Il bilancio del Governo Renzi? Un bicchiere mezzo pieno

È probabilmente indicativo del carattere di Matteo Renzi e del suo rapporto piuttosto bipolare con i cittadini il fatto che, al termine di quello che è stato uno dei governi più lunghi della storia repubblicana, ci siano stati relativamente pochi commentatori (qui una sintesi piuttosto asciutta di RaiNews) che abbiano tentato di stilarne un bilancio, mentre moltissima attenzione è stata dedicata agli aspetti emotivi della “Waterloo referendaria” del nostro napoleonico premier.

Eppure, credo che neanche i suoi più aspri detrattori possano negare che, oltre che duraturo, il Governo Renzi sia stato anche uno dei più attivi della storia recente, affrontando di petto temi diversissimi e controversi, fino a soccombere, appunto, su uno di essi. Penso quindi che non sia tempo sprecato ripercorrere alcuni passaggi “qualificanti” (scelti discrezionalmente da me come rappresentativi) e cercare di esprimere un giudizio “a bocce ferme” del tutto soggettivo ma che spero possa stimolare una riflessione anche in voi. Affronterò tema per tema (evitando quello istituzionale, visto che su quello dovrei piuttosto giudicare negativamente il voto popolare), tenendo presente che in diversi casi si tratterà di argomenti che abbiamo già trattato qui su Hic Rhodus “in corso d’opera” (per non ripeterci, nel seguito faremo riferimento ad alcuni dei nostri vecchi post sui singoli argomenti).

Lavoro

Su questo tema si sono concentrate molte delle più feroci critiche a Renzi, ovviamente in particolare per il Jobs Act. Personalmente, tuttavia, sono complessivamente favorevole al Jobs Act, anche se è bene sottolineare che gli incrementi di occupazione che si sono avuti durante il periodo in cui Renzi è stato al governo sono stati solo secondariamente dovuti al Jobs Act, e prevalentemente agli incentivi contributivi che lo hanno accompagnato (per un’analisi più approfondita rinvio a un nostro post sull’argomento).
Sia come sia, in questo ambito Renzi ha ottenuto risultati concreti pur dovendo affrontare ostilità fortissime, e se è vero che gli incentivi per le assunzioni sono costati cari alle finanze pubbliche, nel complesso gli effetti sull’occupazione e anche sulla crescita economica ci sono stati. Anche certe critiche ricorrenti, come l’abnorme utilizzo dei voucher (il dato in sé è reale ed effettivamente segno di abusi da correggere, ma parlando strettamente di livelli di occupazione l’enorme espansione dei voucher è aggiuntiva rispetto all’aumento dei posti di lavoro che si è registrato) o l’aumento dei licenziamenti (che in realtà mi sentirei di dire che finora non riguardano i lavoratori assunti con contratti “a tutele crescenti”) mi sembrano preconcette. quasi-pieno

In sintesi, il bicchiere è molto più pieno che vuoto.

Spesa pubblica e tasse 

Uno dei mantra di Renzi è aver tagliato le tasse, e in effetti tra i provvedimenti presi dal suo governo compaiono diverse riduzioni fiscali soprattutto per le imprese. Nel 2015, la pressione fiscale è effettivamente scesa al 43,3% dal 43,7% del 2014 e dal 44% del 2013; sembrerebbe quindi che la rivendicazione di Renzi sia fondata.
Tuttavia, a mio avviso, il vero parametro che determina l’onere che il settore pubblico impone all’economia reale è il livello di spesa pubblica, e da questo punto di vista le cose sono meno semplici: Renzi ha insabbiato fin dall’inizio del suo incarico le proposte del Commissario alla Spending Review Cottarelli, fino a indurlo a rinunciare all’incarico. Personalmente trovo una pessima politica quella delle spese a pioggia decise da Renzi, a partire dai famosi 80 Euro, per arrivare alla raffica di elargizioni “referendarie” degli ultimissimi mesi (sono a questo proposito eloquenti le slide predisposte dal Governo per illustrare la Legge di Stabilità appena approvata dal Parlamento e che ci è giustamente contestata dall’UE: una sequenza di maggiori spese per accontentare tutti).
In una situazione economica come la nostra, in cui comunque non è possibile adottare una linea di spesa pubblica solo restrittiva, sono da perseguire a mio avviso solo due tipi di spesa: quella per investimenti infrastrutturali, che abbiano quindi un “moltiplicatore” importante nel loro impatto sull’economia produttiva; e quella per un sistema coerente di protezione sociale degli economicamente svantaggiati, che non si frantumi in bonus per mille categorie spesso neanche bisognose.
Al vertice di queste spese che appesantiscono le casse pubbliche e non migliorano l’equità si collocano quelle che ancora una volta favoriscono la generazione dei sessantenni a scapito di quella dei trentenni, appesantendo alcuni tra i fattori di iniquità e disuguaglianza di cui parleremo poi.

