Un anno di Renzi e di bicchieri mezzo pieni

bicchieri

Sono passati dodici mesi da quando Matteo Renzi è diventato il nostro Presidente del Consiglio, e sono stati mesi piuttosto lunghi sia per i suoi fan che per i suoi detrattori. Pochi giorni fa, Bezzicante ha analizzato questo periodo dal punto di vista della strategia politica; io vorrei assumermi invece il compito di delineare una sintesi più legata alle cose fatte e avviate, un terreno certamente più ingrato per i nostri politici, ma altrettanto certamente decisivo per noi cittadini. Riprenderemo temi in larga parte già toccati nei molti post che abbiamo dedicato all’azione di governo, e cercheremo di capire a che punto siamo, e perché anziché un solo bicchiere mezzo pieno stavolta ce n’è un’intera serie, assieme a qualcuno ricolmo e qualcuno desolantemente vuoto.

Cominciamo dalle riforme istituzionali, il tema forse più ricorrente di questo anno renziano. In realtà, sotto questo titolo rientrano diverse voci, a partire dall’ “abolizione” delle province (su cui abbiamo scritto a suo tempo) per passare alla riforma del Senato e a quella della legge elettorale. Ora, è difficile negare che il percorso complessivo di queste riforme sia stato e sia ancora tortuoso, contrastato e non privo di contraddizioni, però io non ricordo nessun governo che abbia affrontato con pari decisione (e talvolta spregiudicatezza “nazarena”) temi istituzionali che da decenni tutti sanno essere determinanti per snellire la macchina amministrativa e facilitare la governabilità. La sola abolizione del bicameralismo perfetto meriterebbe un voto ben più alto, ma nel complesso non c’è dubbio che molto resta ancora da fare per poter dire di aver davvero portato a termine una riforma organica, e il rischio di “perdere qualche pezzo” è concreto.
Voto: 6,5.

Passiamo alla riduzione della spesa pubblica. Non ricapitolo qui le molte tappe attraverso cui le proposte del Commissario alla Spending Review Carlo Cottarelli sono state sostanzialmente insabbiate; ne abbiamo parlato in molti post, dalla presentazione del lavoro di Cottarelli alla sua non troppo gloriosa conclusione. Oggi, dobbiamo prendere atto che l’inerzia su questo fronte ci sta portando dritti dritti verso un ulteriore e deleterio aumento dell’IVA, pur di non ridurre gli sprechi della nostra macchina pubblica, specie locale. Purtroppo l’attenzione pubblica su questo tema è bassissima, nonostante sia per noi cittadini molto più importante del debito pubblico della Grecia e del suo atletico ministro Varoufakis.
Voto: 4.

Non possiamo dimenticare l’elezione del nuovo Presidente della Repubblica. Onestamente, lo spettacolo di inaffidabilità, cinismo e improvvisazione che era culminato con la rielezione di Giorgio Napolitano (al quale io personalmente, già che sono in vena di pagelle, assegno un otto pieno) dovrebbe ancora bruciare nella memoria di tutti gli italiani. Va riconosciuto a Renzi (e noi lo abbiamo fatto) di essere riuscito a far eleggere un nuovo Presidente in tempi rapidi, scegliendo un nome certamente non “renziano”, e superando un passaggio potenzialmente insidiosissimo anche per la nostra immagine all’estero.
Voto: 8.

Un altro tema molto controverso è il lavoro. Si tratta principalmente del Jobs Act, ma non solo, viste le misure di incentivazione alle assunzioni incluse nell’ultima Legge di Stabilità, e di cui abbiamo già parlato appunto in termini di bicchiere mezzo pieno, ma le mie perplessità non riguardano le misure a favore dell’occupazione, che considero valide. Quanto appunto al Jobs Act, personalmente non ho apprezzato che su questo complesso tema si sia voluto innestare un redde rationem tutto interno allo scontro politico tra Renzi e sinistra PD e sindacale, ponendo al centro del dibattito il falso problema dell’Articolo 18 (come abbiamo discusso) anziché la coerenza tra nuove forme contrattuali e nuovi ammortizzatori sociali, per superare l’attuale logica secondo cui la spesa sociale finisce per finanziare il non-lavoro anziché il lavoro. Personalmente, e da tempo, sono favorevole all’impostazione di un contratto a tutele crescenti e a forme di ammortizzatori sociali che prevedano l’abolizione secca della Cassa Integrazione straordinaria a favore di un sostegno al reddito minimo sul quale abbiamo cercato di fare chiarezza rispetto a proposte confuse e improvvisate.
Voto: 6,5.

Passiamo alla scuola, anzi alla buona scuola. Qui, come abbiamo osservato a tempo debito, c’è una notevole distanza tra la vision di una scuola rinnovata, nella quale si entra solo per concorsi mirati e si sviluppano finalmente nuove conoscenze (informatiche, economiche, ecc.) e nuovi approcci all’apprendimento (più problem solving e meno erudizione), e il ciclopico piano di assunzioni che dovrebbe svuotare le graduatorie e che appare indiscriminato, lontanissimo da criteri di efficienza e meritocrazia, e paradossalmente esposto a ricorsi da parte di chi dovesse rimanere escluso da questi provvedimenti a pioggia. Le critiche che abbiamo avanzato sono più autorevolmente esposte in un’analisi della Fondazione Agnelli recentemente pubblicata sul Corriere della Sera che raccomandiamo di leggere.
Voto: 5.

In conclusione, la mia opinione è che dal punto di vista delle cose realizzate, o almeno solidamente impostate, questo governo raggiunga sì e no una sufficienza risicata, e potremmo dargli il classico sei politico. Un risultato certamente non esaltante specie se misurato in rapporto alle ambiziose promesse che Renzi aveva snocciolato un anno fa. Molto meno scarso va forse considerato se invece lo confrontiamo con quanto sono stati in genere capaci di fare quasi tutti i governi che l’hanno preceduto, e se ricordiamo che il Parlamento con il quale Renzi deve misurarsi è come se fosse di una legislatura precedente, composto di deputati e senatori eletti sotto le bandiere di Bersani per quanto riguarda il PD, ma anche di Berlusconi, Monti, Maroni, Grillo. Insomma, tutti portatori d’acqua di leader in declino o già eclissati, le cui truppe si sono sfaldate o hanno scelto di seguire altri, rendendo difficile governare con una maggioranza stabile, e nel contempo favorendo il “movimentismo” parlamentare di Renzi, che gli è valso più d’un successo ma che rende obiettivamente arduo portare a compimento quelle riforme che richiedono un iter lungo e contrastato dentro e fuori il Parlamento. Il Governo Renzi è durato, ha, a suo modo, stabilizzato un quadro politico che appariva bloccato nello stallo postelettorale di cui Bersani ha pagato il prezzo più alto, ha permesso di nominare un nuovo Presidente della Repubblica, e di presentarsi in Europa con un governo non “a progetto” come quelli di Monti e Letta. Per ora, non sembra ci sia alternativa a farsi bastare il bicchiere mezzo pieno, e sperare che i timidi segni di miglioramento della situazione economica si consolidino.