano – attraverso l’opera di attiviste – una speciale attenzione, dalla parità salariale alla protezione contro i maschi violenti. Tutte cose che riteniamo siano giuste, e lecite, e che dovrebbero indurre a una capillare opera educativa (di maschi e femmine) verso il concetto di rispetto e uguaglianza di genere, anziché appigliarsi alle “pari opportunità” o a strumenti legislativi dall’incerto esito e dalla nulla efficacia. Anche gli operai sono stati una minoranza, negli anni del boom, ma quanto importante! E quanto ben difesi dai sindacati e dalla sinistra! Anzi, mai l’abbiamo concepita come una “minoranza”, anche se le lotte del secondo Novecento riguardavano i loro diritti ritenuti (giustamente, per lo più) non abbastanza riconosciuti in termini di orario, salario, tutele e via discorrendo.

Allora: possiamo immaginare un segmento che vada dall’estremo individualismo al massimo di inclusione sociale, così: 

Fonti: 

1) Sindrome di Down: colpisce un nato ogni 1.200, ma non esistono statistiche certe, “Quotidianosanità”;

2) Stima frutto di indagini diverse, citate in QUESTO articolo su Hic Rhodus;

3) Quanti sono i vegetariani e vegani in Italia?, “Ruminantia”, che cita dati Eurispes 2021;

4) Istituto Superiore di Sanità, Sorveglianza Passi, periuodo 2021-21 (fonte); nel medesimo periodo in Italia le persone sovrappeso, da aggiungere alle precedenti, erano il 32,5%;

5) Lavoratori dipendenti e autonomi assicurati nelle diverse gestioni INPS, pari a circa il 95% di tutti i lavoratori regolari in Italia (fonte);

6) Cattolici italiani (anche non praticanti) secondo Doxa nel 2019 (fonte).

In generale, abbiamo la sensazione che i diritti delle categorie sulla destra vadano ovviamente riconosciuti; le legislazioni in merito sono generalmente antiche e consolidate (anche se i diretti interessati possono lamentare ritardi, permanenza di disuguaglianza etc.), mentre le categorie sulla sinistra sono, in un certo senso, nuove. Chi si preoccupava delle persone obese vent’anni fa? Adesso guai a fare una critica, si chiama body shaming,  guai dire che l’obesità è una malattia, con gravi riflessi sociali, e che curvy non è bello! Sull’omosessualità abbiamo già scritto, e anche sui vegetariani che, chissà perché? non hanno ancora invocato una legge a loro tutela.

Quello che ci interessa è la zona centrale: dov’è il punto, nel segmento, in cui non si è più una minoranza che rivendica tutele particolaristiche, ma si diventa segmento universale, i cui diritti non sono messi in discussione e, anzi, la cui “tutela” è scontata e l’offesa (per esempio la violenza sulle donne, o lo sfruttamento dei lavoratori soggetti a caporalato) indigna la collettività? Non troverete mai quel punto, non solo a causa del paradosso del Sorite ma perché negli ultimi decenni la cultura universale (non solo italiana) ha manifestato un sempre maggiore interesse per le differenze fra individui, anziché indugiare sulle somiglianze. Se questo esasperato particolarismo ha connotazioni libertarie che possono attrarre (la fuga dall’omologazione, la valorizzazione delle scelte individuali…), esso induce anche una forte disgregazione sociale, la perdita dei legami forti, le contrapposizioni esasperate, i separatismi delle minoranze “etniche”, la partigianeria politica.

Questo effetto disgregatore (che, fra l’altro, ha una retroazione nelle sue cause, inducendo velocità nel processo di frammentazione) è un pericolo democratico. La democrazia novecentesca si basa sul principio dell’universalità: tutti i cittadini, con pari diritti e doveri, rappresentano il corpo elettorale su cui si fonda l’idea delle migliori decisioni prese per il bene comune, collettivo, universale, dove si compongono i conflitti particolaristici (per esempio fra ricchi e poveri, fra lavoratori e disoccupati, fra colti e ignoranti, etc.). Se introduciamo l’idea di un particolarismo che in quanto tale necessita di tutele specifiche, diritti “ad hoc”, delle due l’una: o il nostro ordinamento giuridico (a partire dalla Carta costituzionale) ha un difetto originario, oppure quel diritto specifico contrasta con l’universalismo necessario di una legislazione ideata per un popolo, accumunato da lingua, tradizione, etc.

Il proliferare delle istanze particolaristiche, poi, presenta un pericolo ovvio: se concediamo tutele specifiche alle donne in quanto donne (e va bene…) agli omosessuali in quanto tali (e ce lo faremo andare bene…), poi semmai agli obesi, poi ai vegani… domani si possono presentare portatori di interessi che chiedono una tutela per chi pratica l’infibulazione, perché parte del patrimonio culturale di una minoranza che, nel divieto di quell’orrenda pratica, si sente oggetto di discriminazione. O i pedofili che già in altre parti di Europa, in anni non lontanissimi, hanno cercato di rendere legale la loro sessualità in nome della libertà di amare. L’esempio dei pedofili aiuta a concludere che fra istanze particolaristiche e tutela universale dei diritti, in una democrazia attenta vince sempre la seconda. Ecco perché, nel caso della ragazza down, il giudice britannico le ha dato torto. Indipendentemente dal sentire personale di chi si sente vittima di un’ingiustizia, o non appagata in quello che ritiene un legittimo desiderio, c’è un interesse superiore, di natura collettiva, che primeggia: il diritto alla salute nel caso dell’infibulazione, quello alla tutela del minore nel caso della pedofilia, etc. Solo i diritti universali, destinati alle persone in quanto tali, e non a portatori di specifiche istanze, può garantire tutti, che siano parti di maggioranze o di minoranze.

(Per chi è interessato all’argomento, ne abbiamo approfondito diversi aspetti nel volume di Claudio Bezzi e Stefano Machera, Pensare la democrazia nel terzo millennio).