Il giudizio qui è quindi complessivamente insufficiente, mitigato solo da una considerazioquasi-vuotone tutt’altro che secondaria: praticamente tutte le forze politiche e sindacali con cui Renzi ha dovuto fare i conti sollecitavano politiche di spesa a mio avviso ancora peggiori. Come sempre, in Italia il partito della spesa pubblica indiscriminata è bipartisan.

Banche

I problemi delle banche italiane, onestamente, non dipendono certo da Renzi. Anche il famigerato decreto “salvabanche” di circa un anno fa a mio avviso non era così sbagliato, prima che il governo fosse di fatto obbligato a risarcire gli obbligazionisti, “socializzando” impropriamente le loro perdite. Anche in questo caso, devo sottolineare che le mie critiche sono di segno opposto a quelle di quasi tutte le forze politiche in opposizione al Governo, perché queste ultime in genere hanno preso le parti dei risparmiatori che chiedevano di essere integralmente rimborsati dei loro investimenti. Io invece penso che gli unici che possano meritare un risarcimento sono coloro che sono stati truffati, e che a risarcirli debbano essere i truffatori (banchieri, direttori, ecc.) e non i contribuenti o le altre banche. Come in qualsiasi altro caso di truffa.

Purtroppo, le difficoltà delle banche italiane sono strutturali (v. su questo il nostro post Le banche, cambiare o fallire?), e il governo si è mosso con forse troppa cautela, incoraggiando sedicenti “soluzioni di mercato” che o mascheravano l’intervento di capitale pubblico, o erano destinate a non avere successo (o entrambe le cose). Ora sembra che almeno per il Montepaschi ci debba essere un intervento pubblico diretto, che come avevo scritto qualche tempo fa è una soluzione più trasparente e alla fine più sana. E non c’è da farsi illusioni: MPS non è un caso isolato, serviranno molti soldi pubblici per tenere in piedi il nostro sistema bancario, e date le condizioni delle nostre finanze pubbliche l’effetto rischia di essere pesante (il che è uno dei motivi per cui finora tutti i governi hanno evitato di intervenire).

Insomma, se è vero che in questo settore i problemi dipendono poco dal governo Renzi, è anche vero che quest’ultimo a sua volta ha fatto troppo poco, sia pure in un contesto quasi-vuotodifficilissimo.

Il bicchiere è vuoto più che per metà.

Scuola

L’esclusione di Stefania Giannini dal Governo Gentiloni, e la sua sostituzione con la sindacalista Valeria Fedeli, ha definitivamente suggellato con una lettera scarlatta d’infamia una delle più complesse e controverse riforme del Governo Renzi, ossia la Buona Scuola. In tempi non sospetti, peraltro, noi le avevamo assegnato un severo cinque in pagella, principalmente per un motivo: belle parole a parte, il cuore della “riforma” consisteva in un gigantesco piano d’assunzioni per oltre centomila insegnanti in graduatoria, senza il minimo tentativo di far corrispondere le caratteristiche degli assunti alle reali necessità organizzative della scuola italiana. Questo errore (che, ribadisco, nasceva dal preoccuparsi della stabilizzazione dei docenti e non della qualità del servizio scolastico) si è ritorto contro il governo, perché proprio i “beneficiari” di questa valanga di assunzioni si sono ribellati contro le modalità previste sia per l’assegnazione delle cattedre che per la gestione dei docenti in sovrannumero rispetto alle cattedre stesse. In più, proprio perché le assunzioni sono state fatte all’ingrosso, non è neanche scomparso del tutto il fenomeno delle supplenze, beffa in aggiunta al danno di ritrovarsi con tanti neoassunti residenti lontano dalle cattedre disponibili.

Agli errori del governo (solo in parte attenuati dalla necessità di recepire una sentenza della Corte di Giustizia europea) si è sommato un comportamento di categoria dei docenti che personalmente ho trovato intollerabile, ai limiti della giusta causa per il licenziamento, altro che stabilizzazione. Ne abbiamo parlato anche in questo caso senza fare sconti a una categoria che, pur comprendendo tanti appassionati e generosi esponenti, nei suoi segmenti più “attivi” (sindacalmente parlando) è attestata su una strenua linea Maginot contro ogni tentativo di valutarne l’operato, di introdurre elementi manageriali nella scuola, di porre anche solo le basi per un minimo di meritocrazia. Le surreali reazioni opposte alle “famigerate” prove Invalsi ne sono un esempio illuminante.vuoto

Il bicchiere qui insomma è vuoto, grazie alla collaborazione tra errori del governo e ribellioni dei docenti. Le famiglie ringraziano.

Politica economica e crescita

In Italia, spesso parlare di politica economica del governo è un eufemismo per indicare scelte spesso clientelari, incentivi mirati a questa o quella categoria di beneficiari, eccetera. Da questo punto di vista, il Governo Renzi ha puntato su sgravi per le imprese, e in misura minore su incentivi alla domanda interna, a partire dai famosi ottanta Euro.

L’efficacia di queste misure è stata parziale, e non si può certo celebrare come un trionfo la modesta crescita che l’Italia ha bene o male imboccato. Tuttavia sarebbe eccessivo non riconoscere che i numeri del “sistema Italia” sono migliorati, e se è vero che ci siamo trovati a beneficiare di una congiuntura favorevole grazie a tassi d’interesse e costi delle materie prime bassi, pure è già un risultato, viste le debolezze del nostro sistema industriale sottocapitalizzato e a bassa produttività, essere usciti dalla recessione e aver raggiunto un tasso di crescita ancora modesto ma almeno percettibile:

pil
Andamento recente del PIL – Fonte: Il Sole 24 Ore

Se l’economia ha dato finalmente segni di miglioramento, c’è un settore nel quale la situazione non è migliorata, ed è l’equità distributiva. Su Hic Rhodus abbiamo parlato molto delle disuguaglianze, sottolineando che la loro crescita è un fenomeno globale; una situazione specificamente italiana è però la sperequazione intergenerazionale, per cui i giovani sono marcatamente più poveri dei loro genitori. Questo fenomeno, accentuato da politiche come la facilitazione dei pensionamenti o il mantenimento degli “esodati”, non è certamente stato contrastato dalle misure palliative prese in questo campo dal Governo
Renzi, e anche le misure sulla carta più ambiziose, come il Piano contro la Povertà, avrebbero bisogno di ben altre risorse per essere efficaci. Non è un caso se al referendum sono stati proprio i giovani a seppellire di No il premier.quasi-pieno

In sintesi: il bicchiere è più pieno che vuoto, sperando che la fragile ripresa non s’infranga sugli scogli della crisi bancaria o di una probabile risalita dei tassi.

Diritti civili

Se n’è parlato molto meno che di ciascuno dei punti precedenti, ma per me è un argomento che merita attenzione. Durante il Governo Renzi, infatti, sono state approvate alcune leggi molto importanti:

Onestamente, non mi aspettavo che Renzi s’impegnasse a portare in fondo questo tipo di provvedimenti, che non solo non portano grande consenso, ma lo hanno posto in attrito con il Vaticano, il che in Italia per un politico di vocazione centrista non è cosa comune. Confesso che ascoltare finalmente un premier dire “Ho giurato sulla Costituzione, non sul pienoVangelo” è stata una soddisfazione assolutamente non fine a se stessa, visti gli storici effetti della “tutela” vaticana sul nostro paese.

In sintesi: bicchiere pieno.

Conclusioni

È difficile non considerare il Governo Renzi un’incompiuta; per chi l’ha avversato ovviamente questo è un bene, perché il bisturi renziano ha potuto in fondo incidere solo gli strati superficiali di una società e di un sistema politico estremamente, diciamo così, resilienti, mentre anche chi ha apprezzato la sua linea non potrà certo dirsi pienamente soddisfatto del bilancio della sua esperienza, specie considerando che sembra aperta la corsa a disfare il poco o tanto da lui realizzato.

Quanto a me, devo riconoscere che non m’aspettavo che Renzi riuscisse a far approvare tante riforme importanti seppur controverse, quante forse non ne ricordo di un governo solo: in fondo il Parlamento con cui ha lavorato è lo stesso che aveva visto l’inglorioso fallimento di Bersani e lo statico equilibrismo di Letta. I risultati non sono all’altezza dell’operosità dell’ex premier, come abbiamo visto; tuttavia devo anche aggiungere che spesso i limiti delle sue scelte sono secondo me stati di segno opposto a quello lamentato dalla maggioranza delle critiche, e questo va incluso nel bilancio, perché Renzi non era un monarca assoluto, ma doveva comunque (e giustamente) fare i conti con compagini politiche, sindacali, sociali che spesso hanno agito da freno e da intralcio, fino a sbalzarlo di sella. C’è da star sicuri che impacci del genere toccheranno a chiunque tenterà di far meglio di lui.